Era tutto pronto. Un incipit di tinta stagionale, arricchito da una citazione tratta dal »Giorno d’Autunno« di Rainer Maria Rilke per evocare la tipica atmosfera autunnale, ma poi niente. Il sole splende come se fossimo ancora in estate e ancora pochi giorni fa dalla finestra vedevo il mio vicino andare al mare. Va bene, è livornese il mio vicino. Quindi va al mare. Sempre e comunque.
Quest’anno però è diverso e se il cambiamento climatico continua così, tra un paio d’anni diventeremo tutti livornesi. Coccolati da temperature estive anche in autunno, ci sdraieremo sotto la folta chioma degli alberi e mangeremo fragole a novembre.
[3 vini contro la malinconia autunnale]
Certo, anche in futuro, in questo periodo dell’anno farà buio presto. Senza una fitta nebbia però, senza una pioggia insistente e un vento impetuoso, la mera mancanza di luce non basterà a condurre la nostra anima nel regno della dolce malinconia autunnale.
Ciò nonostante tutta questa anomalia meteorologica si risolverà tra poco. Con un bel po’ di ritardo l’autunno arriverà anche quest’anno. Sono tutti d’accordo. Dalle profezie di Nostradamus fino al servizio meteorologico dell’aeronautica militare: il tempo di novembre sarà sufficientemente brutto da togliere l’allegria anche a Mike Bongiorno.
[Autunno: 3 vini contro la malinconia (2017 edition)]
Preparatevi. Quando “l’invisibile ragno della malinconia” (Bolesław Prus) vi morderà, avrete bisogno di un rimedio forte e affidabile.
Vi propongo questi.
Col d’Orcia, Pascena | Moscadello di Montalcino DOC 2013
Il Moscadello di Montalcino è un vino storico. Mentre oggi tutto il mondo associa Montalcino alla produzione di vini rossi, per secoli la terra ilcinese è stata il dominio incontrastato di un vino a base di Moscato Bianco.
Nominato già nel 1540 in una lettera di Pietro Aretino, il Moscadello fu poi elogiato da papa Urbano VIII, Francesco Redi, Ugo Foscolo e il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo. Spesso è stato anche menzionato nei libri di viaggio degli autori stranieri del Grand Tour e in tanti trattati di agricoltura toscana.
Solo a cavallo tra Ottocento e Novecento inizia il suo declino. Il motivo è duplice. L’oidio, la peronospora e poi la fillossera distruggono gran parte delle moscadellaie, come erano chiamate le vigne piantate a Moscadello. Quando la viticoltura si riprende, le scelte cadono sul Brunello, mentre il Moscadello sopravvive solo in piccole nicchie. Particolarmente sensibile alle malattie della vite, é considerato un vitigno difficile, e per questo non è molto amato dai viticoltori.
Col d’Orcia è la più grande azienda vinicola biologica della Toscana. Conosciuta soprattutto per il Poggio al Vento, il suo pluripremiato Brunello di Montalcino riserva, è anche uno dei più importanti promotori del Moscadello. Siamo a sud di Montalcino, accanto alla Banfi.
ll Pascena è un vino da vendemmia tardiva con un appassimento naturale sulla pianta. Viene vinificato in parte in barriques e in parte in acciaio inox termocondizionato.
Giallo dorato, bello e luminoso. Portato al naso rivela profumi di litchi e rosa che fanno pensare un attimo ad un Gewürtztraminer prima che sentori di pesca sciroppata, accenni di salvia e miele riportano tutto al quadro olfattivo tipico del Moscato bianco. Entra in bocca con una squisita dolcezza mielata che si scioglie nel finale con note di albicocche.
Sergio Mottura, Muffo | Lazio Passito IGT Grechetto 2015
Dire Grechetto e dire Sergio Mottura è quasi la stessa cosa. Si deve proprio a lui la riscoperta di questo antico vitigno delle terre tra l’Umbria e il Lazio.
Sin dagli anni Sessanta ha dedicato le sue energie allo studio e alla valorizzazione del Grechetto. All’epoca era poco diffuso nelle vigne e spesso mescolato ad altre varietà, perciò nessuno pensava di vinificarlo in purezza. Lui lo fa e con successo. Seleziona i biotipi migliori, ascolta i consigli di altri e sperimenta.
Nel 2001 il suo Latour a Civitella, un Grechetto secco, affinato in barriques, é stato il primo vino bianco italiano ad essere premiato con i tre bicchieri del Gambero Rosso.
Il Muffo è un vino attaccato dalla Botrytis Cinerea. Un fenomeno raro e prezioso. Ci sono pochi luoghi al mondo in cui nascono grandi vini muffati. I più famosi sono il Tokaj ungherese, le Trockenbeerenauslesen (TBA) tedesche e il Sauternes francese. Tre fari indiscutibili per tutta la categoria.
La Botrytis Cinerea è un fungo parassita che si può presentare in due forme diverse: come benevole muffa nobile o come devastante muffa grigia.
Per poter sviluppare tutte le caratteristiche positive della muffa nobile, le spore della botrytis hanno bisogno di determinate condizioni climatiche, ovvero, un alternarsi regolare di brevi fasi umide a fasi secche prolungate. L’ideale è una nebbia mattutina seguita da una giornata di sole. Solo così la botrytis lavora all’interno dell’acino dove altera il metabolismo dell’uva generando composti chimici responsabili dell’aroma particolare dei vini botritizzati.
Altrimenti, in caso di una prolungata umidità, la botrytis si presenta sulla buccia del grappolo d’uva nella veste di muffa grigia che, anziché migliorare le prestazioni del grappolo, lo distrugge.
Il Muffo di Sergio Mottura viene prodotto con uva proveniente da due vigneti, l”Umbrico” e il “Mecone” che si trovano nelle vicinanze del lago di Alviano, creato nel 1963 da uno sbarramento del Tevere. Le nebbie causate da questo lago creano il microclima ideale che fa sì che la Botrytis assuma la forma nobile e non quella della muffa grigia. Matura in barriques di rovere francese.
Di colore oro ramato sprigiona intensi profumi di zafferano, albicocche disidratate e agrumi canditi a cui fanno seguito sentori di noci e miele. In bocca non è eccessivamente dolce e in perfetto equilibrio tra la parte alcolica e quella acida. Ottima persistenza. In chiusura fa ritornare aromi di agrumi prima di congedarsi con un finissimo saluto sapido.
Zerbina, Scaccomatto, Romagna Albana DOCG 2013
Lo Scaccomatto è un vino passito ottenuto da uve Albana, il vitigno bianco autoctono più conosciuto della Romagna. Menzionata già da Pier De’ Crescenzi nel suo Trattato di Agricoltura (1303), l’importanza dell’Albana viene riconosciuta ufficialmente nel 1967 quando entra come vitigno nella DOC Albana di Romagna.
Stranamente, all’epoca non era ancora prevista la tipologia passito che verrà contemplata solo dal disciplinare del 1987, anno in cui l’Albana di Romagna diventa il primo vino bianco DOCG. Più tardi, nel 2011 cambia nome in Romagna Albana ed è in quell’anno lì che ha inizio la vera valorizzazione di questo vino, che vede come protagonista Cristina Geminiani, enologa e titolare della Fattoria Zerbina.
La zona di produzione del Romagna Albana DOCG comprende le province di Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna. Dai 2599 ettari nel 2000 la superficie coltivata ad Albana è scesa sotto i mille ettari. Questa drastica riduzione dei quantitativi è stata però accompagnata da una crescita qualitativa considerevole.
Il fulcro qualitativo per la coltivazione dell’Albana sono i terreni caratterizzati dal cosiddetto ‘spungone romagnolo’, una roccia arenaria calcarea, ricca di fossili marini che si protrae dal torrente Marzeno fino a Bertinoro e che dona grande eleganza e morbidezza ai suoi vini. La fattoria Zerbina si trova proprio lì, al confine settentrionale dello spungone, a dieci chilometri a sud di Faenza.
Lo Scaccomatto non è un vino della tradizione. Nasce da un preciso progetto di Cristina. È lei ad individuare nelle zone più basse, vicino al torrente Marzeno il microclima ideale per lo sviluppo della muffa nobile. Una vendemmia scalare, cioè a più riprese, e la scrupolosa selezione dell’uva che spesso consiste nel becchettare acino per acino quelli migliori, sono gli altri elementi fondamentali per questo grande muffato.
L’uva dello Scaccomatto proviene da un’attenta selezione dei migliori grappoli di due vigne. Nei primi tempi si vinificava in parte in acciaio e in parte in barriques ma da alcuni anni fa solo acciaio.
Il vino si veste di un colore giallo dorato, intenso e luminoso. In evidenza le caratteristiche note di botrytis e sbuffi di vernice. Ben presto questo sipario si alza dando pieno spazio a intriganti sentori di riduzione di agrumi, zucchero filato, mallo di noce e banana.
In bocca rivela una densa e avvolgente dolcezza che gioca a ping pong con una rinfrescante acidità dal timbro agrumato. Finale lungo con un crescendo sapido.