Se anche solo una decina di anni fa mi avessero detto che oggi (ma è fenomeno ormai maturo, che si autoalimenta da diverso tempo) alcune delle più interessanti letture internazionali sul vino fossero su carta e non solo sul web, avrei probabilmente liquidato l’informazione come un qualcosa di molto improbabile, se non addirittura impossibile. Dai, allora eravamo nel pieno della rivoluzione dell’editoria: il digitale aveva appena preso il sopravvento e le redazioni tradizionali si avviavano verso se non la chiusura un deciso ridimensionamento; immaginare un qualsiasi tipo di futuro per la carta stampata, specie quella più di nicchia, era un azzardo a dire poco.
Indipendente: che nasce dal basso, che non è prodotto da una casa editrice e che quasi sempre si sostiene solamente grazie alle vendite, senza quel tipo di distribuzione considerata come classica (quella delle edicole) e quindi solo grazie ai propri lettori, via abbonamento e non. Oh, chiariamo bene: la rivoluzione dell’editoria indipendente degli ultimi 10 anni non è stata casuale e in ogni settore ha rappresentato una straordinario focolaio di buone idee e di energie positive. Un movimento che ha trovato terreno fertile presso un pubblico stanco di sfogliare riviste piene zeppe di pubblicità, spesso non così interessanti dal punto di vista giornalistico e anzi a volte fin troppo autoreferenziali.
L’editoria indipendente sul vino
Non solo: editoria indipendente è spesso sinonimo anche di approfondimento, contenitore di long-stories, articoli lunghi e lunghissimi che solo di recente hanno trovato spazio anche sul web e che da sempre hanno nella carta uno sbocco per certi versi naturale. Per non parlare di fotografie di qualità stampate su una carta all’altezza. Gli esempi potrebbero essere moltissimi e abbracciano ogni campo della cultura. Salto quindi a piè pari l’importanza che hanno avuto per la scena editoriale contemporanea riviste come Kinfolk o Cereal, The Gourmand o Apartamento, Printed Pages o Another Escape, solo per citare alcune tra le tante decine che hanno lasciato un segno, e passo direttamente a ciò che più mi interessa: la scena internazionale dell’editoria del vino.
Parentesi: dal 2004 esiste The World of Fine Wine, da molti considerata come la migliore pubblicazione periodica al mondo sull’argomento. Magazine capace di vantare firme altissime e prestigiosissime, raffinato ed elegante, che però è difficile ascrivere al fenomeno dei magazine indipendenti: non solo perché oggi di proprietà di un grande gruppo ma anche a causa di un prezzo non proprio popolare (30 sterline) e una distribuzione unicamente su abbonamento. Bella invece l’esperienza di Alquimie, pubblicazione australiana con cui ho avuto il piacere di collaborare pubblicata tra il 2013 e il 2017 capace di guardare al mondo del beverage nella sua interezza e in particolare a tutte quelle nuove tendenze che in quegli anni si stavano affacciando sul mercato.
Non che in Italia non ci siano stati casi di straordinario interesse, anzi. La romana Porthos è stata per esempio la rivista che più di ogni altra ha impattato nella cultura del vino contemporanea tricolore, straordinario laboratorio di scrittura e di pensiero prima ancora che di degustazione. Progetto ante litteram a tutti gli effetti, nato a cavallo del millennio e affiancato/seguito da progetti oggi non più attivi, anche quando di grande valore (su tutti: Enogea e Pietre Colorate). È però con la lingua inglese che i magazine più interessanti sono riusciti a trovare quella diffusione capace di renderli sostenibili.
Wine (un)Ehthusiast
Dimenticate Wine Spectator o Wine Enthusiast. C’è infatti un altro aspetto che è stato fondamentale nel decretare la nascita e in alcuni casi il successo di questi progetti: la capacità di raccontare un mondo del vino “altro”, lontano anni luce dall’establishment patinato delle grandi maison, dai punteggi centesimali e in questi anni in sempre maggiore crescita. Il mondo dei vini naturali nel senso più ampio del termine, un universo fatto di produttori più o meno piccoli, di territori a volte trascurati, di artigiani di particolare personalità. Un universo che la cosiddetta stampa mainstream non ha mai davvero fatto suo e che solo recentemente ha provato a raccontare (con una certa fatica, a dimostrazione di un gap culturale non così semplice da colmare). Non solo questo tipo di narrazione alla base del loro successo, anzi, se però si parla oggi di editoria indipendente nel mondo del vino il legame con il mondo del vino naturale appare quanto mai stretto, a dimostrazione di un focolaio ancora lontano dal sopirsi e capace autoalimentarsi nel tempo anche grazie a un sempre maggiore scambio di idee e di esperienze tra vignaioli provenienti da ogni parte del mondo.
Ecco tre riviste da tenere d’occhio, non le uniche, ma quelle che più di altri mi sembrano avere una linea editoriale di particolare interesse.
Noble Rot
Nel mondo dell’editoria del vino c’è forse stato un prima e un dopo Noble Rot, magazine inglese che prende il nome dall’omonimo locale/ristorante/wine-bar di Londra. Ne è passato di tempo dai primi numeri che richiamavano quelle fanzine underground degli anni 90, quasi fotocopiate e distribuite in modo un po’ casuale. Oggi quello di Dan Keeling e Mark Andrew è progetto maturo, capace di superare con slancio i primi 5 anni di vita tra illustrazioni sempre irriverenti e uno stile un po’ punk tra nuovi territori del vino e grandi classici.
Non solo vino ma anche cucina, musica, in generale arti creative in un melting pot che funziona sempre e che ha dimostrato quanto ogni storia possa valere la pena di essere raccontata, se affrontata con originalità.
Pipette
Se oggi c’è un magazine che più di altri ha voluto prendersi sulle spalle la narrazione del vino naturale contemporaneo quello è certamente Pipette. Rachel Signer ha saputo circondarsi di collaboratori di valore portando una bella ventata d’aria fresca grazie a una scrittura mai banale in un progetto editoriale di particolare piacevolezza, attuale e dinamico.
Una pubblicazione che guarda più alle persone che ai loro vini, figlia di quell’idea che vede sempre il vignaiolo al centro di un ecosistema dove le bottiglie sono solo una piccola parte di un mosaico più ampio. Tante storie, tante testimonianze, tanti racconti da tutto il mondo, senza gerarchie ma anzi con la giusta curiosità, che si tratti dei Colli piacentini o della regione di Gippsland, nello stato di Victoria, Australia.
Above Sea Level
Magazine monografico a cadenza annuale che nelle intenzioni vuole rappresentare “una nuova prospettiva sul vino”. Il primo numero era dedicato alla California, il secondo al Portogallo in un susseguirsi di pezzi organizzati con una logica geografica, capace di abbracciare tutte le principali zone produttive.
Aimee Hartley, giornalista inglese già collaboratrice di un mostro sacro come Monocle, con Above Sea Level vuole dimostrare quanto il vino sia una sintesi di una serie di fattori culturali che hanno a che fare con altri campi, non strettamente legati al sapere agricolo di quello specifico luogo, dall’enogastronomia al design. Il bello è che ci riesce.
[immagini: Noble Rot, Pipette]