Difficile cambiare le abitudini. A Natale e a Capodanno le bollicine sono d’obbligo. In ogni casa, su ogni tavola. Spesso non per scelta ma per tradizione. Bere spumanti in occasione delle feste è un rito, un’abitudine socialmente trasversale e di dimensione planetaria.
Tutt’altro invece, il cibo natalizio. Sempre più spesso ci facciamo sedurre dai sapori esotici e così anche durante le feste. Natale con i tuoi ma pietanze che vuoi. Le nostre papille gustative allegramente globalizzate hanno sostituito i dettami della tradizione con la regola dell’anything goes.
Anche all’estero. Il classico tacchino sulla tavola natalizia di un inglese, l’oca su quella di un tedesco o il salmone e il foie gras nelle case francesi non sono più scelte così scontate.
Le bollicine invece sì. Per molti produttori i brindisi di queste feste sono il business più importante di tutto l’anno.
[Spumanti: Prova d’assaggio 2016]
Chi ama la qualità e vuole andare sul sicuro sceglie uno champagne, un Franciacorta, un Trento DOC o un Alta Langa metodo classico. Le proposte in questo campo non mancano.
Per una scelta sempre di qualità, ma più originale invece dobbiamo osare al di là dei canoni stilistici ben consolidati.
Girovagando nel Bel Paese si trovano prodotti che benché meno conosciuti non temono appuntamenti importanti come il pranzo di Natale o il cenone di fine anno. Vediamo.
Perla Marina, Spumante Brut, Terre Sicilane IGT
Iniziamo a sud, a Pachino. Lo so, prima del vino vi viene in mente il ciliegino, famoso pomodoro di questa zona, ma a partire dal nuovo millennio si è manifestata una vera rinascita della produzione vinicola locale grazie ai massicci investimenti di imprenditori come Diego Planeta o Antonio Moretti.
Nel 2003 seguono Carlo Scollo e Francesco Ristuccia con la fondazione dell’azienda Feudo Ramaddini che puntano subito sui vitigni autoctoni come il Nero d’Avola, il Grillo o il Moscato bianco.
La più recente creazione di questa casa vinicola è la Perla Marina, uno spumante ottenuto da Moscato bianco e prodotto con metodo Charmat, un procedimento adatto a mettere in evidenza i profumi primari, cioè quelli tipici del vitigno.
Una scelta azzeccatissima come si nota appena si avvicina il bicchiere al naso. Profumi di salvia e pesca matura accompagnati da sentori di zagara delineano con una chiarezza da manuale il quadro olfattivo del moscato bianco.
Perlage fine e persistente. In bocca entra con un accenno di residuo zuccherino a cui segue una briosa freschezza. Davvero ben fatto. Un favoloso scacciapensieri con cui iniziare le danze.
Valle d’Aosta DOC Blanc Metodo Classico 2013
Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle
Continuiamo dall’altro lato del Bel Paese a Morgex, in Valle d’Aosta. Qui, nel 1983, è stata fondata la Cave Mont Blanc de Morgex et La Salle, una cooperativa di vignaioli con lo scopo di valorizzare il Prié blanc, uno dei vitigni più antichi della Valle d’Aosta.
Le ricerche genetiche sono ancora all’inizio ma uno dei risultati più sorprendenti è stato trovare lo stesso identico vitigno anche ad Avila, il capoluogo di provincia più alto della Spagna. Difficile dire se il Prié blanc sia stato introdotto da lì in Italia o viceversa.
Certo è invece che si tratta di un vitigno molto resistente al freddo. Fatto non secondario visto che le vigne della cooperativa valdostana si trovano ad un’altezza tra i 900 e i 1200 metri s.l.m.
Naturalmente, per sopravvivere in queste condizioni climatiche estreme il Prié blanc ha bisogno di un aiuto da parte dell’uomo. L’idea vincente dei vignerons valdostani è stata una pergola estremamente bassa che resiste anche a venti forti e tiene l’uva in stretto contatto con il prezioso calore immagazzinato dal terreno.
[Il miglior Prosecco che si compra alla Coop]
Non tutto il freddo però viene per nuocere. Le temperature gelide a queste altezze hanno bloccato l’avanzamento della fillossera che a fine Ottocento ha distrutto la quasi totalità del vigneto europeo. Troppo freddo lassù. Non voleva proprio starci questo terribile insetto e così il Prié blanc si trova ancora oggi a piede franco, cioè senza portainnesto americano.
Questo vino sprigiona gaia freschezza. Frutta bianca croccante e una luminosità che si rafforza ulteriormente con le candele di Natale.
Vino da antipasti come crostini con lardo di Colonnata.
Caluso Spumante Brut Cuvée Tradizione 2011
Proseguiamo la nostra esplorazione delle bollicine meno conosciute scendendo a quote più basse, nel Canavese. In questa zona ai piedi delle Alpi, tra la Serra di Ivrea e il Po, troviamo la patria dell’Erbaluce, il suo vitigno autoctono per eccellenza.
Il terreno tipico su cui cresce è ricco di minerali. In pratica si tratta di detriti morenici, cioè materiale roccioso e sabbioso depositato dai ghiacciai che spingendosi verso valle l’hanno portato fin qui.
A causa della sua spiccata acidità, dall’Erbaluce si ottengono non solo vini secchi ma anche ottimi passiti e spumanti.
La famiglia Orsolani si esibisce con maestria in tutte e tre le discipline di questo versatile vitigno dimostrando anche la sua buona capacità di invecchiare. Sin dal 1894, oramai nella quarta generazione, gli Orsolani hanno studiato, perfezionato e comunicato questo vino. Un prodotto particolarmente riuscito sono proprio i loro spumanti metodo classico.
Ne producono due. Una Gran Riserva che prevede un affinamento sui lieviti di 60 mesi e il vino che vi propongo qui: la Cuvèe Tradizionale con 36 mesi sui lieviti. Non chiamatelo vino base. La più breve permanenza sui lieviti rispetto alla riserva gli conferisce la veste olfattiva perfetta per un primo piatto.
I suoi profumi accattivanti di camomilla e anice, una spuma densa e avvolgente e l’attacco in bocca con una freschezza che ricorda gli agrumi seducono irrimediabilmente. Una chiusura caratterizzata da una leggera nota amarognola è il timbro fedele del vitigno.
Provatelo con un piatto di pasta ai filetti di sgombro, finocchio selvatico, capperi, pepe rosa e pinoli.
Volpaia brut 2009
Le origini del Castello di Volpaia, uno dei luoghi simbolici nella lunga e sanguinosa lotta tra Firenze e Siena, risalgono al XII secolo ma il suo splendore si deve alla famiglia fiorentina ‘della Volpaia’, orologiai, topografi e costruttori di strumenti scientifici al servizio dei Medici e di papa Clemente VII. Saranno loro, in pieno Rinascimento, a trasformarlo in una fattoria.
Oggi proprietà di Giovannella Stianti, l’azienda è fra le più rappresentative nella terra del sangiovese. Con il loro Coltassala, nato come Supertuscan e oggi di nuovo presentato come Chianti Classico, l’azienda si è iscritta nella storia del rinascimento vinicolo toscano dei primi anni Ottanta.
[La sola guida alle Bollicine di Natale di cui avete realmente bisogno]
Che la sua spinta innovativa non si sia esaurita lo dimostra il loro Volpaia brut 2009, un metodo classico ottenuto da sangiovese in purezza.
L’utilizzo del Sangiovese per uno spumante metodo classico è meno strano di quanto si possa pensare. Dotato di buona acidità il vitigno si presta facilmente ad essere spumantizzato. Solo che pochi finora ci hanno provato.
Importante anche la posizione dei vigneti di Volpaia che si trovano ad un’altezza tra i 393 e i 411 metri s.l.m.
Quest’altitudine dona freschezza regalando eleganza e profumi profondi.
Vinificato in barriques di rovere di Allier per 6 mesi, segue un affinamento in bottiglia con una sosta sui lieviti per 60 mesi.
Un vino nitido, lineare, senza fronzoli. Si presenta con accattivanti profumi di mandorla, frutta bianca fresca e un ben calibrato sentore di legno. Piacevolissimo anche al palato grazie ad una spuma fine che si espande allegramente in bocca.
Abbinatelo a un secondo di carne bianca o pesce non eccessivamente strutturato. Un accostamento armonioso, per esempio, potrebbe essere con un branzino al forno profumato alle erbe aromatiche.
Shalai, Pantelleria DOP, demi-sec millesimato 2014
A questo punto ci manca ancora un vino da abbinare al dolce. Tempo fa vi avevo presentato alcuni passiti ma oggi tocca alle bollicine.
Senza entrare nei meandri di un’analisi sensoriale cibo-vino cerchiamo un vino che sia all’altezza della dolce sinfonia del nostro dessert per le feste.
Escludiamo ovviamente qualsiasi prodotto secco. Non perché lo insegnano i sommelier ma perché lo dice il nostro palato. Senza un’adeguata carica zuccherina del vino la sua acidità si scontrerebbe con la dolcezza del dessert.
Oltre ad essere dolce ci aspettiamo naturalmente qualcosa in più da un vino da dessert. A fine serata, i nostri sensi sono un po’ provati dalla moltitudine di sapori e profumi delle pietanze precedenti e di conseguenza dobbiamo aumentare le dosi.
La CO2 delle bollicine che simpaticamente pizzica la lingua ci piace anche per questo. Risveglia il nostro palato.
La stessa funzione svolgono i profumi intensi delle uve aromatiche come i Moscati, le Malvasie, il Gewüztraminer o il Brachetto. Sono i classici terminator di fine serata.
Restringendo così il campo vi propongo lo Shalai, uno spumante (metodo Charmat) dell’azienda pantesca Vinisola. L’isola di Pantelleria, è il regno del Moscato di Alessandria o Zibibbo. Nello Shalai lo troviamo in purezza.
Con 36 grammi di zucchero per litro siamo vicini al limite inferiore per un demi sec. Attenzione quindi a non esagerare con la dolcezza del dessert.
Mettendoci bene il naso troverete profumi di rosa e salvia, sentori tipici dei moscati ma anche una pesca matura, agrumi e ceneri vulcaniche. Assaggiandolo mi è sembrato di percepire addirittura l’odore del vento salmastro che spazzola le vigne pantesche. Ma forse, in questo grigio pomeriggio d’inverno, la mia immaginazione si è alzata un po’ troppo in volo….
Auguri di buone feste!