A sentire l’ultima di Oliviero Toscani, divo invecchiato della fotografia riconvertito produttore di vini (azienda agricola OT, Casale Marittimo, Pisa), causa di tutti i mali del Vinitaly sarebbe la “malsana” idea di mantenerlo a Verona (se ne parla da anni, peraltro).
“A Verona tenetevi la Fiera dei Cavalli, che è una manifestazione folkloristica, ma per rendere il Vinitaly un evento internazionale bisogna necessariamente portarlo a Milano. Ci sono più voli, è servita meglio, uno arriva in treno, metropolitana: è un altro mondo. Verona è bella perché è così ma non è adatta alle grandi fiere”.
Ora, l’invito di un milanese a trasferire la principale fiera del vino dopo 50 edizioni a Milano, non suona super partes. Se poi questo milanese ha un precedente non trascurabile con i veneti (do you remember? “Un popolo di ubriaconi e alcolizzati“), allora gli animi si scaldano.
Aggiungete pure che la veronese Fieracavalli non è propriamente una sagra o una rievocazione medievale di provincia.
Una provocazione eccessiva sommata a realtà gonfiate tipo “Ci vogliono due ore per arrivare la mattina” o “Non ci sono bagni per i visitatori, che sono costretti a fare 20 metri di coda per usufruire dei servizi“.
Se posso permettermi: partivo alle 7:30 da Peschiera del Garda, lasciavo l’auto nel parcheggio davanti a Veronafiere e alle 8.30 ero davanti all’ingresso. Costo o tangente, fate voi: 25 euro al giorno, una specie di mora imposta ai poco inclini a camminare.
I servizi sono quelli che sono, un po’ più puliti che a un concerto di musica rock, peggiori che in un autogrill. I 20 metri di coda di cui parla Toscani li ho visti soltanto alle 2 del pomeriggio, quando la mia decisione di rinunciare alla sputacchiera (si usa quando ci sono tanti vini da assaggiare: invece di ingoiare si sputa per non ubriacarsi) iniziava a farsi sentire.
Invece: il wi-fi funzionava a singhiozzo (calvario tipico delle grandi manifestazioni, non vi tedio con i ricordi dell’Expo milanese) e le caffetterie erano il compimento di un incubo, una specie di cartello diffuso in tutta la fiera con l’obiettivo di distribuire panini al retrogusto di plastica.
A cercare bene tra facezie e provocazioni, nella boutade dell’ex creativo Benetton, lo spunto interessante si trova. Non sarà originale ma si trova:
“Uno viene qui per avvinazzarsi: spende ottanta euro e beve“.
Ecco, questo è sempre stato e rimane il problema del Vinitaly, che ricordo –basta leggerlo sul sito ufficiale– è una fiera “aperta solamente agli operatori specializzati“.
L’aumento del costo d’ingresso, stavolta si pagavano 8o euro, non è bastato a dissuadere hobbisti del vino e caciaroni modesti. Eppure è stata una costante degli ultimi anni.
La spiegazione è più semplice di quanto sembra: gli 80 euro non si pagano, quasi mai. Credetemi: in 3 giorni a Veronafiere non ho conosciuto nessuno che avesse pagato il prezzo intero.
Tutti amici degli amici, aiutanti agli stand, sommelier, degustatori vari e membri delle più disparate associazioni. Vorrei tanto stringere la mano a chi li ha spesi, i famigerati 80 euro.
Intendiamoci, di appassionati che ne pagherebbero anche 100 euro pur di passare da un Blanc de Morgex et de La Salle a un passito di Negramaro, spostandosi con eroica resistenza dal padiglione della Valle d’Aosta e quello della Puglia, ne ho contati moltissimi.
Non sono né avvinazzati, né scrocconi, tantomeno ubriaconi irritanti. E allora perché dagli espositori vengono spesso trattati come se lo fossero?
Non compreranno mai 240 bottiglie a botta, ma sono entusiasti e consapevoli. E’ anche grazie a loro, che accettano di buon grado gli spaventosi ricarichi dei locali veronesi nei giorni del Vinitaly (questo sì), o quelli più generalizzati e ormai stabilizzati dei ristoranti italiani e degli ecommerce vari, se i produttori possono permettersi 10.000 euro di stand al Vinitaly (si va dai 1.500 euro per gli spazi in stile loculo, alle decine di migliaia per chi si fa costruire castelli kitsch in cartongesso, forse, chissà, ispirati al vicino Gardaland).
Il vero guaio del Vinitaly è che il Vinitaly non si paga. Non è questione di mezzi di trasporto o servizi scadenti, quelli sono i soliti problemi all’italiana. Gli stessi che, probabilmente, affliggerebbero Milano.
Ci sono troppi biglietti gratuiti in circolazione, che di certo non contribuiscono a sfoltire la folla all’ingresso. Non si distingue tra chi è veramente interessato e chi per una sbornia non spenderebbe mai 80 euro.
Per la cronaca, a me lunedì scorso non hanno chiesto il pass.
[Crediti | Link: Il Gazzettino, Intravino]