Vino: la battaglia contro le etichette anti-alcol ha senso?

Le etichette che avvisano i consumatori sui potenziali danni dell'alcol sono uno strumento utile di consapevolezza e conoscenza: perché di alcol si muore (e tanto).

Vino: la battaglia contro le etichette anti-alcol ha senso?

La questione è talmente mainstream che ci si è messo in mezzo perfino Al Bano: “Cosa mai capiranno gli Irlandesi di vino?“. Il tema sono le nuove controverse etichette che in Irlanda avviseranno i consumatori dei danni causati dall’alcol, un po’ come già avviene con le sigarette.

La proposta è stata notificata dalle autorità di Dublino alla Wto a Ginevra il 6 febbraio scorso, e questo significa che chiunque sia contrario ha novanta giorni per sollevare le sue opposizioni. L’Italia, c’è da dirlo, ce la sta mettendo tutta, con una task force che c’è mancato poco arrivasse anche con un monologo sul palco dell’Ariston.

Coldiretti ha sottolineato la necessità di “fermare un pericoloso precedente che mette a rischio un prodotto simbolo dell’Italia“. Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida è arrivato perfino a scomodare la resistenza pur di combattere con le unghie e con i denti l’ennesima battaglia in nome dell’italianità: “Attiveremo tutte le forme di resistenza rispetto a un provvedimento che divide l’Europa“, ha detto.

Più cauto e misurato Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte, che ha sottolineato l’unico aspetto effettivamente discutibile, ovvero la generalizzazione sul prodotto “alcol”, su cui forse bisognerebbe fare dei distinguo: “Associare il vino all’alcol vuol dire essere ignoranti su ciò che è il vino, e noi non possiamo avere un’Europa ignorante“, ha detto Cirio.

Il mercato del vino in Italia

vino

Non c’è da stupirsi di tanta indignazione, in effetti. D’altronde, il mercato del vino in Italia rappresenta un settore fondamentale, storicamente ed economicamente, con un fatturato complessivo di circa 13 miliardi di euro e un export che ha toccato gli 8 miliardi di euro nel 2022.

Siamo i primi produttori al mondo in termini di volumi, con 50 milioni di ettolitri di vino prodotti ma, come tutti, siamo anche un Paese che sta vedendo un calo dei consumi tra le nuove generazioni: i ragazzi bevono meno, e bevono meno vino, per cui le vendite sono in discesa in quello che ormai è un trend consolidato.
Per cui, la preoccupazione è che le etichette che avvisano di come il vino “nuoce alla salute” possano dare il colpo di grazia al settore.

Ma il vino nuoce alla salute?

La risposta a questa domanda è ovviamente sì, inutile girarci intorno. Viviamo in una società che ha sempre tollerato con fin troppa leggerezza l’eccessivo consumo delle sostanze alcoliche, ed è ora che qualcuno lo dica. Normale che i nostri ragazzi si ubriachino, normale alzare il gomito durante il sabato sera, indipendentemente dall’età. Una narrazione che non ha aiutato nessuno, sicuramente non la società e nemmeno il consumo consapevole del vino.

Perché se è vero che non tutto l’alcol è dannoso allo stesso modo, è pur vero che anche il vino è alcol, e di alcol si muore. E tanto. Nel 2016, nel mondo, il consumo dannoso di alcol è stato responsabile di più di tre milioni di decessi ogni anno (il 5,3% di tutti i decessi). Ripetete con noi: il 5,3% di tutti i decessi del mondo è riconducibile al consumo di alcol. A dirlo è l’Organizzazione mondiale della sanità nel rapporto “Global status report on alcohol and health”. E anche se solo l’11,7% dell’alcol viene consumato sotto forma di vino, la situazione si ribalta totalmente nella Regione europea, dove la percentuale di consumo di vino sul totale arriva al 29,8%.

Che vi piaccia o no, il problema alcol riguarda fortemente proprio la Regione europea: è qui infatti che è stata rilevata dall’Oms la maggiore incidenza di decessi alcol-attribuibili, ed è qui che si concentrano la maggior parte delle persone (14,8% uomini e 3,5% donne) che soffrono di disturbi legati al consumo di alcol. Proprio nella zona che beve più vino.

Le etichette come sulle sigarette: cosa ci insegna la storia recente

Dunque, alla fine, un’etichetta che avvisa dei potenziali pericoli legati all’alcol forse non è del tutto una cattiva idea. Tanto più che qualcosa di simile già c’è, con il disegnino che avvisa le donne incinte che non è il caso che bevano. E tanto più che alla fine la storia dimostra che le etichette servono per avvisare e informare, non certo per affossare un settore. Lo prova la storia delle sigarette, il cui mondo gridò allo scandalo quando nel 2003 l’Oms adottò la convenzione quadro per la lotta anti-tabacco. Anche in quel caso, si trattava di una sostanza potenzialmente molto dannosa per la salute che però era stata sempre ampiamente diffusa e tollerata in tutto il mondo. Allo stesso modo che con la sbronza del sabato sera, era ed è considerato assolutamente normale che i ragazzini a un certo punto fumino la loro prima sigaretta. Le etichette, forse, hanno provato semplicemente a sovvertire un pochino questa narrazione, e guardandola a posteriori non ci sembra poi un’idea così malvagia.

A distanza di dieci anni, il mercato delle sigarette è tutt’altro che morto, ma la letteratura ci ha restituito una certa utilità degli avvertimenti nel creare consapevolezza sui rischi legati al fumo. Le informazioni contenute sulle etichette sono state infatti recepite dal 95% dei consumatori, anche se solo il 14% dichiara di aver diminuito temporaneamente il numero di sigarette fumate dopo aver letto gli avvertimenti, e solo il 5% ha provato a smettere.

Dunque, le etichette non sembrano aver fatto diminuire i fumatori, ma aver aumentato la loro conoscenza dei danni a cui vanno incontro. Anche perché si stima che un fumatore che consuma venti sigarette al giorno sia esposto in un anno a 7000 avvertimenti: come a dire, repetita iuvant, soprattutto visto che si dice che l’alcol tenda a far dimenticare.