Vi piace l’Amarone? L’Amarone tira. Soprattutto all’estero: Nord America, in primis, anche Germania, Svizzera e Nord Europa. Ma la Cina è nel mirino. Tanto prima o poi cominceranno davvero a bere, oltre che a comprare giocatori di calcio a prezzi ridicoli.
L’Amarone è un caso emblematico della scaltrezza imprenditoriale veneta, anche se a occhio e croce stanno esagerando con l’incremento produttivo.
L’Amarone è il vino da ordinare in enoteca per fare colpo e non sembrare né un poveraccio né uno sprovveduto. Se poi vi ricordate i vitigni principali (Corvina, Corvinone e Rondinone) e il fatto che fanno appassimento, vincete un premio.
Il consorzio dell’Amarone sa organizzare bene l’anteprima del suo vino. Per quella del 2012, a breve sul mercato, ha allestito un bell’evento: due enormi tavolate, una alla cieca, l’altra no, con impeccabile servizio.
E ha chiamato Andrea Scanzi – che ha bevuto l’ultimo rosso strutturato nel 1991 – a moderare un convegno molto affollato, in cui si sono visti parecchi grafici e si è ecceduto in qualche pompino a vicenda di tarantiniana memoria.
L’Amarone ha un bel nome, nonostante sia fuorviante, ma il sottoscritto lo digerisce poco. Troppa dolcezza, troppo legno, troppo alcool: raramente è elegante, una volta su 50 è beverino e a tavola non ci si pasteggia facilmente.
Le precedenti 5 sentenze, tutte in bilico tra oggettivo e soggettivo, associate al fatto che i miei produttori prediletti non sono legati al Consorzio, rende arduo spiegare perché sono andato a Verona e ho assaggiato 78 vini in 4 ore, stemperando il tutto in una bella camminata in uno dei centri storici più belli d’Italia. Si chiama vinocentrismo o enciclopedismo, fate voi.
Però è stato istruttivo, stoico e anche interessante. Tranne quando ho temuto di avere perso l’uso delle gengive per tutto il 2016. Le schede scritte in calligrafia dadaista, piene di appunti scoordinati e sentori improbabili (“caffè lasciato nella moka 45 anni”, però era una bella suggestione) ve le risparmio.
Qualche consiglio invece mi permetto di darvelo. L’ordine è alfabetico, non qualitativo.
BERTANI
La migliore guida ai vini italiana, quella dell’Espresso (appena investita dalla mattanza dello smobilitamento) racconta Bertani utilizzando più volte l’aggettivo “monumentale”. Oggi, l’Amarone di Bertani non ha più la profondità e l’eleganza di un tempo, ma rimane una sicurezza , inconfondibile anche in una degustazione alla cieca. Nonostante l’annata calda, la 2012 ha già un bell’equilibrio. Senza dolcezze eccessive, il naso esplode in una profonda nota di ciliegia sotto spirito, ma ha anche un bel carattere mentolato e speziato. La bocca fine è succosa, l’alcool importante.
CA’ LA BIONDA
Valgarata, piccolo paesino, è tra le zone più votate a tipologia. Quello di Ca’ La bionda è un Amarone di razza, potente (fin troppo, la 2012 è talmente poderosa in bocca da scoraggiare un po’ il sorso) ed espressivo. Molto lontano dal modello d’esportazione è tra i meno costruiti enologicamente (niente chimica in vigna, i lieviti sono autoctoni, non fanno filtrazione o chiarificazione).
CA’ DEI FRATI
Più noti per il loro Lugana campione d’incassi, Ca’ dei Frati sfodera per il 2012 un Amarone in controtendenza con il precedente di Ca’ la bionda. Tecnico quanto ineccepibile, sicuramente tra i più golosi provati: il naso è tutto giocato sui frutti di bosco e la confettura, l’ingresso in bocca è dolce e vellutato, il tannino fine. Non è il mio vino, ma non si può dire non sia riuscito.
CA’ RUGATE
Ancora un Amarone tutto correttezza ed equilibrio. Con il proseguire degli assaggi ha scalato la mia graduatoria delle preferenze in quanto privo delle tostature eccessive e a volte davvero scoordinate di molti vinoni davvero ostici. Ca’ Rugate è una delle più note e costanti del veronese e come Ca’ dei Frati è più nota per i bianchi (questa volta il Soave), ma il loro Amarone ha un riuscito tocco gastronomico.
CANTINA VALPANTENA
Sul mio personale cartellino leggo deliri come “austero, tannico, baroleggiante, leggermente ossidato”. Non conoscevo l’azienda, ma in sostanza è Valpantena fa un Amarone che si distanzia molto dal modello dominante e guarda al Nebbiolo. Meno immediato, ma interessante e profondo.
CORTE SANT’ALDA
Se non l’avessi degustato alla cieca mi sarei autoattribuito la croce del naturalista talebano, visto che Corte Sant’Alda lavora in biodinamica, ma soprattutto predilige il territoio alla cantina. Un vino talmente fuori dal contesto da essere emblematico di quanto una tipologia sia il frutto di una visione d’insieme spesso commerciale o stilistica piuttosto che di aderenza ai vitigni. L’unico con sentori verdi al naso, sapidità e grande dinamicità in bocca, finale scattante e beverino. Non è ancora prontissimo, ma è di gran lunga il migliore Amarone provato.
MARCO MOSCONI
Al 44esimo assaggio sono cominciate le allucinazioni mistiche fantozziane. In una sequenza di vini caffettosi e dolcissimi, l’Amarone di Mosconi spiccava per una bocca molto più fresca e scattante e un naso più leggiadro, molto mentolato. Pollice su.
ZYME’
Ultimo assaggio, il 78esimo: il palato è ormai corrotto, ma l’Amarone di Zymé riesce sempre a emergere, forse condizionato anche dal fatto che il servizio è in ordine alfabetico e intuire deduttivamente l’azienda non è particolarmente complesso. Il profilo è potente, ma espressivo, succoso e slanciato, di grande eleganza.