Addio marmellata e concentrazione ad ogni costo, la nouvelle vague dell’Amarone della Valpolicella è basato su tutt’altre forme di espressione, capaci se non altro di delineare in maniera sempre più netta quelli che furono (e che nella maggior parte dei casi rappresentano ancora) i muscolari anni ’90.
Mi interrogo spesso sul concetto di tendenza sensoriale (mode, gusti, chiamateli come vi pare) e su quanto rifletta un determinato momento storico. Alcune sono più durevoli e globalizzate, altre magari riescono ad intercettare solo nicchie di mercato, alcune sono ricorsive (chi l’avrebbe detto che il birrofilo sarebbe impazzito per i Lambic e i loro corredi sensoriali così naif) altre sono figlie di intuizioni e tecniche del nostro tempo (Ferran Adrià ci ha insegnato qualcosa a riguardo). In tutti i casi il minimo comun denominatore sembra essere la mutevolezza. Non c’è fissità nel concetto di gusto e – anche se la sua evoluzione è spesso così lenta da non apparire significativa- rimane probabilmente l’unica granitica certezza.
Ci ho ripensato recentemente in un paio d’occasioni, in entrambi i casi stavo assaggiando alcune espressioni di Valpolicella e Amarone, accomunate da un medesimo cambio di passo (o stile che dir sì voglia). Maggiore freschezza e minor potenza si palesavano soprattutto sull’emblema di muscolarità e concentrazione su cui è stato costruito il concetto stesso di tipicità legato all’Amarone.
Sono certa di non raccontare nulla di nuovo a chi conosce i vini del territorio, lo scenario di questi ultimi anni in Valpolicella sembra delineare due correnti stilistiche, una che spinge su potenza e concentrazione (alcolicità sostenute, nasi marmellatosi e residui zuccherini non sempre trascurabili) l’altra che, in estrema sintesi, cerca più facilità di beva.
Insomma, c’è chi si ancora a concetti come “tradizione e territorio” e a tutta l’identità di cui ha bisogno per identificarsi e comunicare ciò che fa al prossimo, e c’è chi osserva una tendenza globale e cerca di assecondarla. Se gli anni ’90 sono stati segnati da morbidezze, concentrazioni e vini full body, oggi rincorriamo altro. E come spesso accade, se questo altro si allontana dal racconto e dalla recente storia costruita a supporto di quella tradizione tanto difesa, si corre il rischio di non essere capiti. Probabilmente è proprio ciò che sta accadendo in Valpolicella, c’è chi come la sottoscritta apprezza questa nouvelle vague stilistica, e chi la trova poco rappresentativa.
Marinella Camerani e gli altri produttori del “nuovo” Amarone
Ci sono poi realtà dall’identità così forte da non rientrare necessariamente in nessun cluster di riferimento, sono semmai diventate inconsapevolmente modelli a cui ispirarsi. Probabilmente è una delle ragioni per cui ho sempre apprezzato i vini di Marinella Camerani, la sua “biodinamica rilassata”, così come la chiama lei, e la sua idea di vino le ho sempre trovate ben rappresentate nel calice. A Corte Sant’Alda escono dal cilindro vini espressivi, che non eccedono mai in struttura e potenza. L’assaggio di qualche settimana fa – pur con le differenze figlie di questa o quella annata- è stata un’ulteriore conferma.
Un approccio che inevitabilmente deve aver influenzato Federica Camerani, da alcuni anni al suo fianco alla guida dell’azienda. Federica sta seguendo il progetto Adalia, una realtà in divenire ma dai chiari intenti: mettere l’accento su freschezza e semplicità e, verosimilmente, parlare proprio a quella fetta di pubblico attuale (e globale) che apprezza queste caratteristiche sensoriali in un calice.
Giocati sul fil rouge della freschezza anche i vini di Monte Dall’Ora, altro personale riferimento nel cuore della Valpolicella classica. I vini di Carlo e Alessandra hanno progressivamente abbandonato le ultra-concentrazioni con l’intento di raccontarsi attraverso sorsi più snelli, secchi e freschi, ma non per questo meno espressivi. E come non citare Monte dei Ragni, lo Zeno pensiero è un balsamo per la mente. I suoi vini gli assomigliano parecchio: mai piacioni, quasi affilati (verticali direbbero quelli bravi).
E, giusto per aggiungere un altro paio di esempi a suffragio della tesi, inserirei anche La Dama e Le Bignele tra i “progressisti”.
E voi? Di che Amarone siete?
[credit: Mauro Fermariello – Winestories]