Il whisky è il nuovo gin.
Non ha dubbi Luca Manni, 33 anni, bartender fiorentino, capo barman de ‘La Ménagère’, apprezzato ristorante, bar, negozio e bistrot nel centro storico di Firenze, e in aggiunta autore della serie di Dissapore “3 cocktail per il weekend”.
“Hai presente quanti barman negli ultimi 3 anni ti hanno detto che gin e vermouth sono le tendenze principali del bere miscelato? Adesso c’è attenzione per il mezcal, l’acquavite messicana ottenuta dalla pianta dell’agave, ma il distillato che cresce di più è il whisky, spinto dalla riscoperta di cocktail classici come Manhattan o Mint Julep”.
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Ma dire whisky è come dire vino, troppo generico. I whisky cambiano, e tanto, in base a provenienza, ingredienti, tipo di fermentazione, distillazione e maturazione.
Soprattutto cambiano in base al tipo di acqua impiegata, un elemento che lascia il segno in tutte le fasi: dall’irrigazione dei campi di cereali alla diluizione dopo l’invecchiamento.
Ecco perché dobbiamo distinguere per lo meno tra Scotch (e tra gli scotch un’altra distinzione è tra scotch malt, a base di orzo maltato e affumicato con torba, e scotch grain, con mais e una piccola percentuale di orzo maltato), Irish (con orzo non maltato e orzo maltato non torbato), Bourbon (con mais, segale, orzo maltato e non affumicato), Tennessee Whiskey e Rye Whiskey.
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E si dovrebbe parlare anche del pregiato e assai costoso whisky giapponese (dai 70 euro in su per una bottiglia), secondo alcuni addirittura migliore di quello scozzese, grazie alle acque purissime con cui viene preparato.
Per semplificare, lo Scotch è prodotto in Scozia, l’Irish in Irlanda, il Bourbon negli USA, principalmente in Kentucky. Ma prima di scendere in dettagli, bisogna dire innanzi tutto cosa s’intende per whisky, o whiskey.
Il whisky è un distillato di mosti fermentati di cereali, grano o avena. Fa eccezione il whisky prodotto con il mais, che non sempre deve essere fermentatao o invecchiato.
Tutti i whisky vanno distillati da un minimo del 40% a un massimo del 94,8% di alcol per volume, e la differenza tra i vari tipi di whisky è data dai tipi di cereali utilizzati per produrre il mosto.
(Nota: nei liquori il volume alcolico indica la percentuale, in volume, di alcol etilico presente nella soluzione idroalcolica, in questo caso whisky, ed è sempre riportata sull’etichetta)
Scotch
Per fregiarsi dell’appellativo “Scotch”, il whisky deve essere fatto con malto d’orzo, e molte case produttrici impiegano soltanto orzo, acqua e lieviti. È consentito però introdurre altri cereali a patto che siano integrali così come colorante al caramello, ma nessuno additivo per accelerare la fermentazione o altri tipi di scorciatoie.
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Lo spirito deve poi essere invecchiato in botti di rovere per non meno di tre anni, e in seguito distillato a meno del 94,8% di ABV. Soprattutto, non è Scotch, e non può chiamarsi Scotch, se non è stato prodotto al 100% in Scozia.
Irish Whiskey
Tutti i whisky invecchiati nella Repubblica irlandese o nell’Irlanda del nord sono Irish Whiskey. Anche l’Irish whiskey, come lo Scotch, deve essere distillato con un ABV inferiore al 94,8% e deve essere ottenuto da un mix di cereali fermentati ben percepibili nel distillato finale.
Se si usa più di un cereale, il whisky va etichettato come “blended”, miscelato, e il periodo di invecchiamento minimo è di tre anni in botti di legno.
Bourbon
Deve essere composto da un mix di cereali che contenga almeno il 51% di mais. Spesso per produrre il Bourbon il processo di fermentazione viene avviato utilizzando mosto proveniente da una partita già fermentata, il cosiddetto “sour mash”, o mosto acido.
E se il vero Scotch dev’essere fatto in Scozia, il Bourbon è tale solo se è fabbricato negli Stati Uniti e anch’esso deve sottostare ad alcune regole fondamentali, per quanto meno stringenti rispetto a quelle dello Scotch.
Lo spirito deve essere distillato al massimo fino all’80% di ABV, che non dovrà essere maggiore del 62,5% quando messo nelle barrique nuove di rovere per l’invecchiamento.
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Il Bourbon non ha un periodo minimo di invecchiamento, tranne lo Straight Bourbon, invecchiato almeno due anni, e non può essere addizionato di coloranti, aromi o altri tipi di spiriti.
Il Blended Bourbon, il Bourbon miscelato, invece, può contenere aromi, coloranti o altri spiriti, ma almeno il 51% deve essere di Straight Bourbon. L’età riportata sulla bottiglia del Blended Bourbon deve essere quella del whisky più giovane tra tutti quelli miscelati.
Tennenessee Whiskey
Non c’è dubbio, il Tennesee Whiskey è il whisky fabbricato esclusivamente nello Stato del Tennessee, e chi produce questo whisky, come ad esempio Jack Daniels, non vuole per nessun motivo che il loro whisky venga etichettato come Bourbon, sostenendo che sia l’unico ottenuto grazie a un processo di filtraggio a carbone.
Ma a parte questo si tratta a tutti gli effetti di un Bourbon, che deve seguire tutte le regole di fabbricazione del Bourbon.
Rye whiskey
Il Rye è, come dice il nome, un whisky di segale prodotto in Canada. Ma a dispetto del nome, non pensate che venga prodotto principalmente con la segale, perché può non essere così.
Il Canada ha sempre ricavato distillati dalla segale, ma visto che non esistono regole a riguardo, oggi il Rye è prodotto con un mix di mais e segale nella proporzione di 9 a 1. In Canada, l’unica condizione per etichettare un whisky come “rye” è che la segale sia presente, in qualunque percentuale, anche minima.
Invece, nell’American Rye Whisky, la segale dev’essere presente almeno nella misura del 51%, con altri cereali come mais e orzo.
Infine, come il Bourbon, il Rye Whisky va invecchiato in barrique di rovere nuove con un ABV minore dell’80%, e come il Bourbon non deve essere maggiore del 62,5% quanto messo nelle botti. E, sempre come il Bourbon, il Rye Whisky invecchiato per due anni o più viene denominato “straight”.
Ma soprattutto, esiste un solo produttore di Rye whisky nel mondo fatto con il 100% di mosto di segale, ed è il canadese Alberta Premium.