Vinitaly è superato? Intervista a Matteo Ascheri, presidente del Consorzio Barolo e Barbaresco

Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di Tutela di Barolo e Barbaresco, ha lanciato la bomba: "il Vinitaly è un paradigma superato". Lo abbiamo intervistato per mettere il dito nella piaga.

Vinitaly è superato? Intervista a Matteo Ascheri, presidente del Consorzio Barolo e Barbaresco

Chiuso il sipario su Vinitaly – e smaltita l’ebbrezza di un numero non ben precisato di assaggi e assaggini- è il momento di tirare le somme. A richiamare ad una riflessione sul senso o meno della presenza di un produttore a questa fiera è Matteo Ascheri, imprenditore e presidente del Consorzio di tutela del Barolo e Barbaresco. Ha smorzato di parecchio l’entusiasmo post-fieristico l’annuncio che quello appena concluso per la sua azienda sarà l’ultimo Vinitaly.

E se è vero che i vinnaturisti già da tempo hanno dimostrato di voler andare per conto loro, che a disertare  “La” fiera del vino italiana per antonomasia sia il rappresentante di un consorzio di questa portata fa pensare. E parecchio, considerando che quello del Barolo e del Barbaresco non si può propriamente definire alternativo o radicale nelle proprie scelte comunicative. D’altronde il numero uno del Consorzio non le manda a dire. Vinitaly rappresenta un «paradigma superato» ridotto a «fiera delle vanità», insomma un evento oltremodo fané sul quale è arrivato il momento di interrogarsi seriamente. Ce n’è per tutti, eh. Per l’Ente fiera ma anche per i produttori stessi che a dire di Matteo Ascheri devono iniziare «ad assumersi maggiore responsabilità».

Il Vinitaly è un paradigma superato-Intervista a Matteo Ascheri Presidente del Consorzio di Tutela di Barolo e Barbaresco

Abbiamo capito che dall’anno prossimo come produttore dirà addio a Vinitaly. Ma partiamo in maniera soft. Di questa edizione appena terminata cosa salviamo?

È stato certamente bello incontrarsi e vivere una sorta di ritorno alla “normalità”. Per carità a Vinitaly si fanno tante pubbliche relazioni, se sei fortunato allacci pure qualche contatto interessante. Ma finisce lì. Ne vale la pena dunque?

 

A parere suo quello di Vinitaly è un paradigma superato. Ci spieghi meglio.

Le fiere avevano una funzione essenziale anni fa quando gli affari li facevi lì. Oggi non è più così. Entriamo in contatto con nuovi clienti quotidianamente e con mezzi decisamente meno costosi. Oggi ci si sente via mail, su Skype o su Zoom. Se hanno bisogno di campioni li spediamo in tutto il mondo in tempi brevi. Insomma i soldi investiti in una fiera come Vinitaly posso essere spesi meglio. Non ho la pretesa di avere la verità in tasca. Ma parlando da viticoltore interessato a promuovere il proprio prodotto penso che per farlo Vinitaly non sia più necessario.

 

Questa opinione personale quanto è condivisa a livello consortile?

Guardando la realtà dei fatti il Consorzio di Barolo e Barbaresco già non è presente con un proprio stand a Vinitaly. Preferiamo giocare altri campionati. Lo abbiamo avuto anni fa per un’edizione ma è finita lì. A livello di Consorzio le assenze dei produttori sono diverse, dunque che la partecipazione a Vinitaly non sia più essenziale non sono l’unico a pensarlo. Poi chiaro, ciascuna azienda decide per sé. Come Consorzio ci sono altri eventi alternativi non strettamente fieristici che si rivelano più efficaci per promuovere il nostro marchio, un marchio che dobbiamo legare al territorio, facendo passare il concetto unificatore di “Langhe”.

 

Ci faccia qualche esempio.

Penso a Grandi Langhe o all’Asta del Barolo. Sul fronte estero faccio l’esempio della Barolo & Barbaresco World Opening, la più grande degustazione dedicata alle due denominazioni mai organizzata negli Stati Uniti che coinvolge duecento dei nostri produttori. La seconda edizione è in programma il 28 e 29 aprile a Los Angeles. La prima è stata un successo, e da quella in arrivo ci aspettiamo altrettanto. Questo per dire che abbiamo delle alternative e volendo anche più efficaci per farci conoscere. Come Consorzio promuoviamo il nostro marchio e il nostro territorio e questo non avviene attraverso le fiere.

 

Dunque per promuoversi in modo efficace che si fa?

Si investe meno sull’apparenza e di più sulla qualità del prodotto. La promozione migliore sta nel fare grandi vini. Questo è lo scopo ultimo delle cantine, grandi vini e riconoscibili. L’altro aspetto essenziale è attirare visitatori sul territorio offrendo buona accoglienza, strutture di qualità e visite in cantina che da noi sono in gran parte personali. Il rapporto umano che s’instaura in cantina ha grande valore. Dobbiamo essere in grado di ospitare al meglio chi vuole venirci a trovare.

Veduta sui vigneti delle Langhe

Dunque ormai Vinitaly ha fatto il suo tempo.

È come il Natale. È un rito stanco. Tutti lo festeggiamo ma è una festa che per la maggior parte di noi si è svuotata di senso, eppure continuiamo a celebrarla. Vedo aziende spendere cifre esagerate per essere a Vinitaly con stand faraonici. Dentro più che la fiera del vino sembra la fiera delle vanità. Poi fuori dai padiglioni vedi i giovani ubriachi.

 

Anche quest’anno in cui c’è stata più selezione?

Sì anche quest’anno ho assistito a scene che non fanno onore all’evento. Certo, quest’anno c’è stata più selezione all’ingresso e la cosa è apprezzabile. Di domenica per esempio ho notato con piacere l’assenza della sfilata di passeggini come avveniva fino a pochi anni fa. Nulla contro le famiglie con i passeggini s’intenda, purché nel contesto giusto, non ad una fiera di settore che dovrebbe essere riservata a professionisti e addetti del settore. Non sono mancati poi politici e autorità in passerella tanto da chiedersi se siamo noi al loro servizio più che il contrario.

 

Ammesso che sia superato, come si può “svecchiare” Vinitaly?

Un buon punto di partenza potrebbe essere lavorare sui prezzi degli stand – ancora troppo elevati – e poi migliorare sul fronte dei servizi e dell’ospitalità. I giorni di Vinitaly sono sinonimo di code in auto, code per il parcheggio, taxi introvabili, alloggi costosissimi con tariffe triplicate.

 

Nessun ripensamento allora, a Vinitaly 2023 non la vedremo.

No, riaffermo che l’anno prossimo non ci sarò. Niente Vinitaly e niente ProWine, a cui fra l’altro già non partecipavo. Così come niente eventi e manifestazioni fatti da persone esterne al mondo del vino. Bisogna alzare l’asticella.

 

Se l’Ente fiera deve fare le proprie valutazioni ai produttori cosa diciamo?

I produttori si devono assumere le loro responsabilità, devo essere i primi a capire dove investire in promozione in modo consapevole. Devono chiedersi: lo faccio perché lo fanno tutti, o lo faccio perché è veramente efficace? Ci vuole una progettualità. A partire dai Consorzi che dovrebbero avere una progettualità sulla promozione dei propri marchi. Le risorse di certo non mancano, faccio riferimento a fondi europei che arrivano a pioggia. Prima si chiedono i fondi e poi si decide che cosa farne. Io sarei per fare il contrario ovvero prima progettare e poi richiedere le risorse. Bisogna rischiare, cercare nuove strade. È rischioso, lo so. Ma è tempo di assumersi qualche rischio.

 

Guardando ad altri “mondi vinicoli” anche i vinnaturisti stanno prendendo le distanze dalle fiere tradizionali promuovendosi attraverso canali e manifestazioni alternative. Da loro ce l’aspettavamo, da un consorzio così istituzionale come il vostro francamente no.

Sul mondo del vino naturale non mi esprimo. Non me la sento di dare opinioni su un settore che porta un nome a parere mio già errato in partenza. Che fra un prodotto che si colloca tra l’uva e l’aceto non ci sia manipolazione è fuori dalla mia concezione. Non me ne faccia parlare per favore.