Il Grillo fa notizia. Da tempo traina la vendita dei vini bianchi siciliani. Nel 2017 ha visto un aumento del 23% nelle vendite della GDO piazzandosi addirittura al primo posto nel gruppo dei bianchi di successo.
Secondo Antonio Rallo, presidente del Consorzio di Tutela dei vini Sicilia DOC, la superficie vitata a Grillo ha ormai raggiunto i 6.500 ettari con una produzione di 13 milioni di bottiglie.
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Purtroppo molto vino ottenuto da Grillo viene ancora venduto sfuso. Ma l’interesse dei consumatori cresce e di conseguenza la voglia di imbottigliare per raggiungere mercati più redditizi.
Il Territorio del Grillo
Con un 85% il Grillo è previsto da molte DOC come Alcamo, Contea di Sclafani, Delia Nivolelli, Erice, Menfi, Monreale e Salaparuta. Inoltre è contemplato dalla DOC Sicilia nonché da alcune IGT.
Anche se è presente in Puglia, l’habitat più importante del Grillo è la Sicilia occidentale, soprattutto la zona litorale tra Marsala e Trapani.
C’è una logica storica per questa diffusione geografica: il Grillo è intimamente legato alle fortune alterne del vino Marsala. Fino agli anni Cinquanta, quando cominciava ad essere soppiantato da vitigni come il Catarratto o l’Inzolia, occupava ben il 60% della superficie vitata nel Marsalese. Condividendo in pieno i decenni del declino del Marsala, è rientrato in scena solo con la rinascita di questo vino iniziata da Marco De Bartoli.
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Al vino Marsala ci conduce poi anche la questione delle sue origini. Per molto tempo si speculava su una sua provenienza pugliese ma recenti analisi genetiche hanno potuto dimostrare che si tratta di un incrocio tra Catarratto Bianco e Moscato di Alessandria (Zibibbo), due antichi vitigni siculi. A questo punto rimaneva solo da chiarire dove esattamente avvenne questo incrocio.
Secondo le ultime ricerche storiche, il Grillo nacque nel 1873 a Favara, in provincia di Agrigento. Fu infatti il barone Antonio Mendola, uno dei più famosi ampelografi dell’epoca, che, alla ricerca di un ibrido più aromatico per la produzione del Marsala, tentò con successo l’incrocio del Catarratto con lo Zibibbo.
Questioni di stile
Il Grillo è un vitigno caratterizzato da una buona acidità che lo rende adatto all’invecchiamento. Di pari passo produce anche un’abbondante carica zuccherina che spesso porta il grado alcolico dei vini a base di Grillo a notevoli livelli.
Una caratteristica ancor più importante del Grillo è che le sue molecole si ossidano facilmente. Ed è questo il punto cruciale per ogni discussione sulla stilistica di questo vitigno.
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Per alcuni produttori le note ossidative sono proprio un elemento caratterizzante del Grillo, la sua vera natura che va rispettata.
Altri invece non la vedono così. Secondo loro l’ossidazione del mosto è problematica in quanto non fa emergere molti altri profumi del Grillo, in particolare i sentori vegetali e fruttati dovuti ai cosiddetti tioli.
Di tioli ce ne sono tanti in giro. La maggior parte di loro ha un odore molto sgradevole di uova marce, zolfo e gomma bruciata. Le moffette, ovvero le puzzole, per esempio, li usano come arma di difesa ma vengono anche aggiunti al metano per segnalarci eventuali fughe di gas. Altri tioli invece danno sensazioni del tutto piacevoli. Sentori vegetali che ricordano il bosso o la foglia di pomodoro ma anche profumi di mango e di frutto della passione. Oltre al Grillo anche il Sauvignon ha tanti tioli di questo tipo.
Per preservare questi tioli, il mosto va protetto dall’ossidazione. Nessuna macerazione sulle bucce quindi e acciaio al posto del legno, in breve: una vinificazione in riduzione.
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La questione dello stile del Grillo va però oltre le tecniche di vinificazione e richiede anche una scelta in vigna. Grazie alla sua diffusione in una zona relativamente ristretta, il Grillo non ha una grande differenziazione intravarietale.
Al giorno d’oggi ci sono solo due biotipi. Tra di loro si distinguono comunque nettamente. Uno dà vini più freschi, con note agrumate e vegetali che ricordano un Sauvignon Blanc mentre l’altro biotipo di Grillo è caratterizzato da profumi che evocano il miele e da una potenza alcolica più spinta.
Come si vede, il tipo di Grillo prodotto dipende da tante scelte precise in vigna e in cantina. Non credo che si possa dire che una delle due parti in causa abbia ragione e l’altra torto. È più autenticamente Grillo un vino che grazie a determinate scelte in vigna e in cantina non esprime una parte del suo arredo olfattivo o quello che lo porta in evidenza evitando le note ossidative?
Come sempre in questi casi, alla fine decide il mercato con tutte le sue sfaccettature. A voi la scelta.
Marco De Bartoli, Integer, Grillo Terre Siciliane IGP 2016
Pochi vitigni si associano al nome di una persona con tale naturalezza come il Grillo a Marco De Bartoli. Il sodalizio tra lo storico vignaiolo di Samperi e il Grillo fu così intimo e profondo che nessuna presentazione di questo vitigno può prescindere dal suo lavoro.
Oggi, grazie al grande impegno e alla maestria dei suoi figli, l’azienda conserva quest’eredità e la proietta verso il futuro. Oltre ai Marsala che sono tutti esclusivamente prodotti con Grillo, ci sono anche due vini metodo classico ottenuti da Grillo in purezza nonché un rosé dove il vitigno è accompagnato da un 50% di Nero d’Avola.
Anche il Grillo in veste di vino bianco fermo viene declinato in più versioni. Nel 1990 nasce “Grappoli di Grillo” che fermenta in acciaio e matura in botti di rovere francese. Segue nel 2006 l’“Integer” e nel 2013 il “Vignaverde, un Grillo più giovane e immediato che fa solo acciaio.
Tutti questi tre vini sono accomunati da un approccio minimal. Concettualmente il più radicale è però l’Integer. Gran parte del mosto fermenta sulle bucce con lieviti indigeni in botti usate, mentre la parte restante viene affidata ad anfore di terracotta aperte dove resta a macerare per cinque mesi. Nessun controllo di temperatura durante la fermentazione, nessuna chiarifica, nessun filtraggio. Ad una tale limitazione degli interventi in cantina corrisponde ovviamente un approccio simile anche in vigna.
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Il risultato è un Grillo che non lascia indifferenti. Il suo fascino però non è immediato. Meno Monica Bellucci più Catherine Deneuve, meno George Clooney più Sean Penn.
Si presenta con un colore giallo dorato con riflessi ramati. Attirano l’attenzione intensi profumi di albicocche mature, lavanda, vaniglia, miele di acacia e accenni di polvere da sparo incorniciati da una presente ma non invadente ossidazione. In bocca entra fresco, poi manifesta il suo potenziale tannico prima di lubrificare il sorso con una buona sapidità. Finale molto lungo con un sapore di arance navel. Grandioso.
Barraco, Vignammare, Terre Siciliane IGP 2017
Un giorno, l’attrice Anna Magnani disse al suo truccatore: “Mi raccomando non mi tolga le rughe, ci ho messo 50 anni per averle”! Questo aneddoto, raccontato in diverse varianti, mi è venuto in mente quando ho pensato ai vini di Nino Barraco. Sono vini che che si distinguono per il loro carattere complesso e fortemente individuale che si arricchisce proprio grazie alle sue dissonanze.
Tra i vignaioli del Grillo, Nino Barraco è probabilmente il più vicino alle idee di Marco De Bartoli. Oltre all’ “Alto Grado”, il suo ‘Marsala’ pre-inglese, cioè non fortificato, produce due vini a base di Grillo: Il “Vignammare” ottenuto da uve provenienti da un vigneto giovane a pochi passi, appunto, dal mare e il “Grillo” che utilizza uva di un vigneto di cinquant’anni.
Il Vignammare è il più insolito tra questi due. Dietro a un fitto sipario olfattivo, tessuto di capperi, alghe marine, note iodate e zolfo, emergono profumi di pesca matura. In bocca sconvolge una freschezza inaspettata, seguita da una ben definita sapidità marina in linea con i messaggi trasmessi al naso. Non è un vino per tutti i gusti. Potete scaraffarlo e se aspettate un po’ i sentori fruttatti guadagnano più spazio ma rimane un vino in cui il terroir padroneggia.
Barraco, Grillo, Terre Siciliane IGP 2016
Molto diverso è il “Grillo”. Un macerazione di tre giorni sulle bucce lo vestono di un colore giallo dorato, bello e luminoso. Emana intensi profumi di arancia disidratata, marzapane, mandorle dolci e miele di macchia mediterranea. La bottiglia assaggiata non dimostrava nessuno dei sentori di miniera di zolfo o alghe di porto che definiscono il Vignammare.
Freschezza e sapidità fanno da perfetto contrappeso ad una tannicità notevole. Molto particolare. Senza questo vino il mondo del Grillo sarebbe decisamente più povero.
Tasca D’Almerita – Fondazione Whitaker, Mozia Grillo, Sicilia DOC 2017
La Tasca d’Almerita è un’azienda storica della Sicilia, nonché una delle più famose d’Italia. A Regaleali, la sede ottocentesca, si sono aggiunte nei primi anni del nuovo millennio le tenute Capofaro a Salina, Tascante sull’Etna, Sallier de La Tour a Monreale e Whitaker a Mozia.
L’azienda produce tre vini a base di Grillo: a Regaleali, a Sallier della Tour e a Mozia, nome antico dell’isola di San Pantaleo. L’isola è una proprietà della Fondazione Giuseppe Whitaker che ha affidato la gestione degli 11 ettari vitati a Grillo alla Tasca d’Almerita.
Qui il Grillo viene coltivato in quattro vigne diverse, allevato ad alberello per resistere ai forti venti dal mare, senza irrigazione e in regime bio. L’uva, vendemmiata all’alba, lascia l’isola su piccole barche prima di arrivare a Regaleali in camion termocondizionati. Vinificata in acciaio, senza malolattica, rimane per 5 mesi sui lieviti.
Di colore giallo paglierino e con leggeri riflessi verdolini il vino è caratterizzato da intensi profumi di pesca gialla matura, timo-limone e accenni di menta. Fresco e verticale in bocca attira l’attenzione per una spiccata sapidità marina che evoca perfettamente la provenienza.
Gorghi Tondi, Kheirè, DOC Sicilia 2016
Paesaggi belli in Sicilia non ne mancano. Uno dei più affascinanti è custodito dalla Tenuta Gorghi Tondi. L’azienda si trova a Mazzara del Vallo, precisamente nella Contrada San Nicola, all’interno di una riserva naturale del WWF, inaugurata nel 1998.
È un’azienda a forte impronta femminile che sotto la guida di Annamaria e Clara Sala è riuscita a promuovere i vitigni autoctoni siciliani, in primis il Grillo. Ne producono quattro tipologie: il Palmarés Brut, un metodo charmat, il Kheirè Doc Sicilia, il Vivitis Bio, senza solfiti aggiunti e il Grillodoro, un passito muffato, una vera rarità se si considera la posizione geografica.
Il Kheirè si presenta con profumi di media intensità che ricordano una pesca matura, poi seguono mango, mentuccia e mandorle dolci che insieme formano un quadro olfattivo invitante. Buona freschezza e sapidità regalano una bevibilità ben sopra la media. Molto piacevole.
[Crediti | Immagini: Gorghi Tondi, De Bartoli]