Esotismo contagioso, arredi ispirati ai mari del sud, drink all’insegna dei sapori tropicali. Sono i tiki-bar, una realtà quasi conosciuta in Italia. Non così negli Stati Uniti, attraversati negli anni Cinquanta da una bizzarra mania per tutto ciò che riguardava la Polinesia, in una sola parola il Tiki: rappresentazione stilizzata del corpo umano in forma di divinità.
I tiki bar celebravano l’idea romantica e un po’ naive di paradisi esotici incontaminati, un baluardo contro la civiltà moderna e il progresso forzato: mobilio semplice, suppellettili in bambù, statue da mitologia primitiva, spettacoli di danze e piatti tipici della Polinesia francese come i granchi “Rangoon” e “rumaki”. E ovviamente i drink, serviti in tazze e bicchieri che richiamavano l’artigianato locale.
Dopo aver prosperato per una decina d’anni i tiki bar originali sono finiti presto fuori moda, e nonostante la cultura Tiki abbia conosciuto un revival negli anni Novanta, il numero dei sopravvissuti è diventato esiguo anche negli Stati Uniti, prima che la nuova onda dei bar esotici provvedesse a rimpinguarli. Con qualche distinzione da fare.
Oggigiorno i giovani foodie americani tendono a definire tiki qualunque locale abbia nel menu un paio di cocktail con ingredienti esotici, e magari ignorano i pochi autentici tiki-bar rimasti, per colpa di drink non proprio memorabili.
Nonostante tutto, esistono ancora tiki-bar che non si rifanno soltanto a languide atmosfere polinesiane, ma sfoderano sfilze di “boat drink” dal sapore dolce e leggermente speziato, ricchi di colore e fantasia, fatti in genere con rum o vari tipi di rum, uno o più succhi di frutta o agrumi, come ananas, arancia, frutto della passione, guava e cocco, guarniti con ciliegie al maraschino, frutti o agrumi freschi.
Spesso le miscele sono versate in contenitori naturali: noci di cocco, ananas svuotati, conchiglie o bicchieri in ceramica che riproducono maschere tiki.
Tiki-ti, probabilmente il tiki-bar migliore del mondo
Tra questi tiki bar, di sicuro il migliore è quello di Ray Buhen, come segnala Punch, che nel lontano 1961 aprì il suo Tiki-Ti sul Sunset Boulevard, a Los Angeles, dove si trova ancora oggi.
Ray ha appreso i rudimenti del mestiere lavorando con Don the Beachcomber, pioniere dei tiki-bar, e ora il figlio e i nipoti portano avanti la tradizione, con tanto di custodia gelosa delle ricette originali, in questo piccolo locale arredato con 12 sgabelli, atmosfere “tiki-kitshc” e addirittura 94 cocktail che portano la firma della casa.
Drink di tutto rispetto come i classici del genere, dal “Beachcomber al “Bahama Mama”, dal “Blue Hawai” al “Planter’s Punch”, e ovviamente il “Mai Tai”, drink quintessenza della cultura Tiki, inventato nel 1944 al Trader Vic, il più leggendario dei tiki-bar.
Nu Lounge Bar, sicuramente il tiki-bar migliore d’Italia
La passione italiana per i tiki-bar ha la fragilità dei culti recenti. Ma anche la prepotenza. Non siamo ancora né saremo mai al livello degli americani, ma ci difendiamo.
Su tutti il “Nu Lounge Bar” di Bologna, sotto i portici di via de’ Musei a due passi Piazza Maggiore, regno indiscusso del mattatore Daniele Dalla Pola, bartender campione del mondo, baffuto riferimento della cultura Tiki in Italia, ma prima di ogni altra cosa gran personaggio.
Lo si potrebbe descrivere come un bistrot modaiolo adatto all’aperitivo e a chi cerca qualcosa di più sostanzioso, anche da mangiare, dove non manca mai la musica tropicale.
Ma sarebbe un ritratto parziale, che non tiene conto dei sapori e delle influenze che Dalla Pola riesce a cucire addosso ai suoi clienti, afferrando con uno sguardo il tipo di cocktail più adatto.
Grande passione, talento naturale coltivato in anni di esperienza, conoscenza enciclopedica riversata in “Exotic Cocktails – how to make a tropical drink”, ricettario di drink classici ma con il tocco Dalla Pola, trucchi del mestiere e va da sé un corposo paragrafo riservato ai tiki cocktail.