Così avete fatto passare un altro anno senza iscrivervi a un corso sommelier, o a un più modesto corso di introduzione al vino, vero? E siete anche consapevoli di cosa vi aspetti: il cugino che dice di bere vino da quando era nella culla o lo zio che il vino se lo fa da solo dai tempi dei Savoia asfissieranno tutti con i loro luoghi comuni e le loro dicerie sulla bevanda più sacra.
Voi il vino buono lo porterete a Natale, ma morite anche dalla voglia di sbugiardare gli insolenti per amor di verità. Tuttavia difettate di nozioni. Cosa facciamo? Ascoltiamo in silenzio anche quest’anno le massime inesatte dei parenti di turno? Ah no di certo, stavolta guai a loro! Se veniste chiamati in causa saprete rispondere al fuoco nemico con bordate minime ma efficaci.
Il vino si fa con l’uva
Bene, da dove cominciare? Dal fatto che il vino si fa con l’uva. “Ma che mi prendi in giro?“. Affatto, e questo è anche una prima solida risposta al parente complottista, quello che parla di vino fatto ‘con le polverine’ o che ripete sempre la frase “il vino si fa anche con l’uva“, enfatizzando la congiunzione come fosse Gassman che legge Dante. Ebbene, per legge si può definire vino solo la bevanda ottenuta esclusivamente dalla fermentazione di uva o mosto d’uva. Punto e basta. Attacco respinto, uno a zero per voi.
Prosecco vs. Champagne
Altro scenario: aperitivo, viene servito un Prosecco. Il cugino con le Hogan sentenzia “certo che tra il Prosecco e lo Champagne non c’è partita, vince lo Champagne. Tu che ne pensi?“. Qui voi potete sistemarvi i polsini della camicia o l’acconciatura (o, se in possesso, entrambe le cose) e spiegare che il paragone non ha senso, che sono due spumanti ma il loro metodo produttivo è incomparabile, che la presa di spuma dello Champagne avviene in bottiglia (Metodo Champenoise o Classico) mentre quella del Prosecco in autoclave (Metodo Charmat) e che ogni tecnica fa risaltare specifiche e diverse caratteristiche organolettiche del vino (mi raccomando, premuratevi di dire ‘presa di spuma‘).
L’avversario, stordito, potrebbe avere un ultimo sussulto chiedendovi quali siano queste caratteristiche. Risposta per tutte le stagioni:”sentori prevalentemente floreali e fruttati nel Prosecco, fragranti e minerali nello Champagne“. La realtà è chiaramente più complicata di così, ma intanto voi ne siete usciti a testa alta mentre il cugino torna a guardarsi le Hogan.
Secco o fruttato?
A proposito di sentori fruttati, può darsi che vi venga servito un intramontabile Gewürztraminer e che di fianco a voi abbiate il classico uomo di mezza età, che rifiuta sdegnato quel vino perché anni di cultura patriarcale gli hanno insegnato cosa debba piacere ad un uomo e cosa sia di pertinenza esclusivamente femminile, e il Gewurzcoso non può mai piacere ad un fiero secretore di testosterone. Dato che avete accettato la mescita, con fare provocatore vi chiederà “e quindi a te piacciono più i vini fruttati di quelli secchi?“. Vi ha appena consegnato l’innesco della bomba sulla quale sta comodamente seduto. La distinzione è solo fra vino secco e vino dolce: il fruttato è una caratteristica organolettica, che va a braccetto con il floreale, lo speziato, il tostato, ecc. Un machissimo Sagrantino, con i tannini che calzano cingoli di acciaio, è fruttato, e parecchio pure. Sicché la domanda del maschio risulta priva di senso logico. E dopo averglielo sottolineato ben bene, bevete pure il vostro Gewürztraminer fissandolo negli occhi.
Il vino naturale non fa male
Mettiamo che invece sul desco ci sia un generico vino convenzionale. Tutti ne bevono, tranne vostra cognata, vegana. Al perché lei risponde “io bevo solo vino naturale da viticoltura biodinamica…“. E niente da dire da dire fin qua, una libera e rispettabile scelta. Ma se la frase proseguisse con “…perché quello non fa male alla salute“, potreste ribattere con solo tre parole, una congiunzione, un articolo e un sostantivo: “e l’alcol?“. L’alcol etilico, che piaccia o no, è classificato dall’IARC come sostanza cancerogena di gruppo 1, cioè fra quelle aventi precise evidenze di cancerogenicità. È chiaro che l’effetto dipenda dalla dose, è chiaro anche che prima di arrivare al rischio tumorale l’abuso di alcol abbia già fatto tanti altri danni, ma bere un vino biodinamico significa bere comunque una soluzione idroalcolica contenente dal 12% al 15% di alcol, tanto quanto un vino convenzionale. Il vino biodinamico può avere un impatto minore sull’ambiente, ma non fa certo ‘meno male’ rispetto ad uno convenzionale.
Nota: l’argomentazione può essere usata anche contro il parente non più di primo pelo che sostiene che il vino faccia addirittura bene. No, il vino non fa bene. Ci piace, ci rende allegri, ma non fa bene. Alla pronta obiezione “e allora perché tanto tempo fa i medici lo prescrivevano addirittura come cura?” potete ricordargli come neanche un secolo fa i medici prescrivessero per la cura dei bambini sciroppi contenenti morfina o altri oppiacei, oltre ad operare senza anestesia.
I solfiti
Infine, spesso capita di avere a che fare con il/la salutista che afferma di non bere vino perché è intollerante ai solfiti. L’intolleranza ai solfiti è cosa seria, ma nella mia esperienza ho apprezzato come spesso chi lo affermi menta. Per sbugiardarlo vi basterà ricordargli le chips con cui si è ingozzato di nascosto all’aperitivo o la frutta secca che mastica avidamente durante il giorno: possono contenere fino a 10 volte la quantità di solfiti ammissibile nel vino. Se la tana avviene con “You Lie” degli Skid Row in sottofondo si guadagneranno punti prestigio.
Questo piccolo compendio non è chiaramente esaustivo, e ogni famiglia ha i suoi esperti di vino con le loro marmoree e multiformi convinzioni. Non riuscirete a portarli sulla retta via, questo scordatevelo, ma magari metterete un argine al loro vacuo pontificare e la tavolata ve ne sarà grata.