Ho perso il conto dei miei Vinitaly. Ho visto molte versioni della fiera veronese: le prime, da pivello, poi quelle più seriose ed organizzate, poi quelle con gli appuntamenti, i convegni, le robe professionali. Ogni anno che passava aumentavano gli amici che ritrovavo, e l’atmosfera da festa di paese (appena un po’ più caotica) era sempre la cifra definitiva di un appuntamento tutto sommato piacevole. In rete si sprecano i consigli per come affrontare organicamente la rassegna monstre: uno su tutti, Giampiero, qui, sempre molto utile.
Questo sarà il mio primo Vinitaly della recessione. Càpita, in questi giorni, di sentire svariati produttori con i quali lavoro che mi avvisano: “quest’anno, niente fiera di Verona; quest’anno si tagliano i costi”. Il fatto è che i tetri argomenti recessivi sono tanto deprimenti quanto, alla fine, oscuri e poco decifrabili. La settimana scorsa, Altan su L’espresso era particolarmente fulminante: al poveretto accasciato che mendicava “c’è la crisi, dottore” il riccone rispondeva, spietato: “e il peggio deve ancora venire”. Ecco, è anche questo peggio che deve ancora venire, di cui molti parlano senza definirlo con precisione, che mi andrebbe di verificare in qualche modo, personalmente, girando per il Vinitaly di quest’anno.
Si va alla fiera, come al solito, per allargare la visuale della nostra finestrella, che altrimenti resta sempre troppo piccola per osservare tutto il cielo. Soprattutto quest’anno, nel primo Vinitaly della recessione.