Non amo i “piattini” dell’aperitivo: nove volte su dieci sono zeppi di roba scadente e pure rafferma: pizzette avanzate dalla mattina, tramezzini camuffati alla bell’e meglio dopo che hanno languito nella vetrinetta sotto il solleone. Del buffet manco dico, ché gli “apericena” sono una elle grandi iatture della contemporaneità.
Ma c’è una cosa che trovo perfetta –PERFETTA– per il momento dell’aperitivo, le olive.
Mi piace prendere l’aperitivo, d’estate soprattutto: verso le sette con gli amici ordini un bicchier di vino, un pre-dinner, un campari, una birretta in attesa che arrivi il momento della cena.
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A quell’ora, complice il bere, viene voglia di qualcosa da spiluccare ma non ci si vuole rovinare l’appetito. Dunque, bandito il “piattino”, spesso ci si dirige verso noccioline o patatine.
Io trovo entrambe esagerate: le noccioline sono una droga cui non si riesce a resistere fino alla nausea; le patatine sono fritte e lasciano quella fastidiosa patina sulla lingua (per non parlare di quelle con gli aromi).
Le olive, invece, sono perfette.
Taggiasche. Pugliesi. Calabresi. Greche. Nere. Verdi. Piccole. Grandi. In salamoia. Condite. Col nocciolo. Denocciolate.
Vanno tutte bene: sono il perfetto punto di contatto tra dolce, amaro, acido, grasso e salato per accompagnare un bicchier di bianco gelato. Una tira l’altra come le noccioline ma invece di invadere la bocca di quel sapore oleoso e riempire le gengive di detriti, lasciano il palato pulito, anzi, stimolano l’appetito.
Da ragazzo quando andavamo in osteria in Liguria prendevamo un gottu de giancu –un bicchier di pigato – e la signora lo accompagnava con una ciotola di taggiasche in salamoia.
Così è l’aperitivo perfetto: olive e niente più.