Prima: “E’ a livello di analfabetismo la conoscenza del vino in Italia […] E’ un problema culturale e manifestazioni come il Vinitaly, così come concepite, non possono certo migliorare le cose”.
Dopo: “Ho sentito da qualcuno che avrei dichiarato che il Vinitaly non mi piace. Non è vero. Il Vinitaly è quanto di meglio esiste nel nostro paese”.
Prima: “Non ci vado per motivi di stanchezza. Fino a qualche anno fa avevamo un bellissimo stand Ais Roma e Bibenda […] Questa manifestazione non è che un appuntamento per il popolo del vino, ormai ampiamente circoscritto […] C’è poco business e molto star system”.
Dopo: “(Vinitaly) è quanto di più importante e meglio organizzato si possa fare per il Vino. E’ stata un’idea vincente di qualche anno fa, e oggi, lo è ancora di più”.
Le opinioni che avete letto sono, a mio modo di vedere, anche condivisibili, almeno in parte, per diversi motivi. Poi, figuriamoci, qui a Dissapore siamo i campioni della tolleranza o del lib-lab. Quello che sorprende, forse, è che tali affermazioni provengano dalla stessa persona, a breve distanza di tempo: Franco Maria Ricci, prima (si apre un pdf) e dopo, appunto. La parte più ostica però sta nella chiosa del dopo, in cui si legge, tra l’altro: “Il mio malessere riguarda la presenza di comunicatori del vino che nulla hanno da dire alle presenze acculturate né, tantomeno, a chi è digiuno di cultura dell’arte del bere giusto”. Urge traduttore.
[Bibenda Luciano Pignataro]