La Lombardia enologica è di difficile definizione. Lago e montagna, spumanti a profusione (Franciacorta, Oltrepò su tutti), artigianato e industria.
Ma anche tante barbere e bonarde frizzanti da osteria, limitato consumo pro capite, bianchi mediamente trascurabili e pochi grandissimi rossi fuori dal comparto valtellinese, dove il nebbiolo cresce tra pendenze estreme e alterna prove maiuscole a versioni di scarsa personalità.
Dopo aver vinto il premio 2018 per la sintesi brutale, procediamo con il terzo episodio di “Naturale Italiano”, la serie che Dissapore riserva ai vini naturali delle regioni italiane segnalando due nomi storici e due nuove realtà.
[Naturale Italiano: la serie]
Archiviati Trentino Alto Adige e Veneto, ecco la Lombardia.
Ca’ Del Vent
Negli ultimi anni qualcosa sta cambiando in Franciacorta. La nota zona bresciana si sta progressivamente trasformando da laboratorio per metodo classico di alto profilo, popolata da famiglie di borghesi commercialmente illuminati, a spazio vitale anche per piccoli produttori scaltri e talentuosi (penso a Corte Fusia, Arcari e Danesi, Il pendio, Monte Alto, Scapigliata).
Quale che sia il futuro, il grande dubbio originario rimane: il territorio ha davvero le caratteristiche per rispondere alle ambizioni a cui fa fronte? La risposta è quasi sempre no.
E chiunque abbia discreta esperienza sa bene come le basi spumanti da queste parti non trovano un grande aiuto da madre natura, soprattutto in termini di acidità. La stessa esperienza ci dice che fare metodo classico (il vino più costruito e meno “naturale” in assoluto) richiede tecnica, macchinari e competenza sopra ogni cosa. Tutte cose che abbondano in Franciacorta.
Ca’ del Vent pare esistere per mettere in crisi i precedenti assunti di carattere generale. Anche perché, in realtà, parliamo di Cellatica, area adiacente, ma posizionata sulle colline rocciose bresciane e storicamente legata ai vini rossi.
L’azienda parte proprio dai rossi, a fine anni ’90, poi vira timidamente sugli spumanti nel 2001. La svolta però è nel 2006: Ca’ del Vent si espande, raggiunge i 6 ettari, e comincia un’opera di grande parcellizzazione, dividendo il proprio territorio in 11 micro-zone (attualmente 13).
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Studio climatico e dei suoli, approccio rigoroso all’agricoltura, una sana cultura scientifica e relativa grande consapevolezza delle proprie scelte, tanto che il vino naturale per loro risponde a un vero e proprio manifesto concettuale che i titolari Marco e Flavio sono sempre pronti a riaffermare.
Il risultato nel bicchiere sono una serie di metodo classico (che escono come VSQ, vino spumante di qualità, avendo abbandonato la denominazione Franciacorta) che per molti anni spiccavano per energia e verticalità, mentre ultimamente la ricerca della complessità mi pare stia un po’ penalizzando la beva dei loro vini, segnati da note cremose e da pasticceria.
L’approdo ultimo della ricerca aziendale però è una bottiglia di grande livello (anche economico), come Revolution, bolla ambiziosa, dalla gamma olfattiva notevole e dalla bocca ricca e mutevole.
Arpepe
Se i vini di Arpepe rientrino o no nei parametri sempre più soggettivi del vini naturali è argomento ozioso: l’azienda da oltre trent’anni produce i migliori rossi dell’intera regione.
È infatti il 1994 quando Arturo Pellizzatti Perego comincia a produrre la Chiavennasca (nome attribuito al Nebbiolo in Valtellina) nei 13 ettari distribuiti fra Sassella, Grumello e Inferno, zone simbolo della viticultura eroica, note per le pendenze estreme e le altitudini (intorno ai 500 metri mediamente).
Il successivo passaggio di consegna ai giovani Isabella ed Emanuele rinsalda il connubio con la tradizione da una parte (il lavoro sul territorio e l’attenzione maniacale al lavoro in vigna sono un tratto distintivo) e un occhio alle nuove possibilità tecniche dall’altra, come l’utilizzo dell’energia geotermica e tutte le soluzioni eco-sostenibili messe in piedi.
Ma a fare la differenza, come è logico che sia, è il vino. Qui il Nebbiolo trova un perfetto luogo di adozione per esprimersi sia nelle sue versioni più pronte (il rosso di Valtellina, succoso, fruttato, golosissimo), che attraverso le profondissime selezioni della cantina.
Tra queste spicca l’etichetta Rocce Rosse, disponibile sul mercato a circa dieci anni dalla vendemmia, vino di una nitidezza e di una classicità senza tempo: potente e complesso quanto espressivo, capace d’invecchiare per decenni.
La Basia
Il Garda è il luna park turistico del centro Europa e non spicca per la qualità assoluta dei vini. I tedeschi, in particolare, sono talmente frequenti da queste parti che il bianco di maggior successo (il Lugana) ha progressivamente cambiato i connotati per assecondare il loro gusto. Bel paradosso visto che in casa hanno sua grandiosità, il Riesling.
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Ma questa è un’altra storia. Parliamo di Puegnago del Garda, dove da metà anni ’70 la famiglia Tincani si dedica al vino, ma anche alla produzione di olio, fieno, cereali. La nuova generazione ha proseguito il lavoro di Elena, soprattutto grazie al talento di Giacomo, che ha firmato alcuni dei Groppello più interessanti e autentici in circolazione.
Il Groppello è una varietà autoctona tipica particolarmente nota per il Chiaretto, il rosato del Garda poco diffuso fuori dal territorio, ma molto apprezzato da queste parti specie d’estate. Sapidità e succosità sono le chiavi interpretative del Groppello di La Basia, sia in versione rosso (“La botte piena”) che rosato (“La moglie ubriaca”): vini snelli e sinceri che non fanno prigionieri a tavola.
Sorprende anche il loro rosso più importante, Il “Predefitte”, uvaggio di Rebo e Barbera, con affinamento in legno di secondo passaggio e un dinamica molto energica.
Barbacan
Della Valtellina si è detto sopra. La zona è ricca di piccoli produttori, spesso naturali, ma il potenziale spesso non mi pare totalmente espresso.
Insieme a Le Strie, La Perla di Marco Triacca, Alfio Mozzi e Marchetti che fanno numeri piccolissimi, ma vini deliziosi, negli ultimi anni si è affermato il nome di Barbacan. In comune con Marchetti ha anche la zona, Valgella, da cui arriva “Sol”, il suo vino più interessante.
L’azienda è sulle spalle di Matteo e del padre Angelo: sei ettari a San Giacomo di Teglio, impronta assolutamente artigianale che potremmo sintetizzare nella triade, no chiarifiche, fermentazioni spontanee, risibile quantità di solforosa.
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Il Rosso di Valtellina, ipotetico prodotto d’ingresso dell’azienda è scapigliato e beverino il giusto, affianca alla chiavennasca una quota di Brugnola e Rossola, non esattamente vitigni noti ai più.
Il “Sol” è un vino più pieno, con un frutto e tannino importante, ma mai in debito di agilità, grazie alla bella acidità e alle note di pepe nitidissime. Da bere con qualche anno alle spalle.
[Crediti | Foto di Giacomo Tincani: Acquabuona]