La mia generazione – quella degli splendidi quaranta-cinquantenni – è cresciuta con il potentissimo immaginario del Verdicchio Fazi Battaglia. Ve lo ricordate il Fazi Battaglia? Con il suo contenitore riconoscibilissimo – la celebre bottiglia ad anfora di vetro verde – aveva conquistato il mondo.
Il Verdicchio Fazi Battaglia di quegli anni, diciamocelo, non era il miglior vino bianco italiano né il più economico, ma faceva numeri pazzeschi: avere l’”anfora” in tavola – con tanto di pergamenina, ricordate? – dava alle famiglie quel non-so-ché, un effetto simile alle simpaticissime bottiglie di Lancers o Matheus.
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Poi i tempi cambiano, le tendenze si susseguono e il Verdicchio passò un po’ di moda, altri bianchi finirono sulle tavole degli italiani (il mio conterraneo Arneis, per dire), altre bottiglie conquistarono la fantasia, come quella con il “cavallo basso” del Bellavista.
Ma sei anni fa durante un viaggio nelle Marche ho capito che il Verdicchio era molto altro – e molto di più – del Fazi Battaglia: che vino splendido, ancor di più, per i miei personalissimi gusti, quello che viene dai vigneti matelicesi. Da allora il Verdicchio è diventato il bianco preferito da mia moglie ed ettolitri ne abbiamo bevuti.
Non siamo gli unici: negli ultimi anni il Verdicchio è cresciuto, e parecchio, in qualità, reputazione, immagine, volumi. Tuttavia non ha ancora lo spazio che merita sugli scaffali degli italiani e degli stranieri.
Ma ci siamo. Un paio di settimane fa ero a tavola seduto non distante da Walter Massa, l’uomo che ha “inventato” e reso grande il Timorasso, uno dei vini che hanno vissuto il maggior botto negli ultimi anni. E lui, con l’aria astuta che gli è propria, ha sancito: “il 2019 sarà l’anno del verdicchio”. Se lo dice Massa, ci scommetto anche io.