“Sputo fatti” edizione vino: un trend social che è cringe quando dice la verità

Sputiamo fatti: sciorinare banalità sul vino offendendo chi non se ne intende o peggio, dire inesattezze pur di attirare l'attenzione, non ci rende grandi wine influencer.

“Sputo fatti” edizione vino: un trend social che è cringe quando dice la verità

È stata raggiunta una nuova frontiera dell’anti-divulgazione a tema vino sui social: il trend “sputo fatti”. Per chi non ne fosse a conoscenza, beato/a lui/lei, è un trend che non riguarda solo il vino e che ormai spadroneggia su TikTok e Instagram, inaugurando nel migliore dei modi il 2025, giusto per abbassare le aspettative generali qualora ne avessimo ancora qualcuna.

L’obiettivo del trend sembra essere elargire verità ‘scomode’, senza censure né tentennamenti cerchiobottistici. Pare anche che in questo trend debba essere l’ironia a regnare, e ci mancherebbe che noi non supportiamo tenacemente l’ironia e chi ne faccia largo e buon uso. C’è solo un problema: per essere ironici bisogna essere bravi. Parecchio bravi. Dover dire “guardate che ero ironico” è il più luminoso manifesto della propria mediocrità comunicativa (che c’è, ho sputato troppo forte?).

E restando in materia di comunicazione fallace, ve lo diciamo chiaramente: i reel “sputo fatti” sul vino appaiono solo come video irritanti e inutili (volevate della saliva fattuale, no?). Lo sono perché prendono di mira abitudini inveterate della stragrande maggioranza delle persone che bevono vino; gente che non ha fatto neanche un corso di avvicinamento al vino, che non sa come mai serva proprio un calice a tulipano per apprezzare bene il vino, quali profumi si possano percepire, da dove essi provengano, etc.

Fatti sputati ovvi

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Ironizzare su un paio di Birkenstock e su chi le compra non solo è lecito: è sacrosanto (dai, come fate a pagare un prezzo a tre cifre per un paio di ciabatte, e su), ma questo perché sotto attacco ci finisce un oggetto dalle caratteristiche ben precise. Dire invece, come fa uno degli influencer nel suo ‘ironico’ reel, “se tieni il calice come una palla da baseball hai qualche problema” è soltanto offensivo, non ironico. Stigmatizza un comportamento che tuttavia non è attuato con dolo, semplicemente perché tante persone sottovalutano o ignorano del tutto il problema derivante dal mantenere per lungo tempo a contatto con la mano un liquido che va bevuto sempre al di sotto dei 20 °C.

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Oppure, un’altra perla ‘ironica’ è “se al ristorante paragoni il costo delle bottiglie di vino con quelle che trovi on line, probabilmente non capisci una mazza“. Davvero un ottimo modo di spiegare a chi non se ne intende il ricarico operato dal ristoratore e derivante dai costi di cantina, di servizio (il tipo che te lo versa il vino percepisce uno stipendio, sapete) etc. Ah, comunque si paragona “a”, non “con”.

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Anche la sfera delle interazioni social viene toccata: “se non rispondi ai commenti o ai messaggi dei tuoi follower […] il mio follow non l’avrai più“, dura e scomoda verità, che per terrore generato viene battuta solo dall’antico “con te non ci gioco più. E mi porto via il pallone”.

Fatti sputati non veri

Infine la frase che, complice una mia meschina senescenza imperante, mi ha fatto gonfiare la vena alla De Rossi (Daniele, non Barbara). A sputarcela sono Ilaria Cappuccini e Andrea Zigrossi: “se ordini uno Champagne o un Prosecco, stai ordinando la stessa cosa: uno spumante“. Certo, Champagne e Prosecco sono entrambi spumanti, ma domineddio non potranno mai e poi mai essere la stessa cosa: uno è francese e l’altro italiano (la latitudine, questa sconosciuta); uno può essere prodotto a partire da uve pinot noir, pinot meunier e/o chardonnay (più eventuali altre varietà) e l’altro a partire da uva glera (più eventuali altre varietà); uno è un metodo classico (la seconda fermentazione avviene in bottiglia), l’altro è un metodo Martinotti (la seconda fermentazione avviene in autoclave); i due profili aromatici sono totalmente differenti; etc.

Lo scivoloso parallelismo Champagne-Prosecco, così come questo trend di “sputare fatti”, sono un’esemplare rappresentazione della monumentale superficialità della comunicazione del vino affidata ai social network. Comunicazione che, duole dirlo, viene favorita (meglio, favoreggiata) dalle aziende vinicole e dai consorzi di tutela delle varie DOC, che si affidano a questi influencer pensando di svecchiare le tematiche e, non so, magari attrarre dei giovani.

Tuttavia, come abbiamo detto più e più volte, la maggior parte dei consumatori di vino non sa nulla dal punto di vista teorico, né è stata mai educata a degustarlo. E di certo non saranno dei reel perculatori a rendere queste persone finalmente edotte. L’unico effetto che avranno è allontanarle ancora di più, cementando in loro la convinzione che il vino sia bevanda da snob.

Comunicare il vino, se si persegue l’obiettivo di diffonderne la cultura, significa giocoforza parlare di dettagli tecnici, approfondire e fare esempi. Reel da un minuto o due non possono fare altro che incuriosire, ma poi si deve per forza spendere del tempo a spiegare. La bravura sta tutta nell’essere divulgativi senza apparire pedanti o pallosi.

Al contrario, quest’ultimo ritrovato dei social network non “serve a dire delle verità che nessuno vuole sentirsi dire”, citazione di un altro influencer, ma solo a rinfocolare un po’ la propria immagine social, sfruttando il vino come mero pretesto. Purtroppo, si raggiunge solo il risultato di apparire piuttosto imbarazzanti. Anzi, cringe.