Vinitaly per Verona e i veronesi è (comprensibilmente) una mucca da mungere. Non capita tutti i giorni di avere in casa il big bang del vino italiano, l’eventone che catapulta in città una vibrante distesa di persone disposta a spendere.
Nei giorni della fiera sono in tanti a fregarsi le mani, dagli hotel alle trattorie, dai parcheggi alle pizzerie.
Ristoranti, enoteche e wine-bar perfezionano invece l’arte del ricarico.
Ora, è pratica diffusa accusare la carta dei vini quando si parla di ricarichi al ristorante, del resto possono arrivare fino al 400% del prezzo originale. Intendiamoci, non è una regola e non vale per tutto, in genere si guadagna parecchio sui vini che costano meno, guarda caso i più venduti.
Aumenti eccessivi? Ristoratori privi di etica che ricaricano eccessivamente lucrando sulle fatiche dei vignaioli? Oppure non è una questione di lucro, i ricarichi sul vino contribuiscono a pagare stipendi, forniture, bollette, tasse di giacenza della cantina e via così?
Facciamo degli esempi: la bottiglia di Prosecco che dal produttore può costare da 4 a 7 euro dovrebbe essere venduta a non più di 17 euro, eppure è frequente che il prezzo superi i 20 euro.
Oppure, ecco un paio di foto scattate da un lettore di Dissapore durante Vinitaly 2016 in due noti locali di Verona.
Tra i calici serviti al banco spiccano champagne come Krug Grande Cuvée (30 €), Taittinger Comtes de Champagne (30 €), Dom Perignon P2 (60 €), vini come il Barbaresco Gaja (35 €), il Merlot Miani (40 €), Ornellaia e Sassiccaia (35 €).
Oppure l’Amarone Bertarelli (60 €) e record assoluto, l’Amarone ’67 Bertani (80 €).
E’ comprensibile che certi prezzi facciano storcere la bocca, va detto tuttavia che stiamo parlando di vini fuori dall’ordinario.
Ciò nonostante la domanda rimane: paghereste 80 € per un calice di vino al banco?
(O in alternativa, ve la sentite di sottoscrivere il motto: i ristoratori italiani devono ringraziare i ricarichi sul vino se sono ancora aperti).