Dici Caporetto e generalmente pensi alla più grande disfatta nella storia del Regio Esercito Italiano.
Ma c’è una parte di italiani (quella che legge Dissapore, ci auguriamo) per cui Caporetto significa Hiša Franko, che a sua volta significa Ana Roš, una delle chef più brillanti e contemporanee che l’Italia e i suoi confini ci abbiano regalato. Chef di montagna, granitica, dall’aria severa e dalla mano attenta alle materie prime della sua terra.
Nessuna stella brilla nel firmamento di Hiša Franko (la Slovenia, semplicemente, non è nei radar della Michelin, e qui la Guida Rossa non viene pubblicata) e questa sarebbe anche un’ingiustizia. Come è un’ingiustizia, a nostro parere, che Ana Roš venga continuamente identificata come una tra le migliori chef donna del mondo (ha vinto il premio Miglior Chef donna dalla 50 Best nel 2017), perché di lei si può parlar bene anche togliendo quel sostantivo “donna”, che in questo caso viene utilizzato come un aggettivo vagamente discriminante.
Non vogliamo farci portabandiera del femminismo a tutti i costi, ma non possiamo non pensare che sia sminuente pensare che le donne debbano giocare in un campionato a parte in uno sport – la cucina – dove i muscoli non contano proprio un bel niente (checché ne dica Gianfranco Vissani).
Abbiamo incontrato la cucina di Ana Roš, siamo stati e tornati da lei con l’immenso piacere di andare a scoprire piatti e sapori che ci hanno conquistati, a partire dalle cose semplici, come il pane di farro e il burro acido con polline d’api. In una di queste occasioni, quel che ci aveva portato sul confine era la scoperta di Made, progetto italo austriaco (con lead partner il Consorzio del Tarvisiano) che ha puntato alla riqualifica delle malghe locali, creando momenti di connessione, confronto e didattica tra i malgari e i grandi chef della zona, tra cui – appunto – Ana Roš.
Come è stato partecipare a MADE in malga?
“È un progetto molto interessante perché parla di una realtà che mi è vicina da quando ero piccola e
poi perché ci unisce molto all’interno di un territorio di confine: una malga, che sia in Friuli, in Austria o in Slovenia, ha le stesse problematiche, adotta la stessa politica di sopravvivenza: in malga si parla sempre la stessa lingua. In più è un momento molto felice per la cucina alpina, e la malga potrebbe essere la risposta a come si dovrebbe vivere nel mondo per evitare un disastro ambientale: con razionalità, rispetto della natura e senza esagerazioni”.
Quanto influenza la sua cucina il fatto di essere su un confine?
“Ha una fortissima influenza. Noi cucinando rispettiamo le realtà che ci circondano, e la realtà della Valle d’Isonzo è fatta da gente che si spostava lungo i confini, e la cucina non conosce la frontiera: come si spostava la gente così si spostavano ricette, sapori, materie prime”.
Una chef donna in un mondo prevalentemente maschile: è uno svantaggio essere donna nel mondo della cucina?
“Sicuramente non è uno svantaggio, anzi, in questo momento potrebbe quasi essere un vantaggio, perché abbiamo spesso maggiori occasioni di parlare di noi, proprio sul tema di come sia essere una donna in cucina, o una mamma in cucina. E poi è un momento felice per le chef: ci sono sempre più donne in cucina, e sempre di più stanno provando a brillare. Il sesso non ha importanza, e con un lavoro intenso e risultati ottimi stiamo dimostrando al mondo degli uomini che ce la possiamo fare. Non sarà mai paritario, ma ci stiamo guadagnando anche il loro rispetto”.
I premi ALLE chef
Lei è stata nominata Miglior Chef donna dalla 50 Best nel 2017: ha senso un premio femminile? Non è un’offesa?
“Dipende dal punto di vista: io l’ho accettato e ho capito che quel momento era prima di tutto una piattaforma per parlare del nostro lavoro, di com’è nel mio caso essere una mamma a capo di una cucina così grande, con una piccola armata di diciassette cuochi da governare. Io non l’ho trovato offensivo perché so che chi nomina e chi mi vota conosce il mio lavoro, e so che tra loro ci sono molti chef uomini. Non dobbiamo prendere tutto in maniera sbagliata nell’ottica di una guerra per l’emancipazione: io e tutte le ragazze prima e dopo di me abbiamo accettato il premio con orgoglio, e sappiamo di essere altamente rispettate anche dai colleghi uomini. Certo, aspettiamo il momento in cui non ci sarà questo tipo di premio, ma per ora usiamo la visibilità che abbiamo per parlare del nostro lavoro. Probabilmente un premio del genere non sarà più cosi importante nel momento in cui una di noi scalerà le vette della cucina mondiale”.
Visto che ha toccato lei l’argomento: come è essere una mamma che lavora in cucina?
“È sempre molto difficile, si è sempre pieni di rancori e sensi di colpa, perché il giorno ha solo 24 ore e non sei mai abbastanza da nessuna parte, né con il cliente né con i bambini, né il tuo team: tutti vorrebbero il 100% del tuo tempo. L’importante però è essere convinti delle decisioni che facciamo: se lascio il servizio per due ore per stare con i miei bambini è giusto, perché seguo l’istinto materno che in quel momento mi dice di farlo”.
Le dichiarazioni degli chef
Commentiamo insieme qualche dichiarazione sessista di suoi colleghi:
Yannick Alléno ha detto che se ci sono poche donne chef è perché per loro è più difficile, con la casa e i figli a cui badare.
“In realtà non ha detto proprio così. bisogna fare attenzione alle parole, la sua dichiarazione non è stata così estrema come è stato riportato da molti giornali. Quello che ha detto è abbastanza la verità: molto spesso le donne hanno difficoltà, soprattutto a fare il servizio serale, perché la casa le aspetta. In questo caso però mi viene da rispondere che i bambini hanno la mamma e il papà :
se la mamma non si può permettere di fare la carriera bisogna chiedersi dove è il papà, perché
tutti abbiamo diritto alla carriera. Ci sono donne che decidono di abbandonare il lavoro per stare con i figli, e lo dobbiamo rispettare, ma se una donna vuole provare ad avere successo il suo compagno dovrebbe aiutarla,, ricordiamoci che dietro ai grandi uomini, e anche ai grandi chef, c’è sempre una grande donna, che sta a casa egli permette di fare carriera”.
Gianfranco Vissani: “Le donne in cucina? Meglio in pasticceria, perché le casseruole pesano”-
“Ma lui vive nel diciannovesimo secolo? Bisognerebbe spiegargli che oggi noi donne corriamo, facciamo workout e ci manteniamo in forma. Io a 46 anni sono fisicamente più forte di molti dei ragazzi della mia cucina, faccio yoga, non ho problemi di schiena e posso alzare qualsiasi casseruola. Mi dispiace ma questa affermazione veramente non sta in piedi, come se non ci fossero pentole pesanti da sollevare anche nel reparto pasticceria”.
Marco Pierre White: “Le donne sono troppo emotive per sopportare la pressione del lavoro in cucina”
“Sinceramente questa affermazione è stata dolorosa, e gli ho risposto pubblicamente che chi è stato isterico, durante il nostro ultimo incontro in Australia, è stato lui, che urlava in una maniera che rendeva impossibile stargli vicino”.
[Immagini: Chiara Cavalleris per Dissapore]