Per capire quanto ancora sia poco diffusa la cultura del tappo a vite nel mondo del vino, basti pensare, giusto per fare un esempio, che l’Associazione Italiana Sommelier dedica un’intera sezione del suo esame finale al servizio, ovvero a come si stappa e come si versa correttamente un vino, specialmente se prezioso. Incidere la capsula con due tagli netti, inserire il cavatappi, avvitare, svitare e “blop”, tirare via il tappo, preferibilmente evitando di fare troppo rumore, ma facendo percepire quel suono che segna la fine dell’attesa rappresentata da questo antico rituale: presto potremo bere quel vino che abbiamo scelto, ordinato, comprato, pregustato.
“È esattamente in quel “blop” che si può riassumere la tradizione del momento in cui si stappa una bottiglia, che però a volte si traduce in un “flop”, perché magari la bottiglia non è più buona”, spiega Silvio Jermann, vignaiolo visionario a capo della storica azienda di famiglia e pioniere del tappo a vite, di cui è un convinto sostenitore. Lui, insieme a quattro illustri colleghi (grandi) viticoltori (Franz Haas, Graziano Prà, Pojer e Sandri e Walter Massa), ha creato “gli Svitati“, un’associazione che si è messa in testa di spiegare al pubblico e agli intenditori quanto sia importante la rivoluzione del tappo a vite.
Perché il tappo a vite
Ciò che ha portato i cinque “Svitati” alla scelta del tappo a vite è l’obiettivo che sta dietro al suo utilizzo: il perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche del vino tanto ricercate e valorizzate dal lavoro in vigneto e in cantina. “Il problema del tappo esiste: tante produzioni vengono rovinate dal sughero”, spiega Jermann. “Con il tappo a vite questo non succede: la garanzia di tenuta è incredibilmente maggiore, quasi al 100%, a meno di difetti meccanici di chiusura. Con il tappo di sughero ogni bottiglia è diversa: abbiamo fatto delle degustazioni alla cieca con i nostri vini, sia bianchi che rossi, e abbiamo visto che anche dopo dieci anni il risultato del tappo a vite è uguale o più spesso migliore a quello del tappo di sughero, anche quando ha mantenuto la sua funzione ottimale”.
“Con il tappo in sughero, in un cartone di sei bottiglie, posso avere sei risultati diversi: questa è una cosa impensabile per noi, e quindi il tappo a vite è stata una scelta obbligata”, spiga Mario Pojer della
Pojer e Sandri, azienda che produce vini di pregio in vigneti di montagna tra la Valle dell’Adige e la Valle di Cembra, nel pieno rispetto della natura trentina. L’azienda è stata l’ultima delle cinque “Svitate” ad avvicinarsi al tappo a vite: “È stata una scelta costruita negli anni: i risultati erano straordinari ma il mercato aveva una notevole ritrosia, legata per lo più al rituale dello stappare, a quei preparativi, a quella gestualità, che però poi magari portano a una bottiglia che è una delusione”, dice. “Sono tre anni che siamo passati al tappo a vite, e ne proponiamo una referenza all’anno. Quest’anno abbiamo deciso di tappare a vite i nostri vini più pregiati, quelli della selezione Monogramma, proprio per dimostrare che non lo facciamo per una questione di risparmio ma proprio per dare valore al prodotto”.
“È stata soprattutto una scelta qualitativa”, spiega Franz Haas, erede di Franziskus alias Franz, scomparso prematuramente a febbraio dello scorso anno: loro dal 2018 tappano a vite il 100% della produzione della cantina di famiglia, pionieristica in moltissime scelte, come quelle legate all’allevamento di vitigni a 1150 metri di quota, tra i più alti dell’Alto Adige. E quelle sul tappo, ovviamente: chi compra i loro vini, sa benissimo che non troverà un tappo di sughero, e non ha bisogno di troppe spiegazioni. “Certo, è stata dura”, racconta, “ma pian piano siamo riusciti a convincere il pubblico che anche il tappo a vite può essere una buona chiusura per il vino. Nei primi anni abbiamo fatto diversi appuntamenti, degustazioni comparative, aiutati dai ristoratori e anche dall’Ais, e oggi abbiamo raggiunto l’obiettivo di fare capire le nostre ragioni, che sono semplicissime in realtà: “Con il tappo a vite il vino invecchia meglio, più lentamente e senza alcuna influenza da parte del sughero, ed è proprio quello a cui noi aspiriamo. Il vino deve evolvere così come noi lo mettiamo in bottiglia”.
Storia, pro e contro del tappo a vite
In Italia, il vino si è sempre tappato così, con il sughero o, al limite, con i tappi sintetici. “Anni fa c’è stato un periodo in Italia in cui andava molto di moda il tappo di silicone, che poi silicone non era ma una sorta di materiale plastico altamente tecnologico”, spiega Jermann. “Tante aziende li usavano, e all’inizio i risultati erano anche buoni, ma poi nella conservazione quel tappo ha rivelato dei limiti, soprattutto in termini di tenuta: dopo un paio d’anni perdeva di elasticità e lasciava passare l’aria, quindi il vino si ossidava più velocemente”. Insomma, potevano funzionare per vini che si consumavano in breve tempo, ma non per i vini da invecchiamento. “Noi facciamo vini bianchi importanti che si evolvono nel tempo, quindi quei tappi non facevano per noi”, prosegue Jermann. “Negli anni Novanta in Francia si stavano facendo studi molto interessanti sul tappo a vite, anche per i vini di qualità, anche se fino ad allora si era utilizzato solo per le produzioni più commerciali: i risultati però erano straordinari”.
“Nel 2003 abbiamo inziato a usarlo facendo ei test e delle piccole commercializzazioni. Nel 2007 abbiamo iniziato a tappare il 20% della produzione, oggi siamo al 60%: stiamo procedendo per gradi. La percentuale di bottiglie tappate a vite nel mondo è in continua crescita, e in alcuni mercati supera anche il 50% dell’utilizzo”.
I pro del tappo a vite sono tanti: preserva al meglio il vino, permette di avere una omogeneità qualitativa delle bottiglie, è realizzato in alluminio, un materiale completamente riciclabile (per cui più ecologico), è facile da aprire e facile da chiudere. E, non in ultimo, è più salutare: “Ha il grosso vantaggio di permettere di utilizzare meno solforosa, che viene aggiunta al vino, soprattutto bianco, per evitare che si ossidi”, spiega Jermann. “Con il tappo a vide si riesce a ridurre del 30% anche del 50% quest’aggiunta di solforosa ed è un vantaggio non indifferente per la salute”.
Dall’altra parte, c’è un unico grande contro, a cui gli “Svitati” stanno cercando di rimediare, facendo divulgazione: il fatto è che il consumatore non sembra pronto all’idea di acquistare un buon vino tappato a vite. “In Italia siamo più tradizionalisti e meno aperti a certi tipi di innovazione quindi siamo un po’ più indietro, ma ogni anno la percentuale cresce”, spiega Jermann. “È un problema di comunicazione e di immagine: il tappo a vite viene comunemente associato a prodotti più commerciali, ma noi cinque produttori di qualità stiamo raccontando qualcosa di diverso”.
“Ormai il trend è questo e non si può più fermare”, dice Graziano Prà. “Io quest’anno ho fatto il grande salto, tappando il 100% della mia produzione con il tappo a vite. Ho messo in conto che perderò qualche cliente, ma ne acquisterò sul lungo periodo”.
“Il mio obiettivo è fare vino buono e sano e con il tappo a vite ho un risultato ottimale al 100%, senza interferenze di nessun tipo. Il vino è una medicina per lo spirito, andrebbe rispettata come tutte le medicine”, dice Walter Massa. “Nel 2023 devo prendere in giro il mondo con tappi chimici e impastati di colla dicendo poi che faccio il vino naturale?”.