Les jeux sont faits, il Prosecco rosé è realtà: se ne compiace il Consorzio della DOC, con il beneplacito del Mipaaf, se ne congratulano il popolo di Instagram, da sempre attento alla tradizione, e il presidente della regione Veneto Luca Zaia, che proprio nelle scorse ore ha dichiarato:
“Il Prosecco rosé era una realtà per gli amanti del buon bere, basta pensare che in un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti l’84% degli intervistati dicono di conoscerlo, oggi questa realtà può vantare anche il riconoscimento ufficiale. Abbiamo aggiunto una nuova gemma a quel diadema di 500 milioni di bottiglie all’anno che è il mondo del Prosecco”.
E se gli amanti del buon bere devono avere molta immaginazione, il Prosecco rosé era tra i pensieri (e negli incubi) di produttori e divulgatori. Si è iniziato a parlare di una versione rosata del nostro vino più esportato all’estero nell’Aprile del 2018, quando il presidente del Prosecco Doc, Stefano Zanette, dichiarò di essere aperto ad una revisione del disciplinare,che consentisse la produzione di Prosecco Rosè sfruttando il Pinot Nero (già consentito dalla Denominazione di Origine Controllata), ed eliminando quindi l’obbligo di utilizzare le stesse uve vinificandole esclusivamente in bianco.
Un Prosecco ottenuto quindi con la parte di Pinot Nero vinificato in rosso. Un Prosecco, citiamo testualmente l’espressione di allora, “premium”.
La notizie fece ovviamente discutere parecchio e non mancarono le critiche e le decise prese di posizione in direzione contraria. La delegazione trevigiana dei Vignaioli Indipendenti prese immediatamente le distanze, con un breve comunicato, che riporto in parte qui sotto, in cui erano indicate le ragioni per cui un Prosecco premium rosè, prodotto con uve Pinot Nero, sarebbe potuto essere – parafrasando Fantozzi- la corazzata Potemkin:
- Il concetto di qualità “Premium” è già espresso dai vignaioli con l’utilizzo della Glera e con una viticoltura accorta;
- L’idea che sia necessario il Pinot Nero come migliorativo dequalifica, non solo l’identità della Glera, ma anche quella dei vitigni autoctoni a bacca rossa già esistenti nel territorio;
- Prevedendo una tipologia “Prosecco Rosè” si andrebbe a rendere ancor più generalista l’idea del Prosecco diluendo ogni concetto legato a tradizione e cultura di un luogo;
- Con l’introduzione del “Prosecco Rosè” viene cancellata ogni politica di valorizzazione del territorio portata avanti con fatica negli anni.
E mentre le posizioni di alcuni produttori erano chiaramente contrarie, c’è chi si mostrava più possibilista e proponeva soluzioni alternative (Michele Fino proponeva di utilizzare, per esempio, l’uva nera del Piave Raboso), consapevole che la proposta di Zanette poggiasse sul muscolare principio del marketing, sul potenziale in termini di vendite e su una crescita costante che sarebbe stato sciocco non cavalcare. Non certo su storia e tradizione.
Perché dunque non sostituire il Pinot Nero con una varietà autoctona? O magari una varietà resistente? Proposte che in un caso sarebbero state più in linea con il tanto osannato “terroir”, e dall’altro più coerenti con le scelte fatte dalla DOC Prosecco, quindi più credibili, e magari pure più efficaci, sul fronte del marketing: una varietà del luogo (che poi recuperare i vitigni è un sacco di moda), per ribadire l’impegno profuso nella direzione della totale sostenibilità tanto sbandierata e per poter parlare di tradizione senza farsi ridere addosso da chi di vino ci capisce qualcosa.
Che poi, il Pinot Nero, non è certo una varietà di facile coltivazione.
Come sarà il Prosecco Rosè
A quanto pare a nulla sono valse le obiezioni e le proposte alternative. È stata approvata ieri, all’unanimità, dal Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, la proposta di modifica del disciplinare di produzione della DOC Prosecco che prevede appunto l’introduzione della tipologia Rosé. Si chiamerà “Prosecco spumante rosé millesimato”, con queste specifiche:
Vitigni: Glera e 10%-15% Pinot Nero
Resa per ettaro: 18 tonnellate per la Glera e 13,5 tonnellate per il Pinot Nero
Seconda fermentazione – Metodo Martinotti/Charmat: minimo 60 giorni
Le vendite saranno possibili dal 1° Gennaio dopo la vendemmia
Residuo zuccherino: da Brut Nature a Extra Dry
L’etichetta dovrà riportare l’indicazione “Millesimato” e l’anno (minimo 85% delle uve dell’annata)
Manca solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore del Decreto Ministeriale, che ufficializzerà la modifica a livello nazionale avviando l’iter comunitario che culminerà con la definitiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. “A tutti coloro i quali hanno contributo all’ottenimento di questo importante risultato – ha commentato il Presidente del Consorzio di tutela della DOC Prosecco, Stefano Zanette – va il nostro ringraziamento che, in considerazione del momento che stiamo vivendo, è particolarmente sentito”.
Non mi stupisce affatto che la DOC Prosecco abbia accolto con euforia la notizia. I numeri parlando ed evidentemente c’è chi ha tutti gli interessi per ascoltarsi. La speranza semmai era che si riuscisse a sganciarsi da questo marketing del vino anni ’90, anche e soprattutto per valorizzare il lavoro di chi quel territorio ha cercato negli anni di rivalutarlo, dandogli maggiore dignità e identità. Ma il soldo (subito) batte sempre la lungimiranza, a quanto pare.
Mettiamoci il cuore in pace: il vino italiano più esportato e fotografato ha fatto la sua scelta. Adesso, che nessuno provi a imitarlo, la caricatura del Prosecco può farla solo il Prosecco, ed è tutta rosa.