Tra gli obiettivi del Ministro della Sovranità Alimentare Francesco Lollobrigida c’è quello di “far conoscere sempre più le nostre eccellenze, sviluppare ancora gli scambi e ottenere risultati sempre più importanti”. Lo ha ribadito (ancora) di recente, mentre si trovava alla fiera Gulfood di Dubai, ma non è la prima volta che Lollobrigida sottolinea – giustamente – l’importanza dei mercati stranieri per i nostri prodotti agroalimentari. Per il vino italiano, che Lollobrigida ama e difende al punto da sostenere che non fa male, che le etichette salutiste vanno bocciate e addirittura che si possa abbinare serenamente agli eventi sportivi – l’export ha addirittura un valore di 7,9 miliardi di euro (+9,8%). Insomma, un’interessante fetta di mercato, che racchiude significati più importanti della semplice presenza di una bottiglia italiana sugli scaffali di uno store americano: essere lì vuol dire promuovere un territorio e posizionare il brand Italia tutto, anche da un punto di vista turistico e d’immagine.
Un’operazione cruciale, dunque, a cui i piccoli produttori rischiano però di non riuscire ad accedere, proprio a causa delle lungaggini burocratiche stabilite quest’anno dallo stesso Ministero che vuole puntare sull’export di valore.
I bandi impossibili per la promozione all’estero
A raccontarci questa storia è il presidente de I Vini del Piemonte Nicola Argamante. Quello che lui rappresenta è un consorzio di produttori (per lo più piccoli) nato nel 2010 con l’obiettivo di favorire l’internazionalizzazione delle aziende consorziate sostenendo e consolidando la loro presenza sui mercati esteri. Come? Attraverso la partecipazione collettiva ai fondi che l’Unione Europea stanzia proprio a questo scopo. Risorse destinate alla promozione nei paesi Ue ed Extra UE, che coprono tra il 40 e il 50% delle spese sostenute e che permettono anche alle piccole aziende vitivinicole di lanciarsi sui mercati esteri. O almeno, permettevano. “Il nostro consorzio, come tanti altri, era nato per raccogliere con una proposta convincente tante piccole attività che potevano presentare un progetto comune, accedendo ad aiuti a cui altrimenti sarebbe stato difficile accedere“. Per molto tempo ha funzionato, e duecentocinquanta realtà sono entrate a far parte de I Vini del Piemonte. Piccole, per lo più: “una media di 80-90 mila bottiglie l’anno, con l’eccezione di Fontanafredda, che è la realtà più grossa tra quelle che rappresentiamo“.
“Oggi le regole sono cambiate, e per noi sono praticamente impossibili da attuare”, spiega Nicola Agramante. Lui, proprietario di una piccola azienda, aveva immaginato questa realtà per permettere alle realtà come la sua di promuoversi all’estero anche grazie ai contributi pubblici. “Fino all’anno scorso siamo riusciti a fare bellissimi eventi in tutta Europa, ma anche nei paesi Extra UE. L’iter era abbastanza semplice: prevedevi un budget, facevi una previsione organizzativa, ma poi durante l’anno potevi anche fare delle modifiche rispetto agli eventi a cui partecipare. Questo permetteva anche alle piccole aziende di immaginare una promozione all’estero, che altrimenti non sarebbe stato possibile fare“.
Quest’anno, però, le regole si sono fatte molto più complesse, con un’inversione di marcia che – dicono dal consorzio – non ha precedenti. Intanto per i tempi. “Il bando per il prossimo anno è stato pubblicato il 26 luglio, con consegna dei progetti entro il 13 settembre. Questo significa che ci è stato chiesto di organizzare tutto quello che avremo dovuto fare nell’anno successivo, in tutti i dettagli, nel mese di agosto, quello delle ferie“. E quello dell’inizio della vendemmia, per molti. Ma non è solo questo il problema. La questione sono proprio i dettagli richiesti a chi vuole accedere ai contributi.
“Ci viene chiesto di spiegare oggi, nel dettaglio, tutto quello che andremo a fare nell’anno successivo, azienda per azienda“, spiega Agramante. “In più, ci viene tolta la libertà di decidere dove investire, obbligandoci ad andare in tutti i paesi: il che significa presentare progetti con meno paesi rispetto al passato, quando ognuno all’interno di un progetto decideva dove andare. Addirittura, ci viene chiesto di presentare tre preventivi diversi per ogni attività che ciascuna azienda farà, dalle cene ai voli aerei, descrivendole nel dettaglio: ma se io chiedo a un importatore cosa farà tra sei mesi non saprà mai dirmelo, non funziona così, e questo ci mette nell’impossibilità pratica di organizzare la cosa“.
Il risultato è che quasi nessuna delle piccole aziende rappresentate dal consorzio è riuscita a partecipare al bando. “Solo in tre ci sono riuscite, le altre hanno rinunciato. Personalmente, con la mia azienda, mi muoverò lo stesso anche senza contributi, ma non tutti possono farlo: noi rappresentiamo anche realtà piccolissime, da 10-15 mila bottiglie l’anno, per cui era fondamentale un aiuto per uscire dall’Italia“.
Perché le nuove regole danneggiano i piccoli produttori
Il bando, ovviamente, non esclude tutti, ma danneggia i più piccoli. “I consorzi di tutela che fanno eventi piuttosto grandi all’estero riescono più facilmente a programmare da un anno all’altro: magari si appoggiano ad agenzie che fanno questo, e in quel caso basta sentire tre agenzie diverse e presentare la domanda. Ma una singola azienda non può fare una programmazione del genere: sembra che chi abbia deciso queste regole non sappia come funziona il mercato del vino, o il mercato in generale“, prosegue Agramante. Il discorso è che le piccole realtà, magari rappresentative dell’eccellenza italiana e di quel tessuto imprenditoriale che l’ha costruita per anni, non ce la fanno a pianificare in maniera così precisa e a lungo termine, e quindi vengono tagliate fuori. Cosa che non succede ad esempio in Francia, nostro eterno competitor in fatto di vini, dove gli stessi fondi europei vengono distribuiti senza queste difficoltà burocratiche.
“Di fatto, hanno tagliato le gambe alle piccole aziende“, conclude. “Io non so cosa succede a Roma, non posso e non voglio muovere accuse a nessuno. Posso solo dire che se è una questione di incompetenza è gravissimo, perché significa che non si conoscono le dinamiche del mercato del vino in Italia“.