“Dar da bere agli assetati”, dicono le Opere di Misericordia richieste da Gesù nel Vangelo. Non serve essere cintura nera di religione per saperlo (chi scrive non lo è decisamente): basta una veloce ricerca online per scoprire che l’acqua non si nega a nessuno, soprattutto a chi è in difficoltà. Da sempre e in ogni cultura. Tranne, evidentemente, che a Ventimiglia, dove il sindaco leghista Flavio Di Muro ha appena messo dei vigilantes a controllo del cimitero, perché qui i migranti venivano a usare i bagni pubblici, a lavarsi con l’acqua destinata ai fiori, a ripararsi tra gli alberi, finanche a dormire tra le tombe.
Cosa è successo a Ventimiglia
Lui, il sindaco, ha il dovere di “pensare all’immagine di Ventimiglia e alla serenità dei suoi abitanti. Alla sicurezza, al commercio. Al turismo“. Così, ha deciso di far presidiare l’accesso al cimitero del Paese.
“Nella giornata di ieri la vigilanza armata è intervenuta nei confronti di sparuti gruppi di migranti che hanno tentato di usufruire dei servizi igienici in modo improprio“, ha scritto trionfante il sindaco Di Muro sui social. “Per questa Amministrazione il mantenimento dell’ordine pubblico all’interno di un luogo sacro e di riposo dei nostri cari viene prima di qualsiasi cosa“.
Il custode, e anche la signora Sandra, che gestisce il negozio di fiori, parlano a Repubblica di poveretti che sostanzialmente non danno fastidio a nessuno, e che non sanno dove andare. Ma il sindaco non la pensa così: lui – dice – ha ricevuto tantissime lamentele dai cittadini, e alla fine ha deciso di intervenire drasticamente. Basta acqua pubblica per i migranti che arrivano a scroccarla al cimitero. Basta bivaccare tra i defunti. E, a chi gli fa notare che il suo comportamento non è molto cristiano (come ha fatto Michela Murgia), risponde spiegando che lui e la cittadinanza sono esasperati. “Venga a vedere coi suoi occhi quello che succede“, ha dichiarato rivolgendosi alla scrittrice sarda. “Venga a toccare con mano quello che i miei cittadini sono costretti a vivere ogni giorno“.
Che poi, magari, è anche vero. Capiamo che la signora che porta i fiori al defunto marito non ha piacere di trovarsi davanti un migrante appena sveglio che ha campeggiato lì durante la notte. E capiamo anche che quello è un luogo sacro, che come tale va rispettato. Ma vale la pena di chiedersi, ancora una volta, quanto bisogna essere disperati per rifugiarsi in un camposanto. Perché è questa la prima domanda che bisognerebbe farsi, quando si ascoltano storie di questo genere. Cambiare prospettiva: non la mia che ho il diritto di andare a far visita ai miei cari defunti senza incappare in qualche ospite indesiderato, ma la sua, che dorme e vive all’aperto e approfitta di un bagno pubblico per lavarsi un po’. E di fronte alla disperazione, non si può scegliere di chiudere il rubinetto dell’acqua.
Qui, prima ancora che alla legge e all’inviolabilità di diritti umani fondamentali come l’accesso all’acqua (per lavarsi o per bere) si dovrebbe fare appello al buon senso, allo spirito di fratellanza (quello sancito anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che recita appunto “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza“), a quello spirito cristiano che dice che a nessuno, nemmeno a un nemico, si nega l’acqua se è assetato.