È un comunicato decisamente vivace quello del Consorzio Alta Langa DOCG, ben oltre le sei atmosfere tipiche di uno spumante: sarà l’entusiasmo del riconoscimento appena attribuitogli dalla Regione Piemonte quale vino dell’anno 2025, ma a noi qualcosa non torna. Partiamo dal principio: alla Prima dell’Alta Langa, l’annuale degustazione di tutte le cuvée dei soci del Consorzio Alta Langa, viene annunciato che l’Alta Langa è il vino che verrà promosso dalla Regione nei suoi eventi ufficiali 2025. Ogni anno se ne sceglie uno, anche se fino allo scorso anno il riconoscimento era stato quello di “Vitigno dell’anno” (e infatti si erano premiati solo vitigni), mentre quest’anno si è deciso di cambiare rotta per promuovere l’Alta Langa, un vino che effettivamente sta performando bene e su cui ci sono buone prospettive (e che quindi, forse, ha meno bisogno di sostegno rispetto ad altri vini e vitigni, ma queste sono decisioni che non spettano a noi).
Ma il comunicato in cui si annuncia l’Alta Langa come vino dell’anno 2025 non si limita a cambiare rotta. Cambia proprio la storia enologica. Almeno, per come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Già, perché nel comunicato stampa diffuso dal Consorzio e dalla Regione si può leggere: “l’Alta Langa fu il primo Metodo Classico ad essere prodotto in Italia, fin dalla metà dell’800, nelle Cattedrali Sotterranee di Canelli, oggi riconosciute Patrimonio dell’Umanità Unesco“. Ah. Ok. Solo una domanda: e il Moscato di Carlo Gancia? Mi scivola giù dal podio così?
Il primo Metodo Classico italiano (come l’avevamo studiato noi)
Dopo essere cascati dalla sedia, in dubbio sull’aver buttato tempo, soldi, bicchieri e libri in una formazione enologica che evidentemente si sgretola contro il primo comunicato, proviamo a fare mente locale un secondo. La storia, per come la conoscevamo noi, era un tantino diversa. Nelle Cattedrali sotterranee di Canelli – quelle da cui è partito il riconoscimento del Patrimonio Unesco per le colline del Piemonte – si è sì iniziata la storia del primo Metodo Classico italiano, ma quello non era per nulla un Alta Langa. Non poteva certamente esserlo, visto che la denominazione è molto recente (la DOCG 2011), ma neanche volendo evitare il discorso della denominazione quel vino era Alta Langa. Quel vino, ci hanno insegnato fino a ieri, era base Moscato, quindi semmai un Asti, espressione di quel territorio molto più dello Chardonnay e del Pinot Nero con cui oggi si fa lo “Champagne Italiano”.
Ma no, nella storia dell’Alta Langa non è così, e viene più volte ribadito. A richiesta di spiegazioni, ci viene gentilmente spiegato che il comunicato fa riferimento a un saggio scritto da Pierstefano Berta e Giusi Mainardi, “Le origini e lo sviluppo del metodo classico in Piemonte”. Secondo i due autori, la produzione spumantistica piemontese dell’800 sarebbe partita dagli studi del generale Staglieno a Pollenzo. È certo che Staglieno si concentrò su come migliorare e rendere stabili i rossi piemontesi; e possiamo anche ipotizzare che nel tempo libero facesse prove di Metodo Classico, verosimilmente con l’uva Nebbiolo (e quindi, non rivendicabile dall’Alta Langa), ma senza che ciò portasse a grandi risultati.
Vengono poi nominate le Cattedrali Sotterranee di Canelli, dove attualmente sostano anche bottiglie di Alta Langa, e dove, a fine 1800, affinavano due versioni di spumanti Metodo Classico: «il dolce “Moscato Champagne” […] e il secco “Champagne Italiano” che invece prevedeva principalmente l’utilizzo di uve Pinot». Di solito, il Pinot Nero viene citato nella storia enologica del Piemonte solo come antagonista del Nebbiolo, con quest’ultimo che alla fine prevale e dà origine al vino di Barolo. Nel saggio dell’Alta Langa invece, leggiamo come il Pinot (sic) fosse largamente diffuso, tanto che Carlo Gancia «iniziò a interessarsi a questo vitigno e vista la sua buona riuscita, incoraggiò la coltivazione del Pinot anche fra i viticoltori del circondario di Canelli. Lo stabilimento vinicolo Gancia divenne così il principale acquirente di uve Pinot dei colli di Asti, Canelli e Neive». Abbiamo fatto un po’ di ricerca, ed è invece venuto fuori che Lorenzo Fantini nella ”Monografia agraria sul circondario d’Alba” del 1883 accenna che in quel di Lesegno (CN) il conte generale Emilio di Sambuy mise a dimora per primo in Italia viti di Pinot. Ahimé, lo stesso Fantini ammise difficoltà nella produzione spumantistica, che inesorabilmente venne poi cassata.
Bene, fermiamoci qui e tiriamo le somme: secondo questo studio Carlo Gancia apprese del buon esito che altri ottennero spumantizzando il Pinot Nero e diede solo un’accelerata alla faccenda dal punto di vista commerciale. E il Moscato Bianco? Viene nominato solo una volta, nella narrazione del Consorzio. L’anno di grazia 1865, invece, nemmeno una volta. Compare questa data nel sito dell’Alta Langa DOCG, dando a Gancia quel che è di Gancia, ma non si nomina nemmeno qui il Moscato.
Dove invece si nomina chiaramente il 1865 è sul sito dell’Asti DOCG: «1865 – Carlo Gancia, apprese le tecniche della spumantizzazione dei vini durante esperienze professionali nello Champagne, torna a Canelli ed applica il “Metodo Classico” alla vinificazione del Moscato bianco, uva aromatica tipica della zona. Nasce così il primo vino spumante italiano, progenitore dell’attuale Asti Spumante». E non dell’Alta Langa, aggiungeremmo noi. E se anche ci sbagliassimo noi, e si sbagliasse chi ci ha raccontato che il primo Metodo Classico italiano era a base Moscato, qui ci sarebbe quantomeno un piccolo contenzioso tra Consorzi. Perché di due una: o il primo spumante era un Asti, o era un Alta Langa. Improbabile che fosse entrambe le cose, per quanto sì, in quel periodo evidentemente si sperimentava in tutte e due le direzioni.
Forse, i due Consorzi dovrebbero mettersi d’accordo (tanto più che hanno sede nello stesso edificio, entrambi in piazza Roma 10 ad Asti, quindi forse un caffè insieme potevano anche prenderselo per concordare una versione dei fatti), e ci sembra di capire che non l’abbiano fatto, visto che abbiamo contattato gli esponenti del Consorzio Asti DOCG che si sono limitati a dire che “a loro risulta diversamente”. Come anche a noi, in effetti. Ma forse farebbero bene a parlarsi tra loro, prima di un “colpo di spugna” che sembra voler riscrivere la storia, magari per dare quarti di nobiltà ad una denominazione attualmente in auge, carpendo la primogenitura del metodo classico all’Asti senza nemmeno porgere un biblico piatto di lenticchie.
Parliamoci chiaro: per tutto il XX secolo, in Piemonte, dire spumante equivaleva a dire Asti. Stop. Solo nel 1990 venne ufficializzato il “Progetto Spumante Metodo Classico in Piemonte”, che portò nel 1994 alla vinificazione in Metodo Classico delle uve Pinot Nero e Chardonnay dei primi venti ettari di vigneti sperimentali (da notare lo stridore che emette dire che, oltre un secolo dopo la “primogenitura” dell’Alta Langa, servissero dei vigneti “sperimentali”). L’Alta Langa divenne infine DOC nel 2002 e DOCG nel 2011.
Possiamo immaginare e prendere in considerazione la tesi per cui, a fine Ottocento, in quelle cantine piemontesi si iniziasse a sperimentare la spumantizzazione, con vie diverse che sicuramente hanno iniziato un percorso che ha portato oggi, tra le altre cose, anche all’Alta Langa. Che è un po’ la tesi sostenuta da Berta e Mainardi, ci pare di capire. Cosa diversa però è dichiarare, così all’improvviso, che “L’Alta Langa Docg è il metodo classico più antico d’Italia, nato in Piemonte a metà dell’800”, come fa la presidente del Consorzio Alta Langa Mariacristina Castelletta.
Alta Langa VS Asti DOCG: i numeri
Oggi l’Alta Langa si presenta sul mercato con oltre 3 milioni di bottiglie prodotte ogni anno, la maggior parte delle quali è venduta internamente, con un export del 15%. La denominazione preferisce una dimensione casalinga, mostrando di subire ancora il peso del confronto con il più blasonato spumante d’oltralpe.
I numeri dell’Asti DOCG? Circa 60 milioni di bottiglie di Asti spumante (non tutte metodo classico, oggi si produce perlopiù attraverso il metodo Martinotti), la stragrande maggioranza delle quali varca i confini andando ad allietare soprattutto palati americani, russi ed est-europei. Anche se ci concentrassimo sul mero fattore economico, parliamo di una produzione venti volte maggiore che tende ad essere consumata, altrimenti non verrebbe realizzata o mostrerebbe una flessione.
Dunque, checché possa sembrare dai discorsi dell’enomondo esperto e snob, l’Asti spumante non è affatto una denominazione di serie B. E in ogni caso non meriterebbe di vedersi sottratta la primogenitura del Metodo Classico italiano sulla sola base di un’allure di cui attualmente l’Alta Langa pare godere. Tra l’altro non è l’unica cosa di cui si è visto scippato: sempre nel comunicato stampa della Regione sul vino dell’anno si legge che «Tra gli eventi previsti per il 2025 nei quali sarà possibile conoscere e degustare lo spumante Alta Langa Docg vi sono […] le Atp Finals a Torino». Peccato che il consorzio Asti DOCG abbia un contratto di esclusiva con ATP Finals come Official sparkling wine e Silver partner. E qualcosa ci dice che in quei giorni difficilmente vedremo servire Alta Langa DOCG all’Inalpi Arena di Torino. O che dovremo attendere novembre 2025 per vedere uno smash.