La nonna lo sconsiglia. Il medico avverte. La ragione solleva seri dubbi. Hanno ragione tutti e tre. Bere vino quando fa veramente caldo può nuocere alla salute. Vediamo perché.
Per difendersi dal caldo il corpo attiva il suo sistema di raffreddamento, cioè la traspirazione. Di conseguenza sale il suo fabbisogno di acqua.
Ora, il vino contiene oltre l’85% di acqua. Tutto a posto allora, il vino come bevanda dissetante? Purtroppo no.
Il motivo è semplice. L’alcol blocca il rilascio dell’ADH, un ormone antidiuretico che fa scattare nel nostro corpo la modalità risparmio idrico. Una volta privati di questo utile regolatore andiamo più spesso in bagno perdendo con l’urina l’acqua che ci serve per la traspirazione. La conseguenza è la disidratazione del nostro corpo.
Se la disidratazione aumenta le conseguenze possono essere pesanti: oltre a un malessere generale avviene una riduzione delle nostre capacità fisiche e mentali, particolarmente pericolosa per chi si metta alla guida di una macchina.
Allora solo infusi tiepidi, acqua e centrifugati di verdura?
Amanti del vino non disperate! Rispettando alcune regole il vino non sarà bandito dalla vostra tavola neanche d’estate.
Per prima cosa evitate le bevande alcoliche fuori dai pasti. Inoltre massima attenzione quando il sole è più alto. Per un bicchiere di vino sarà meglio aspettare la sera con le sue temperature più fresche.
Va da sé che con l’aumento delle temperature la moderazione nel bere è di particolare importanza, anche di sera. Inoltre è una buona prassi di accompagnare il consumo di vino con sorsi abbondanti di acqua minerale.
Con queste cautele la nonna, il medico e la ragione non alzeranno il dito. Bere vino d’estate si può.
Vediamo allora cosa bere.
Considerando quanto detto prima, per l’estate sono da evitare i vini con un forte tenore alcolico come i liquorosi (Porto, Madeira, Sherry, Marsala). Li godiamo meglio nelle altre stagioni. Per il resto tutto dipende dal gusto personale e ovviamente dal cibo che il vino deve accompagnare.
Iniziamo il nostro percorso di vini estivi con alcuni rosé. L’estate è il loro momento classico. Di solito non sono vini adatti all’invecchiamento. Fugaci come le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo vanno bevuti presto. Preferibilmente nell’anno che segue la vendemmia.
I vini rosé si ottengono da un breve contatto delle vinacce di uve rosse con il mosto. Questa macerazione parziale non permette la completa dissoluzione degli antociani, cioè dei pigmenti idrosolubili presenti nelle bucce. Di conseguenza il vino assume un colore rosa.
In alternativa si possono anche vinificare insieme uve bianche e uve rosse o utilizzare vitigni che contengono pochi pigmenti nelle bucce come, per esempio, la Schiava altoatesina. L’unica cosa che (in Italia) non si può fare, è mescolare vini bianchi e rossi.
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Un bell’esempio di un rosato per le lunghe serate estive è il Petralava, Etna DOC Rosato 2015 di Antichi Vinai.
L’azienda, fondata nel 1877 dalla famiglia Gangemi, si trova a Passopisciaro sul versante nord dell’Etna. Un territorio che incanta già per i colori che colpiscono da sempre i visitatori: il cielo azzurro del sud, il bianco del cratere innevato, il terreno tutto nero di ceneri e lapilli e il verde dei vigneti, degli orti e delle pinete.
Qui, sulle falde del vulcano più alto d’Europa con i suoi terreni sciolti, caratterizzati da abbondanti depositi piroclastici, le uve godono di un habitat ideale.
Le vigne dell’Antichi Vinai si trovano ad un’altezza tra 700m e 800m s.l.m. dove la vite è esposta a forti escursioni termiche tra giorno e notte, un fattore essenziale per mantenere un’accattivante acidità e profumi eleganti – proprio come in questo vino.
Il Petralava è un rosato ottenuto da un blend di due vitigni complementari: un 90% di Nerello Mascalese e un restante 10% di Nerello Cappuccio.
Il Nerello Mascalese è uno dei più importanti vitigni autoctoni della Sicilia. Il suo nome deriva dalla Contea di Mascali tra Giarre e Mascali. Recenti studi genetici hanno rivelato una sua parentela assai interessante con il Sangiovese che in parte potrebbe spiegare la frequente presenza di sentori di viola che accomunano i due vini.
Da non sottovalutare però il ruolo del Nerello Cappuccio. Con buone ragioni, il blend tra i due vitigni etnei è stato paragonato a quello tra il Cabernet Sauvignon e il Merlot nel classico taglio bordolese.
Il ruolo del Merlot, che aggiunge massa colorante e morbidezza al colore più sottile e al carattere più austero del Cabernet Sauvignon, è qui assunto dal Nerello Cappuccio.
Questa la teoria. La prassi la trovate nel bicchiere assaggiando questo vino che si presenta in una veste color fragola di media intensità. Sentori di frutta rossa fresca seguiti da profumi che evocano resine della macchia mediterranea e un tocco fumé.
L’ingresso in bocca è caratterizzato da una piacevole acidità che ricorda gli agrumi, seguita da una scia minerale che leggermente asciuga la bocca invitandoci a berne un altro bicchiere. Sbaglierò ma non posso liberarmi dall’idea che questo sia dovuto alle ceneri sui cui è cresciuta la vite.
Non è un vino con una lunga persistenza in bocca e non dovrebbe neanche esserlo. Per questo ci sono i suoi fratelli rossi. Il rosato di Antichi Vinai è un vino a pieno titolo territoriale che si fa apprezzare per la sua decisa eleganza e buona bevibilità.
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Saliamo al centro. Con il Cerasuolo d’Abruzzo DOC 2015 della Tenuta Ulisse vi presento un rosato che stilisticamente si trova quasi al lato opposto rispetto al Petralava.
Siamo a Crecchio, un piccolo borgo nella provincia di Chieti dove nel 2006 la famiglia Ulisse ha fondato l’azienda che in pochi anni ha raccolto importanti premi e riconoscimenti.
Il vivace colore di questo rosato che si inserisce nella scala cromatica tra lamponi e ciliegie, ci guida subito verso i suoi profumi. Ottenuto da Montepulciano, vitigno abruzzese autoctono per eccellenza, il vino si offre al naso con forti sentori di frutti rossi freschissimi, in cui spiccano prontamente lamponi e ciliegie.
In sottofondo ma ben presente una rosa antica, che aggiunge un tocco sensuale che chiamare seducente sarebbe il minimo. A me ricorda una Sophies Perpetual perché ce l’ho in giardino. Sì, proprio lei, sono andato a verificare, ma se i profumi di questo vino vi fanno venire in mente un’altro cultivar di rose siamo comunque d’accordo che ci troviamo di fronte a una vera meraviglia per le nostre narici!
Un ulteriore pregio di questo vino: non incorre nel vizio che hanno molti rosati di promettere qualcosa al naso che poi in bocca non mantiene. Qui è tutto un continuo richiamo, un ping pong tra occhio, naso e palato.
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Non c’è due senza tre. Mi piace l’idea che il terzo vino che vi propongo sia complementare al rosato siciliano e a quello abruzzese.
Con l’IGT Costa Toscana Rosato prodotto dalla Tenuta delle Ripalte 2015 ci spostiamo sull’isola d’Elba, precisamente sul suo promontorio sud-est, vicino a Capoliveri.
Qui la terra assume un intenso colore ferruginoso. Fino a pochi decenni fa dalle miniere di questa zona si estraeva il ferro. Oggi, i 450 ettari dell’azienda di Piermario Meletti Cavallari (ex Grattamacco) si trovano all’interno del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano e i 15 ettari destinati alla viticoltura seguono chiari principi di agricoltura sostenibile.
Il Rosato delle Ripalte è ottenuto da uve Aleatico. Di solito all’isola d’Elba se ne ottiene un eccellente passito. Ma con questo vino le cose sono andate diversamente.
Come racconta Piermario Meletti Cavallari, l’idea di produrre un rosato non era figlia di un progetto, bensì di un evento temuto da tutti i vignaioli:
“una grandinata colpì una vigna prossima alla raccolta e fummo costretti a vendemmiare subito, prima dell’appassimento; dal tino appena pigiato mi venne in mente di fare un salasso per un paio di quintali di rosato. Qui scoprimmo l’incredibile attitudine di questa uva a dare un vino piacevole e fruttato ma anche di notevole complessità aromatica.”
Da quel giorno il rosato delle Ripalte si è evoluto seguendo ora un preciso programma enologico: “A fermentazione completata, facciamo sostare quattro ore il vino nuovo sulle vinacce, non esaurite, dell’Aleatico Passito. In pratica è quello che i veneti chiamano “ripasso” e ci consente di arricchire il vino e collegarlo, non solo idealmente, al vino bandiera dell’Isola d’Elba.”
L’uva per questo vino proviene dalle vigne di Poggio Turco a 170 m s.l.m. Questa posizione, insieme alla vicinanza dei vigneti al mare garantiscono una buona ventilazione a favore della salute dei grappoli.
Il rosa deciso, arricchito da riflessi oro ramato, viene sottolineato da un’etichetta moderna dovuta al lavoro di Tobia Scarpa, architetto e designer, che ha progettato anche la cantina.
Al naso si riscontra per prima l’inconfondibile aromaticità dell’aleatico. Questo si spiega con facilità ricordando che geneticamente questo vitigno, insieme al Moscato giallo e al Moscato rosa, è uno stretto parente del Moscato bianco. In evidenza poi profumi di rosa canina, sentore tipico dell’aleatico, accompagnati da sentori di ciliegia.
E poi… In bocca tanta ma tanta frutta rossa, succosa.
La sapidità marina vi sembrerà scontata ma lo scrivo perché non mica tutti i vini cresciuti nelle vicinanze del mare ce la portano fedelmente in bottiglia. Alcuni sì, altri no e fino ad oggi nessuna sa dare una spiegazione esauriente di questo fenomeno. Ma qui sì, la sapidità c’è e aumenta la piacevolezza di questo vino.
Servito a 8-10° C., la temperatura giusta per i rosati, è pura goduria.
Speriamo che l’estate sia lunga.