Più che le piogge incessanti di questi mesi, a gettare fango sui vigneti delle Langhe è servito un video. Siamo così abituati a credere che il caporalato non esista, che fatichiamo a crederci anche quando viene messo sotto ai nostri occhi. Quando, per esempio, un giovane ragazzo viene abbandonato a bordo strada con un braccio mozzato, senza che gli venga prestato soccorso. Oppure quando, in quei vigneti dove ci piace passeggiare o fare i pic nic, per sentire il profumo di quelle uve che diventeranno vini pregiati, i lavoratori vengono minacciati e picchiati con un bastone di ferro.
I caporali nelle Langhe: il video
Fatichiamo a crederci e, come dice il ministro Lollobrigida, tendiamo a pensare che si tratti di casi isolati. Eppure, non è così vero che si tratta di situazioni singole. Il caporalato esiste, ed è incredibilmente diffuso, molto più di quanto non si immagini. E lo è perfino nelle ricchissime Langhe, là dove si coltivano le uve per realizzare alcuni dei migliori vini d’Italia e là dove la squadra mobile della questura di Cuneo ha appena arrestato tre persone per aver sfruttato e perseguitato, picchiandoli con un bastone di ferro, un gruppo di braccianti, costretti a lavorare per ore e a vivere in situazioni precarie per cui dovevano pure pagare l’affitto, ovviamente detratto dallo stipendio. Il video che dimostra i soprusi su queste persone ha fatto il giro del web, portando con sé la giusta carica di indignazione che in questi mesi successivi alla morte di Satnam Singh il tema ha. Anche nelle Langhe, ovviamente, il tema è caldo.
Cosa ne pensano i produttori?
I produttori langaroli si interrogano. Chi sarà l’azienda che ha adottato questi metodi? Forse alcuni di loro sanno, più probabilmente sospettano. Parlano, ipotizzano, ma sicuramente si preoccupano, anche per il danno di immagine conseguente a questa situazione. Il verdetto è unanime: una cosa del genere non è tollerabile, non deve succedere. Punto. Lo ribadisce anche Nico Conta, presidente di Enrico Serafino, storica azienda di Canale, tra i punti di riferimento (anche in termini numerici, con centinaia di migliaia di bottiglie vendute) del territorio.
Cosa ne pensa di questo video comparso sui social?
“Iniziamo docendo che sono atti criminali, da condannare senza se e senza ma. Ma non è che nelle Langhe ci sia quest’abitudine, si tratta per fortuna di casi abbastanza limitati. È chiaro che però il nostro è un territorio dove stridono particolarmente, perché è un territorio ricco. C’è un’agricoltura che non ha solo un dovere legale, ma anche morale, di applicare tutte le regole”.
Ovvero?
“Noi qui parliamo sempre di qualità, della necessità di non abbassare i prezzi, di non svendere il prodotto: è particolarmente evidente che qui non vadano bene comportamenti del genere”.
Dov’è che avviene il corto circuito?
“Io penso semplicemente che questa cosa passi prima di tutto attraverso le nostre coscienze: un imprenditore che non sente questo dovere, che non sente l’impegno morale di condividere la fortuna che questo territorio gli ha dato con le persone che lavorano con lui è vergognoso”.
Come si recluta la manodopera per i vigneti?
“Dipende da quanto vigneto hai: se hai superfici molto rilevanti, dove hai lavoro per tutto l’anno, magari hai dipendenti diretti. Se no tendenzialmente appalti le lavorazioni. Ma attenzione: questo sistema costa anche di più di avere dei dipendenti, perché bisogna pagare anche il servizio. Il vantaggio però è la flessibilità, la possibilità di lavorare sui picchi di stagionalità. Ma non c’è un vantaggio economico: se il costo è inferiore, significa che qualcosa non funziona, e questa è una verità assoluta”.
Quindi l’imprenditore è sempre consapevole di ciò che succede nei suoi vigneti?
“Le aziende che forniscono questi servizi, quelle che una volta si chiamavano cooperative, sono tante. Ci sono quelle serie, che ti applicano prezzi che tu sai che consentono di applicare tutta la normativa e di trattare dignitosamente i dipendenti. Se invece vai a cercare un risparmio eccessivo è ovvio che sai già che stanno risparmiando su quella parte lì. Non è una cosa in cui caschi per caso, è una cosa che ti vai a cercare”.
Perfino nelle ricche Langhe…
“Sì, anche qui qualcuno decide chiaramente di chiudere gli occhi. Ma noi non siamo un territorio con un’agricoltura povera che non può permettersi di dividerne il frutto con i dipendenti. Siamo arrabbiati, anche se sono solo casi isolati qui si gioca l’intera reputazione di un territorio: non avremmo mai voluto uno scandalo così sul nome Langhe, bisogna preservare questo nome che ci consente di presentarci come un’eccellenza nel mondo”.
Voi avete la percezione che esista il problema del caporalato sul territorio?
“Guardi, io non sono uno particolarmente ingenuo. Lo sappiamo che in agricoltura esiste questo rischio, non è che caschiamo dal pero. Però personalmente non lo percepisco come una cosa così presente, nelle nostre colline. Qui non lo percepiamo come un problema diffuso, ma proprio per questo quando succede bisogna intervenire con forza, perché non è accettabile. Non parliamo di qualcuno che ruba un chilo di pane per sfamare la famiglia, o di un imprenditore che prima di fallire tenta qualsiasi strada per salvare l’azienda: qui si tratta chiaramente di illecito guadagno”.
Ma siamo certi che siano solo casi isolati?
“Da noi sì, lo sono. Sicuramente qui possiamo parlare di pecore nere. Certo però che a livello generale la situazione in agricoltura può essere molto più complessa di così. Le analisi vanno fatte con attenzione, per non dire stupidaggini, guardando caso per caso. Da noi posso assicurare che si tratta di casi isolati, ma questo probabilmente non toglie gravità al problema”