Siamo stati nella più grande cantina italiana, Caviro, per raccontarvi come è fatto il Tavernello. I numeri, i vitigni, la produzione del vino in Tetra Pak più famoso che c’è.
Tra il 2009 e il 2018 in Italia si sono prodotti in media 45 milioni di ettolitri di vino all’anno. Se tutto questo vino finisse in bottiglia (non è così) si tradurrebbe in 6 miliardi di pezzi: un numero enorme, che fa del nostro Paese il maggior produttore di vino del mondo, prima di Spagna e Francia.
Bene, sommando la produzione di tutte le cantine cooperative che fanno capo a Caviro, la più grande cantina italiana, si arriva allo stupefacente numero di 4,2 milioni di ettolitri: poco meno del 10% del vino prodotto in Italia è cioè attribuibile a una singola realtà, a un solo gruppo. Se fosse una regione sarebbe, a volume, la quinta dopo Puglia, Veneto, Emilia-Romagna e Sicilia.
I numeri del gigante: Caviro è una cooperativa di secondo livello, questo significa che non è di proprietà di chi lavora direttamente la terra ma di un gruppo di cantine sociali sparse su gran parte del territorio nazionale che lavorano le uve e che conferiscono a Caviro parte del loro il vino. Fondata nel 1966, può contare su 30 cantine e sulla loro rete di 12.500 viticoltori, che lavorano 35.000 ettari di vigneto per 7 milioni di quintali di uva.
Caviro nel 2017 ha fatturato 315 milioni di euro, ha venduto vino per 190 milioni di litri e oggi può vantare in Italia una quota di mercato nella GDO del 7,6% per circa 7,2 milioni di clienti.
Per quanto Caviro produca vino sotto diversi marchi, da Romio a Botte Buona, da Terre Forti a Da Vinci e molti altri, è impossibile non associarne il nome a quello più famoso: il Tavernello. Incuriosito da questi numeri così grandi sono andato a vedere come si produce.
Il capannone ben visibile lungo la A14 all’altezza di Forlì nasconde alle sue spalle quella che si potrebbe definire come un’area di stoccaggio. Decine di giganteschi tank in cui il vino che giornalmente arriva via gomma, in cisterna, viene messo in stand-by, in attesa di essere lavorato all’interno dello stabilimento.
La produzione del Tavernello
Un complesso, quello della cantina vera e propria, enorme. Una capacità di 44,5 milioni di litri per 270 vasche, numeri che a pieno regime permettono di lavorare giornalmente 850.000 litri di vino. Una volta condotto all’interno questo viene sottoposto a tre procedimenti, in ordine: la chiarifica, la stabilizzazione tartarica, la filtrazione.
Il primo indica il trattamento utile a privarlo di diverse sostanze in sospensione e a portarlo quindi alla limpidezza, il secondo a evitare che si formino i cosiddetti tartrati, cristalli che rimarrebbero all’interno della bottiglia o del cartone, il terzo, appena prima della fase di imbottigliamento, a eliminare eventuali residui microbici.
Se è vero che il marchio Tavernello viene venduto in diverse tipologie di contenitori, anche di vetro, visti i numeri e la visibilità è naturale che sia sinonimo, o quasi, di Tetra Pak, il cartone che tutti vediamo nei supermercati e non solo.
Alla Caviro arrivano a produrne 69.000 pezzi l’ora con ben 8 linee di imbottigliamento (più altre 2 dedicate al vetro e 1 ai bag-in-box) attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7 (con rare pause, durante le festività più importanti), che si concludono con il vino già pronto sui pallet, pronto per la spedizione.
I vitigni del Tavernello
Il Tavernello Bianco viene prodotto a partire da trebbiano, il Rosso a partire da sangiovese, in prevalenza, e montepulciano, il Rosato a partire da nerello mascalese e sangiovese. Naturalmente le proporzioni possono variare, anche se di poco, di anno in anno. Tutto è però pensato per riuscire a produrre un vino capace di assomigliare il più possibile a se stesso, anno dopo anno.
Il Tavernello è sempre uguale? No, piccole differenze si possono avvertire anche tra lotto e lotto. Sono però difformità minime, nella stragrande maggioranza dei casi, avvertibili solo in fase di degustazione comparativa. Grandi differenze si possono invece trovare tra vini destinati a mercati diversi, basti pensare che il Tavernello viene venduto in Italia con un residuo zuccherino di 8 g/l , mentre in Germania di 12 g/l, che si traduce in una maggiore morbidezza all’assaggio.
Mai una volta che l’abbia riconosciuto quando mi è stato servito alla cieca, il Tavernello. Forse è proprio questo il suo segreto: essere sempre corretto, per certi versi un po’ anonimo, inevitabilmente sempre uguale a se stesso senza accendere i riflettori su questa o su quella peculiarità organolettica, straordinariamente economico. Gli ingredienti del successo.
[Crediti immagini | Jacopo Cossater]