Alto, di snella corporatura, azzimato, calvo, una folta barba bianca: così si presenta Luca Maroni, il Robert Parker di Formello. La sua biografia (rimasta aggiornata al 2016 sul suo sito) racconta di un impegno nella comunicazione del vino risalente agli anni ‘80, con collaborazioni sparse anche di un certo prestigio: Corriere della Sera, Rai, Enciclopedia Treccani.
Soffermiamoci sull’anno 1993, che vede la pubblicazione della prima edizione dell’Annuario dei migliori vini italiani. Questa guida, di dimensioni mastodontiche, riporta al suo interno tutti i vini degustati personalmente dall'”esperto analista sensoriale” nell’arco di dodici mesi, a fronte di un congruo pagamento come chiaramente stabilito dal contratto col vignaiolo disponibile sul sito, e corredati di un punteggio espresso su scala novantanovesimale.
Ecco quello che interessa a noi: i bollini con i punteggi di Luca Maroni che magari qualcuno di voi ha visto su alcune bottiglie di vino vendute per lo più nei supermercati: un’istantanea certificazione della qualità di un vino al consumatore. Perché chiunque legga un punteggio di 99 su un’etichetta è portato a pensare che quel vino meriti i suoi soldi, che sia un investimento felice, dato che col vino può ben capitare di rimanere delusi, soprattutto se si è inesperti.
I criteri di merito
Problema: di solito le guide di settore, pur nelle loro differenze, sono molto spesso concordi nel premiare alcune cantine blasonate o determinati vini iconici. Bene, Luca Maroni no. Se ne sbatte del blasone, se ne frega del palmares del tale vino: a lui preme solo constatare la qualità della bevanda nel suo calice ISO. Meglio: la sua piacevolezza, la sua fruttosità.
Luca Maroni ha messo a punto un metodo che, cito, “riesce in pratica a determinare in una formula la struttura chimica della piacevolezza del vino”. Un arzigogolo letterario alquanto ardito (struttura chimica della piacevolezza? Vabbè, sorvoliamo) per dire che se un vino piace a Luca Maroni si becca il 99, altrimenti no. Questo indipendentemente dal posizionamento sul mercato e dal prezzo della bottiglia in questione. Così capita che di tutti i vini di Angelo Gaja degustati da Luca Maroni nel corso del tempo il voto massimo raggiunto sia stato un 93 per il Barbaresco 2014, assegnato nel 2017 (negli anni precedenti il giudizio era estremamente più severo: al Barbaresco 1994 era stato comminato un ruggente 73); ma capita anche di vedere premiato con 99 da vari lustri consecutivi il Montepulciano d’Abruzzo “Janù” di Jasci e Marchesani. Janù viene venduto a circa 30€; dei vini di Gaja, per 30€, non vi danno neanche la bottiglia vuota per far bella figura.
La formula della piacevolezza

Ma allora quale è il metodo degustativo grazie al quale un monumento come Gaja può essere surclassato da Jasci e Mascherani? È arrivato il momento di svelare la formula della piacevolezza secondo Luca Maroni: essa è data da consistenza + equilibrio + integrità. Immediato sopraggiunge Stanis La Rochelle e la formula matematica della comicità, ma andiamo avanti.
Per consistenza Luca Maroni intende senza mezzi termini l’estratto secco del vino. Tanto più il vino è consistente, tanto più sarà valutato. Paradossalmente, un Syrah surmaturo del Lazio partirà sempre svariati metri avanti a un qualunque Grand Cru di Borgogna, per quanto ridicolo possa suonare (segnalo che proprio un Syrah Lazio IGP è stato premiato quest’anno da Maroni come 1st Best Red Italian Wine: l’Omnia Mater Limited Edition di Marco Mergé).
Poi viene l’equilibrio, rappresentato con un’altra equazione (in un’altra vita Luca Maroni sarà stato Évariste Galois): la somma delle sostanze a gusto acido e a gusto amaro deve eguagliare la somma delle sostanze a gusto dolce. Nel vino ideale nessuna delle tre componenti predomina. Tanti saluti ai vari Sagrantino e Aglianico che ci stanno leggendo.
Infine c’è l’integrità, ovvero “quando il sapore del frutto costitutivo è avvertito nella sua pulizia e nella sua novità“. Più il sapore del vino rimanda all’idea di frutto, più il vino è meritorio (glissiamo sul potente uso della barrique che i vini più premiati dimostrano di fare, non abbiamo il tempo). I tre parametri concorrono tutti al punteggio finale con un massimo di 33 punti cadauno; da qui il punteggio massimo di 99 raggiungibile dal “vino che è l’incarnazione della fruttosità, cioè della piacevolezza” (il 100 si assegna solo al vino perfetto, e questo per Luca Maroni non esiste. Vallo a dire a chi è arrivato alla scala in centodecimi).
Il metodo di Luca Maroni è valido o risibile?
Dunque, secondo questo sistema di coordinate, più un vino è carico di estratti, morbido e ricco di sapore, più sarà un vino piacevole. Va da sè che in questo modo perdono di rilevanza il luogo di origine delle uve, la tipologia di suolo, il tanto declamato terroir. Tutte le narrazioni sulla territorialità del vino vanno a farsi benedire: è il mero senso del gusto a comandare, e un Tavernello Cabernet Rubicone IGT può benissimo surclassare nel punteggio un Langhe Nebbiolo DOC di una cantina importante come Poderi Luigi Einaudi (94 a 89 per la cronaca).
In tanti continuano a criticare fortemente i punteggi, il metodo degustativo e il personaggio Luca Maroni: addirittura il Master of Wine Konstantin Baum ha dedicato un video un paio di anni fa al nostro esperto analista sensoriale, chiedendosi il senso di un sistema che attribuisce voti alti a vini mediocri e (soprattutto?) poco costosi.
Tutto è opinabile, e anche il sottoscritto non attribuisce grande qualità a un vino che punti solo sul calibro della palla di cannone aromatica da sparare. Gli amanti del vino ricercano in esso le minuzie, le peculiarità che colleghino la bevanda al fazzoletto di terra dove la vigna è stata piantata. E tuttavia va dato del credito a Luca Maroni per la coerenza espressa. Come ho avuto modo di constatare con il palato lo scorso 22 febbraio all’altisonante evento “i migliori vini italiani”, i vini premiati da Luca Maroni sono materici, quasi masticabili, dalla persistenza aromatica importante, sottoposti ad affinamento in barrique e, se possibile, a più o meno lungo appassimento prima della vinificazione.
Hanno dunque un pattern gustolfattivo condiviso, e il punteggio offre un solido orientamento al consumatore inesperto, quasi garantendo un’affidabilità che il mondo del vino non può, per sua natura offrire. Per cui, con tutti i limiti e le critiche indirizzabili, lunga vita a Luca Maroni. Anche fosse solo per il linguaggio con cui vengono scritte le note di degustazione, un italiano artificiosamente aulico che rimbalza nel comico; ma ne parleremo un’altra volta.