Incanto, unicità, biodiversità, contrasti. Tanto altro.
La Sicilia rimane un posto di inafferrabile bellezza, un universo parallelo dove il tempo e i tempi non possono permettersi particolari arroganze o ansie globalizzanti.
Maggio è periodo di fluviali bevute, convegni, abusi culinari e degustazioni di grande completezza. Maggio è soprattutto il mese di Sicilia en Primeur, la manifestazione di Assovini che sintetizza l’annata vinicola attraverso una serie di tour, assaggi e masterclass.
Cinque giorni in cui lo stupore prende agilmente il sopravvento. Stupore per i luoghi, l’inedito freddo, le vigne sul mare, i paesaggi, la vitalità palermitana e alcune visioni umane.
Su tutti quella di Planeta, l’azienda (e la famiglia) che ha dato un respiro culturale e internazionale al vino siciliano nel corso degli ultimi decenni.
Ora però è tempo di mettere a freno il lirismo: le brutali esigenze di cronaca segnano il passo. Dura mettere insieme un oceano di appunti presi tra i 226 vini assaggiati (in larga parte alla cieca).
Di certo il comparto è in grande spolvero, quantitativo e qualitativo, capace di gestire bene la difficile annata 2017. Con qualche irrigazione di soccorso e molta accortezza.
Sosta Tre Santi Etna – Tenute Nicosia
Non si viene in Sicilia per bere grandi spumanti, ma capita di incrociarne alcuni, specie se l’uva base è il nerello mascalese e l’annata è la 2014, straordinaria in Sicilia.
Il celebrato vitigno autoctono dell’Etna ben si presta per un metodo classico scattante, intenso e marino. Bocca affilata che deterge, bella persistenza: bevuta per nulla banale.
Etna bianco 2017 – Pietradolce
Mi perdonerano gli amanti del Grillo se dopo una quindicina di assaggi, dove l’aromaticità da Sauvignon spiccava quasi indistintamente, sono passato ai più stimolanti bianchi a base Carricante, molto più caratteristici e vicini ai miei gusti per il loro timbro salino e la grande bevibilità.
Il bianco d’ingresso di Pietradolce, per dire, affianca tensione e corpo, fragranza e struttura e mette d’accordo tutti. Probabilmente.
Etna Bianco di Sei 2017 – Palmento Costanzo
La degustazione alla cieca regala sempre grandi sorprese, come gli elogi a una cantina che solitamente non mi fa impazzire. Un Etna bianco (70% Carricante, 30% Catarratto) tutto anice e agrume, molto fragrante e teso, con un profilo acido spiccato e una lunghezza notevole.
Sauvignon Blanc Urra di mare 2017 – Mandrarossa
Mandrarossa è l’ambizioso progetto di Cantine Settesoli, un gigante della produzione regionale che in un impeto di sperimentalismo ha piantato un numero altissimo di varietà, tra campi di erbe spontanee, aree zoologiche millenarie e scorci marini, al fianco di una linea di vitigni autoctoni.
Se alcune tipologie pagano un certo appiattimento tecnico, non mancano le sorprese. Su tutte un Sauvignon tutto giocato sull’agrume e la sapidità, molto più vicino alla Francia che ai modelli del Nord d’Italia.
Fiano Cometa 2001 – Planeta
La visita da Planeta è stato probabilmente il momento più suggestivo della cinque giorni. Anche l’assaggio ha lasciato il segno, soprattutto per il livello incredibile di alcune vecchie annate. Su tutte, uno dei progetti più peculiari dell’azienda, il Fiano, varietà che si esprime al meglio sulle fredde colline irpine e che nelle vigne vista mare di Sambuca per anni è stato considerato una bestemmia.
Se le annate giovani sono brillanti in bocca ma ancora segnate da un frutto troppo maturo e tropicale, la 2001 è stato un colpo al cuore. Spaziale il naso tra albicocca e arancia candita, energica e lunghissima la bocca. Ne sono rimaste 8 bottiglie. Anzi, ora 7.
Etna rosato 2017 – Benanti
Ancora una grande prova di un nerello mascelese, questa volta in versione rosato. Se la tipologia n Italia continua a non decollare, non si può dire che manchino bevute utili a riconvertirci tutti.
[L’amore dei quotidiani di New York per i vini della Sicilia]
Frutto croccante e tanta eleganza, garantita dalla grande altitudine (750 metri), ma soprattutto una sapidità spiccatissima!
Gerbino 2017 – Di Giovanna Winery
Secondo rosato, questa volta a base di Nero d’Avola, prodotto da un’azienda storica (più conosciuta all’estero che in Italia però) al confine tra Sambuca e Corleone.
Le vigne, a conduzione biologica, sono splendide e gli assaggi confermano la grande accuratezza del lavoro. Invitante dal colore al naso, ma è la bocca a emergere: un trionfo di agrumi e freschezza.
Frappato Dumè 2017 – Gorghi Tondi
Diamine è quasi estate, indugiamo in un bel rosso da pizza o da pesce, tutto frutta fresca e succo. Difficile spiccare il volo con un Frappato, ma anche raro rimanere delusi. La cosa alcolica più vicino alla spremuta di fragola in assoluto.
Rossojbleo 2017 – Gulfi
Non amo particolarmente il Nero d’Avola, non per colpa sua quanto di un modello stilistico – tutto ruffianeria e morbidezza – che ha imperversato a lungo. L’aria sta cambiando, specie sui vini d’ingresso (senza affinamento in legno) tanto che anche le grande aziende come Cusumano producono dei rossi molto succosi e diretti.
L’anima del migliore Nero d’Avola più fine, energico e profondo, però alberga nella provincia ragusana, tra le vigne di Gulfi. L’annata 2017 del Rossojbleo è clamorosa: un inno al sorso gustoso e vorace. Un colpo di fulmine.
Etna rosso Contrada Blandano 2014 – Terra Costantino
La qualità media dei rossi sull’Etna è sicuramente alta, ma il grande successo ha un po’ standardizzato la produzione (i maligni parlano di toscanizzazione…), specie per quanto riguarda i vini d’ingresso. Probabile anche che la lunga batteria alla cieca abbia smussato le differenze e alcuni dei miei preferiti non erano in assaggio, ma non ho goduto moltissimo.
[Quali sono i vini più venduti d’Italia?]
Per non ripetere alcune cantine come Benanti, Planeta, Costanzo e Nicosia, mi butto su Terra Costantino che non conoscevo molto bene. Tra i più vulcanici del lott, per la sua vena balsamica, con belle note di evoluzioni che cominciano a esprimersi.