Sabato 22 Gennaio, con una breve nota, il magazine online Marsica Live diffonde la notizia che all’interno del marchio Birra del Borgo è in corso un ridimensionamento che porterà al licenziamento di almeno 40 dipendenti.
L’annuncio, arrivato tramite mail (Il Gusto ha riportato il testo della mail stessa, da cui risulta evidente che la notizia è stata comunicata prima tramite videoconference ai dipendenti e poi confermata tramite posta elettronica) rimbalza velocemente sul media locale, in cui si riporta che l’azienda avrebbe deciso di “ridurre i posti di lavoro lasciando di fatto in piedi solo il settore della produzione. I reparti interessati dovrebbero riguardare il gruppo commerciale, il gruppo marketing, lo storico birrificio di Collerosso e tutte le attività commerciali site a Roma, Osteria [di Birra del Borgo di Via Silla] e Bancone di Piazza Bologna. Rimarrà aperto solo quello di Spedino e qualche collaboratore presente in quella sede operativa. Il totale sarebbe di circa 40 dipendenti, a rischio già dal primo febbraio”. Per ora non c’è stata nessuna conferma o smentita ufficiale, per cui il condizionale rimane d’obbligo.
Facendo un breve passo indietro, il 18 Gennaio L’Osteria di Birra del Borgo in Prati aveva dato comunicazione tramite post sui social di una chiusura che, tuttavia, sembrava temporanea e dovuta al rialzarsi dei contagi di Covid-19. “Abbiamo cercato di resistere fino all’ultimo ma purtroppo siamo costretti a chiudere, temporaneamente, l’Osteria. Rimanete sintonizzati, vi comunicheremo tramite social la riapertura, speriamo il prima possibile perché già ci mancate. Se non riusciamo a garantire qualità nel servizio e la migliore esperienza possibile, preferiamo chiudere. Ma torniamo presto, questione di giorni, promesso”. A questo post aveva fatto eco, il 22 Gennaio, un messaggio identico sul profilo del Bancone di Birra del Borgo a Piazza Bologna. Nessun segnale invece dalla location di Spedino, frazione di Borgorose.
Di Settembre 2021 invece, l’ufficializzazione della notizia della dipartita di Luca Pezzetta, pizzaiolo in carica all’Osteria dal 2017, anno in cui arrivò anche la consulenza di Gabriele Bonci. Poco meno di un anno dopo, durante il Salone del Gusto, proprio Dissapore registrò un suo intervento in cui Bonci dichiarò, quasi per caso, di aver concluso il rapporto con il marchio: “In Birra del Borgo ho avuto un esempio di come lavora una multinazionale e me ne sono andato. La qualità della cucina è veramente pessima. Al grande compleanno di Birra del Borgo, sotto il marchio Bonci, hanno venduto supplì surgelati, non fatti da noi. Non sono stato trattato in maniera etica, è un posto dove il lato umano non c’è più. E questa è la multinazionale”.
Con la liquidazione dei dipendenti, sembrano lontanissime le parole di Leonardo Di Vincenzo (poi fuoriuscito nel 2019 dopo 3 anni da amministratore delegato, come ricorda in queste ore anche Cronache di Birra) fondatore del marchio Birra del Borgo, che all’indomani della vendita al colosso Ab InBev, società leader mondiale nella vendita di birra con sede in Belgio e oltre 500 brand nel portafoglio, tra cui Corona, Leffe, Beck’s e Stella Artois, fece appello alla calma mentre dal mondo della birra artigianale gli piovevano addosso critiche e stoccate: “Birra del Borgo non cambierà, state tranquilli. Anzi avremo più serenità, più libertà, più know how, maggiori investimenti in ricerca e sviluppo”. Sviluppo che in effetti c’è stato, con la nascita di nuove collaborazioni, l’apertura dei locali a firma, le sponsorizzazioni a eventi e chef, l’arrivo massiccio nella grande distribuzione.
Tuttavia quello che sta succedendo dalle parti di Birra del Borgo, nonostante umanamente difficile da digerire, non è un copione nuovo. Anzi. È almeno dal 1974 che l’interesse delle multinazionali straniere volge lo sguardo sull’Italia. In quell’anno toccò proprio ad Algida, acquisita da Unilever, il primo di una serie di brand italiani dell’agroalimentare a finire in un circuito internazionale, a cui ne seguirono molti altri. Probabilmente Birra del Borgo fu una delle più clamorose, proprio perché il marchio aveva militato a lungo tra le file della birra 100% artigianale e sembrava, almeno dall’esterno, il più distante possibile da un mondo del genere.
Il percorso di crescita e decrescita di Birra del Borgo, compresso istericamente tra chi applaudì la vendita e chi la considerò un vero e proprio tradimento, è in effetti un copione già visto. Prima di tutto da parte delle multinazionali di quella portata, che vedono proprio nell’aumento delle dimensioni una scelta obbligata per non scomparire e rimanere competitive sul mercato, portando avanti acquisti seriali sul mercato.
Dall’altro lato, le strategie di gestione post vendita sono comunque ricorrenti. Scrive Luigi Riva sul Sole 24 Ore che per una multinazionale “la crescita deve comportare un effettivo salto dimensionale e quindi deve rappresentare anche un momento di discontinuità nella governance e nella gestione dell’impresa. È necessario lasciarsi alle spalle una fase artigianale, anche se di altissimo livello qualitativo, ed entrare a tutto tondo in una fase industriale adeguando processi, strutture ed organizzazione; con, ad esempio, una chiara distinzione tra proprietà e gestione, una struttura manageriale e di governance ben definita e la possibile apertura del capitale azionario ad azionisti terzi o avvio di un percorso verso la quotazione in Borsa”. Cose che ci sembra di aver visto proprio da Birra del Borgo.
E in una prima fase dopo l’acquisizione, le rassicurazioni sulla continuità tra un’azienda e l’altra sono tutt’altro che nuove. Pensiamo all’acquisto recentissimo di Cedrata Tassoni da parte del Gruppo Lunelli, dopo il quale Matteo Lunelli ha affermato di voler puntare “a rafforzare ulteriormente il marchio, posizionandolo come il Luxury Soft Drink italiano per eccellenza”. Mentre proprio nello stesso settore, dopo l’acquisizione di Asahi nel 2016, Peroni dichiarò che avrebbe continuato “a produrre le sue birre di qualità negli stabilimenti di Roma, Padova e Bari, rifornendosi del malto italiano dalla sua Malteria Saplo di Pomezia, proprio come avvenuto finora“. Amici come prima, fino a che non arrivano le complicazioni. Una pandemia inaspettata, la chiusura delle attività ristorative, l’aumento delle materie prima, la necessità di ridurre il gettito dei costi. Più complessivamente forse, rivedere l’intero posizionamento prospettato per Birra del Borgo sul mercato italiano.