Vernaccia di Oristano: cosa rende unico il vino sardo millenario

Cos'è la Vernaccia di Oristano, dalla "flor" alla produzione. Origine, curiosità, abbinamenti, quali bottiglie provare.

Vernaccia di Oristano: cosa rende unico il vino sardo millenario

La retorica che affligge il comparto vinicolo italiano è ben nota. Il racconto di un’uva o una denominazione italiana non può prescindere dai richiami ai Greci o ai Romani, a Columella o a Plinio; in una parola: alla tradizione. Come se esistesse un filo diretto tra il vino di allora e quello che beviamo oggi. È tuttavia evidente come non sia così: i diversi gusti, la maggior conoscenza e le conquiste tecnologiche non possono farci bere oggi lo stesso vino di secoli fa. Dunque, la tradizione è spesso un mero artificio retorico quando si parla di vino. Ma esistono le eccezioni: nel contesto della Vernaccia di Oristano, non si può evitare di parlare di tradizione. Non solo è appropriato: è necessario.

Origini e storia della Vernaccia di Oristano

Prima di tutto, la questione gender: c’è chi declina il vino al maschile, come il consorzio da poco nato di cui parleremo più avanti, chi al femminile, seguendo il dialetto sardo che chiama il vino “sa Granazza”. Servirebbe come non mai l’uso dello schwa, ma dovendo fare una scelta di campo privilegeremo sempre la storicità, per cui largo al femminile.

La Vernaccia di Oristano, prima DOC riconosciuta della Sardegna con decreto del 1971, è prodotta al 100% da uve vernaccia, vitigno a bacca bianca. L’etimologia del termine ‘vernaccia’ pare derivare dal latino ‘vernaculus‘, ossia indigeno, paesano; a battezzarla così furono i Romani che, giunti in Sardegna, trovarono quest’uva parte integrante del territorio (per lo stesso motivo esistono diverse vernacce in Italia, tipo la Vernaccia di San Gimignano in Toscana o la Vernaccia di Serrapetrona nelle Marche, che nulla hanno in comune se non il nome). Ma va precisato che la vite viene coltivata nella valle del Tirso dall’epoca Nuragica, come dimostrano alcuni ritrovamenti di primitivi vinaccioli in località Sa Osa: vinaccioli morfologicamente simili a quelli dell’odierna vernaccia.

Cos’è la pizzetta cagliaritana, che fuori dalla Sardegna non si trova Cos’è la pizzetta cagliaritana, che fuori dalla Sardegna non si trova

Forse, essendo dei continentali, potrebbe non esserci chiaro il concetto di ‘epoca nuragica’: siamo attorno al 3000 a.C., un millennio prima che un certo Remo rimediasse una spadata da tal Romolo sul colle Palatino per questioni di confine tra fondi contigui. Ecco, in Sardegna a quel tempo esisteva una civiltà avanzata che effettuava selezioni massali delle viti e le coltivava in maniera ‘professionale’. Ma vogliamo aggiungere un altro dato? Si parla di almeno due secoli prima che i Fenici colonizzassero l’isola. E noi ancora qui a raccontarci la storia che la viticoltura in Sardegna fu introdotta dai Fenici. Se però foste dei pignoli e voleste dei dati incontrovertibili sulla storicità di questo vitigno, essa è nominata nel Breve di Villa di Chiesa, un codice legislativo risalente al 1327.

Come si fa la Vernaccia di Oristano

L’attuale zona di produzione si trova nella bassa valle del Tirso, precisamente in quattro sottozone: San Vero Milis, Solarussa, Simaxis e Oristano. Un’ulteriore differenza risiede nella geologia dei territori: ci sono i bennaxi, terreni alluvionali più vicini al letto del Tirso, profondi, freschi e a matrice limo-sabbiosa; e ci sono i gregori, di origine più antica, a matrice ciottolosa mista ad argilla tenace, dunque meno fertili. La breve distanza dal mare caratterizza le condizioni pedoclimatiche dei territori dove la vernaccia prospera, donando un tipico clima mediterraneo costantemente ventilato e mai troppo freddo.

Ma la caratteristica principale della Vernaccia di Oristano la si trova nel suo metodo produttivo: tutto parte con una classica vinificazione in bianco dove gli zuccheri vengono tutti convertiti in alcol etilico; già, la Vernaccia di Oristano è un vino inequivocabilmente secco. In primavera il vino viene trasferito in botti di castagno o di rovere, riempendole però solo al 75-80%, lasciando una considerevole quota di aria sovrastante. Ora, tutti noi sappiamo che è auspicabile non far prendere troppo ossigeno al vino, pena la sua ossidazione e conseguente perdita di qualità organolettica. Invece nel caso della Vernaccia di Oristano, come di altri vini simili (Marsala, Sherry, ecc), l’obiettivo è proprio ottenere un vino ossidato, contraddistinto da nuove e affascinanti molecole aromatiche (principalmente aldeidi, per chi apprezzasse l’aspetto chimico del processo).

Cos’è la flor

E non solo, perché in queste condizioni nelle botti di Vernaccia si forma una delle cose più affascinanti del mondo del vino: la flor. Essa non è nient’altro che un velo di lieviti saccharomyces cerevisiae che, dopo aver ultimato la fermentazione alcolica, galleggiano sulla superficie del vino limitando l’incidenza dell’ossigeno. Per far sì che si formi, il tenore alcolico del vino deve essere tra il 14,5% e il 16%: al di sotto del 14,5% si possono attivare gli acetobacter, con spiacevole formazione di acido acetico, mentre al di sopra del 16% i lieviti muoiono e non formano alcuna flor.

Stando in ambiente aerobico, i saccharomyces procedono a metabolizzare l’alcol etilico ad acetaldeide, più altre molecole che contribuiscono alle peculiarità gusto-olfattive della Vernaccia di Oristano. Uno potrebbe dire “ma se i lieviti metabolizzano l’alcol allora il grado alcolico diminuisce”. Vero. L’evenienza è però scansata dalla contemporanea evaporazione dell’acqua dalle botti, che devono giocoforza essere collocate in cantine costantemente ventilate. L’affinamento minimo in botte è di almeno due anni, quattro anni se si volesse puntare alla menzione “Riserva“. Nulla vieta di tenere il vino in botte per decenni, come alcuni produttori fanno.

E siccome abbiamo detto che parlare di Vernaccia di Oristano significa tirare in ballo la tradizione ogni due per tre, il metodo produttivo risale anch’esso all’epoca pre-romana. Sono stato reso edotto sull’argomento da Davide Orro, proprietario dell’azienda Famiglia Orro, che ha dedicato gli ultimi 30 anni della sua vita allo studio e alla valorizzazione del Vernaccia di Oristano (lui lo declina al maschile). Davide mi ha parlato di ritrovamenti di anfore dove il vino veniva conservato e, probabilmente, sviluppava già allora la sua flor. L’affermazione è sostenuta dal fatto che i romani erano soliti conciare il vino, attraverso l’aggiunta di miele, spezie, acqua di mare, per rendere appetibile un liquido evidentemente poco potabile. Eppure in Sardegna i Romani trovarono questo vino che poteva essere bevuto senza necessità di alcuna concia. E lo battezzarono “vinum mirratum”, chiamando in causa un paragone con la mirra per rimarcare quanto fosse prezioso. E siccome in questa storia tutto è saldamente collegato con km e km di fil rouge, quale è il termine sardo che racchiude tutto quanto riguarda il gusto, il bouquet aromatico, l’atmosfera che circonda un calice di Vernaccia di Oristano fatto come iddio comanda? Murruai, sicura contrazione nel tempo del termine ‘mirratum’, intraducibile in italiano. Non pensate che siano solo vezzi folkloristici: una spiegazione del concetto di murruai ve la ritrovate anche nel disciplinare di produzione della Vernaccia di Oristano.

Caratteristiche del vino e abbinamenti gastronomici

vitigno vernaccia

Ok, tutto chiaro, ma il vino come è? Un vino riconoscibile, intenso, dal colore ambrato, armonico nella sua particolarità. Mettendo in conto che ogni vino è una storia a sé, le sensazioni principali di un Vernaccia di Oristano ricordano il miele, la mandorla, l’elicriso e, nelle versioni più invecchiate, la liquirizia. E quando parlo di versioni più invecchiate sono assai serio: la cantina Contini ha lanciato sul mercato il Vernaccia di Oristano Doc “Antico Gregori” 1979. Millenovecentosettantanove. Ed è uscita sul mercato adesso. Il vostro classico vino bianco di 45 anni.

Va detto che non è la norma sarda uscire sul mercato con vini dall’affinamento pluridecennale, anzi questi sono esemplari da approcciare dopo un po’ di allenamento. E ve lo posso confermare, avendo esordito nel mondo della Vernaccia di Oristano con un’annata 2002 aperta la scorsa settimana. Ancora più consone sono le parole di Davide Orro: “Non si può pretendere di stappare una Vernaccia da lungo invecchiamento e comprenderla appieno all’istante. Il limite è nel palato non allenato. Bisogna andare per gradi, partire da brevi affinamenti“. Ma allora la Vernaccia di Oristano è un vino difficile? Sempre Davide Orro: “niente affatto, è un vino anzi molto versatile.

Nei Vernaccia affinati due/tre anni la flor esprime il suo massimo gustolfattivo. Un vino del genere noi lo abbiniamo al ‘su fumigai’, ossia il filetto del muggine affumicato (per voi continentali va bene anche un salmone affumicato fatto bene). Ma sta bene anche accanto a un fiore sardo di media stagionatura, così come accanto a un torrone. Insomma un vino davvero da tutto pasto. Con il progredire poi degli anni di affinamento la flor perde il suo effetto e spiccano maggiormente carattere ossidativo e concentrazione. Un Vernaccia del genere sai con cosa sta bene? Con una poltrona, silenzio, un libro“. Ok, ma se fossimo inopportunamente circondati da esseri viventi, cosa possiamo abbinarci di edibile? “Un fiore sardo da lunga stagionatura, quasi piccante, oppure dei classici amaretti di Oristano“.
Ho chiesto anche a Marco Delugas, sommelier dell’Antica Dimora del Gruccione, qualche consiglio enogastronomico: “io e la chef Sara Congiu abbiamo studiato per anni un piatto che si abbinasse bene anche con le Vernacce più invecchiate, e siamo arrivati alle Lorighittas al sugo di quaglia sfumato con abbamele, zafferano e capperi disidratati. Per chi non potesse venire al Gruccione c’è sempre l’abbinamento classico della Vernaccia: spaghetti con la bottarga, che però mal si sposa con i lunghi invecchiamenti”.

I produttori

La Vernaccia di Orro

Purtroppo per la Vernaccia, i gusti degli ultimi decenni non hanno mostrato predilezione verso i vini di natura ossidativa. Gli ettari piantati a vernaccia nella valle del Tirso sono passati da oltre 1500 negli anni ’70 ai circa 400 attuali, con sole sette cantine che oggi producono Vernaccia di Oristano DOC, consumato prevalentemente in Sardegna. Peró non si pensi a un trend discendente, tutt’altro. Gli ettari vitati sono in leggero aumento negli ultimi anni, e la Vernaccia non è comunque mai uscita dalle abitudini dei sardi.

Come dice Antonello Mulas della Vineria Cellarius 78 di Cabras (OR): “la vernaccia è stata bistrattata negli anni, poiché non era considerata come vino da pasto. Un esempio: il Karmis di Contini, uva vernaccia vinificata in bianco, senza ossidazione e senza flor, usciva come Vernaccia della Valle del Tirso IGT. Il vino non veniva comprato perché la gente non era attratta dal pasteggiare con la vernaccia. Quando è uscito sul mercato come Bianco Tharros IGT, il Karmis è esploso, ed oggi  è uno dei maggiori contribuenti al fatturato aziendale” (oggi il Karmis è etichettato come Bianco Isola dei Nuraghi IGT ed è un blend di vernaccia e vermentino).

Sullo stesso argomento si è espresso anche Marco Delugas: “i vini che qui beviamo di più sono le Vernacce da brevi affinamenti, 2/3 anni al massimo, quelli che servono per ottenere ‘su murruai’. I lunghi affinamenti nascono da una tradizione radicata in Sardegna: quando lasceva una figlia femmina una botte di Vernaccia veniva lasciata a riposo fino a quando questa figlia non si sarebbe sposata (ancora oggi vedo molte botti identificate con nomi femminili). Il vino di quella botte sarebbe poi stato offerto il giorno del matrimonio”.

Proprio per diffondere la Vernaccia e la sua storia, e anche far capire che non è solo vino da meditazione ma che, nelle sue molteplici versioni, presenzia benissimo a tavola, Davide Orro, assieme a Mauro Contini ed altri produttori, si sono riuniti ad ottobre 2022 davanti a un notaio per firmare l’atto di fondazione del Consorzio Vernaccia di Oristano DOC. E, pur sembrando un controsenso, è partendo dalla diffusione delle ‘vernaccine’ come le chiamano Antonello Mulas e Marco Delugas, che passa la via del successo della Vernaccia di Oristano DOC. Per ‘vernaccine’ si intendono vini a base vernaccia prodotti sì tramite botti scolme e formazione di flor, ma dal breve affinamento, non sufficiente a raggiungere la DOC e dunque etichettabili solo come Valle del Tirso IGT. Vini più immediati e beverini, ma che richiamano il murruai del fratello maggiore più stagionato e blasonato, in modo da far avvicinare gradualmente il consumatore a questo vino magico.

Ho approfittato della gentilezza di Marco Delugas per chiedergli qualche consiglio per gli acquisti e, da buon sardo, non è stato nè reticente nè parco di informazioni: “ce ne sarebbero decine di bottiglie notevoli ma, senza voler far torto a chicchessia, te ne indico quattro, tutte Vernaccia Valle del Tirso IGT: ‘Corbesa’ di Cantina del Rimedio, fatto con un blend di diverse annate (prezzo attorno ai 20€); ‘Eleonora’ di Fratelli Serra (attorno ai 15€); ‘Componidori’ di Contini, l’ultimo nato in azienda, una vernaccia che affina in botti di rovere che prima hanno contenuto vernacce invecchiate e tracce di flor (attorno ai 15€); e infine il ‘Crannatza’ di Famiglia Orro (attorno ai 20€)”.

Pensandoci, non sarebbe neanche la prima volta che una IGT funga da traino per una DOC. A questo punto non posso fare altro che attendere con fiducia un Vernaccia Tour in continente, perché si fatica a restare indifferenti di fronte a questo vino millenario e di impressionante versatilità.

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