Per molti consumatori di acqueviti il Single Malt Scotch Whisky rappresenta l’eccellenza ed è oramai la normalità trovarlo nelle enoteche, nei supermercati o nei ristoranti, senza contare le decine di possibilità che il commercio online offre. Si tratta comunque di una piccola percentuale del volume dello Scotch Whisky, che è ancora dominato dai blended, un mix di diverse tipologie di whisky, provenienti da diverse distillerie. I single malt sono comunque in ascesa vertiginosa e raggiungono nuovi consumatori e nuovi mercati.
Per capire come si è arrivati fino a qui bisogna fare un passo indietro di quasi due secoli. Il Single Malt esiste, resiste e si sviluppa solo perché nasce l’industria del blending da metà Ottocento grazie a diverse circostanze, alcune molto fortuite. La prima condizione fu il perfezionamento dell’alambicco a colonna che permise di produrre un distillato molto più leggero, a basso costo e in grandi quantità. I vicini Irlandesi, allora considerati i maestri del whisky, respinsero con forza questa innovazione e di, fatto, si condannarono ad uscire dal mercato di quel periodo. I primi blended di successo nacquero nei negozi, venduti sfusi. L’arte del blending era già nota in Francia con i Cognac, l’obiettivo era di creare una ricetta, miscelando diverse tipologie di whisky come se si trattasse di ingredienti, in modo da avere whisky riconoscibili, ripetibili, stabili e potenzialmente prodotti su larga scala.
La svolta inattesa nella storia del whisky arrivò proprio dalla Francia. Il terribile afide proveniente dal Nuovo Mondo, la fillossera, distrusse i vigneti francesi nella seconda metà dell’Ottocento. Il Cognac francese iniziò a scarseggiare sulle ricche tavole britanniche, dove era ancora il distillato più pregiato e consumato, favorito anche da un accordo di importazione tra i due stati. Il whisky scozzese colse l’occasione al volo, diffondendosi nella stessa Francia, che ne è tuttora il maggior consumatore al mondo.
Fatto, ai più ignoto, è che possiamo ritenere gli italiani “colpevoli” di aver innescato la scintilla che ha portato i Single Malt Scotch Whisky a essere quello che sono ora. Come è stato possibile tutto questo? Gli inizi sono affascinanti e pionieristici: il tutto si sviluppa attraverso un sistema, anche fortemente concorrenziale e, a volte conflittuale, tra importatori, selezionatori e collezionisti.
Eduardo “il baffo” Giaccone è uno dei primi che ci crede aprendo il Garten Bar, probabilmente uno dei primi whisky bar al mondo. Siamo nel 1958, avete letto bene, vera avanguardia, la guerra è finita da poco e proprio le truppe Alleate si portano dietro le prime bottiglie di whisky che iniziano a girare nei bar. Giaccone ne rimane affascinato e comincia a intrattenere rapporti con la Scozia e con i primi importatori. Diventa contestualmente e nel corso degli anni il più grande collezionista al mondo.
Quasi parallelamente Ernesto “Rino” Mainardi, un giovane curioso e affascinato dalle bottiglie che inizia a vedere mentre studia da bartender alla Scuola di Stresa, nel 1959, a 16 anni, parte con la vespa comprata coi primi risparmi e raggiunge la Scozia dopo quasi cinque giorni di viaggio a dir poco avventurosi. A casa sua lo danno per disperso e lanciano un appello. Ma lui si presenta alle porte della Gordon & Macphail a Elgin, uno dei “merchant” più noti e vecchi di Scozia dicendo che vuole comprare delle casse di whisky. La voce arriva all’orecchio di George Urquhart, carismatico proprietario dell’azienda, che rimane colpito dalla storia di Rino e ne diventa negli anni successivi il mentore creando un lungo sodalizio. Dopo oltre cinque giorni di viaggio Rino torna in Italia con un paio di casse di whisky portate per tremila chilometri sulla pedana della vespa. Ripete il viaggio una seconda volta e pone le basi per un legame indissolubile con George. Diventa agente per l’importatore di Gordon & MacPhail, la Co. Import di Pinerolo, che vede tra i soci un’altra figura mitica, Donini del Gin Rosa di Milano. Successivamente ne diventa importatore diretto con la Sestante, nome anche del suo bar whiskyteca a Parma. Le sue selezioni, successivamente col marchio Silver Seal, iniziano a popolare i migliori bar e ristoranti, e a finire nelle cantine dei collezionisti. Rino reinveste gli utili dell’azienda per portare ogni anno una ventina di baristi, ristoratori ed enotecari in Scozia a sue spese. Girano per le distillerie, lo aiutano nelle selezioni e diventano loro volta ambasciatori del whisky in Italia. Iniziano a girare informazioni e aumentano i consumatori. La vera innovazione, oltre a quella di far conoscere in Italia distillerie totalmente sconosciute, è imbottigliare un singolo barile, rendendo la selezione disponibile in pochi esemplari e irripetibile.
Silvano Samaroli è un altro nome di riferimento. Dopo la gavetta come agente soprattutto di prodotti francesi, fonda nel 1968 l’azienda omonima. Gli inizi non sono semplici, non c’è alcuna conoscenza del prodotto, chi chiede un whisky al bar o al ristorante chiede in modo generico “un whisky” o cerca i marchi famosi. Silvano non si scoraggia, batte il territorio soprattutto di sera cercando professionisti curiosi e aperti ad ascoltarlo. Le cose cominciano a girare, faticosamente Silvano diventa famoso più all’estero che in Italia e le sue selezioni sono tra le più ricercate, il Bowmore Bouquet è una delle bottiglie più rinomate tra i collezionisti.
Nel frattempo, altri selezionatori italiani diventano noti e apprezzati, citiamo Moon Import, Intertrade e High Spirits di Nadi Fiori, che nasce ristoratore, e la Wilson & Morgan della famiglia Rossi.
Il Single Malt inizia a girare nei grandi ristoranti. Peppino Cantarelli, mitico ristoratore stellato di Samboseto, ne fa incetta e inizia a proporli assieme ai grandi prodotti francesi. L’interesse cresce e ovviamente anche gli importatori fanno la loro parte. Il mito di Macallan nasce soprattutto grazie alle importazioni della Rinaldi di Bologna, Glenlivet, Rosebank e Laphroaig con Bonfanti, Highland Park con Ferraretto, Glen Grant con Giovinetti, che poi è determinante anche per far conoscere proprio Macallan su larga scala. Un ambiente che inizia a farsi molto attivo e concorrenziale non può che favorire la nascita dei collezionisti. In primis chi il prodotto lo vende, se ne appassiona ed inizia ad accantonare qualche bottiglia. Il Bar Metro di Milano, diretto per oltre cinquant’anni da Giorgio D’Ambrosio, diventa oltre che un luogo di avanguardia anche un giacimento di bottiglie rarissime, tra cui l’esemplare unico di Bowmore 30 anni dedicato a Jim Clark. Giuseppe Begnoni rileva buona parte della collezione di Giaccone e la sviluppa negli anni fino a farla diventare una delle più incredibili e complete al mondo, commerciando anche migliaia di bottiglie rare con la Whisky Paradise.
Esistono anche esempi di collezionisti “puri”, cioè non professionisti del campo o commercianti, citiamo la famiglia Casari di Nonantola e Valentino Zagatti di Lugo, recentemente scomparso. Valentino, non vedente dalla giovane età, abile fisarmonicista, inizia a comprare bottiglie negli anni Sessanta, smettendo di fumare e convogliando i soldi delle sigarette nell’acquisto di bottiglie. In decine di anni di collezionismo diventa famoso in tutto il mondo soprattutto grazie a due libri e ora la sua collezione è visibile in Olanda.
Il lancio in grande stile del single malt è certamente arrivato alla fine degli anni Ottanta grazie alla collezione “Classic Malts”, ma per verificare l’apporto degli italiani è sufficiente andare su qualche sito di aste specializzate e vedere la provenienza delle bottiglie di qualche decennio fa, consultare qualche libro sull’argomento oppure recarsi alla Whisky Antique di Formigine e farsi guidare da Massimo Righi tra gli scaffali, come se fosse una biblioteca. L’Italia beve poco, non compare nelle classifiche dei consumi di Scotch Whisky, ma è rimasta tra le prime al mondo per il Single Malt e, in generale, per i distillati “premium”. La tradizione dei selezionatori italiani continua ed altri si sono affermati in tempi più recenti: nomi come Hidden Spirits e Valinch and Mallet.
In oltre cinquant’anni, in cui anche il mercato del whisky ha avuto un tonfo fragoroso a inizio degli anni Ottanta, il lavoro di educazione è stato lungo e faticoso. Proprio Giorgio D’Ambrosio cita un episodio capitato negli anni ’70 nel suo bar. Vende una bottiglia di Laphroaig a un famosissimo calciatore dell’Inter spiegandogli che si tratta di un whisky “affumicato” che arriva da un’isola della Scozia. Dopo qualche giorno, l’artista pedatorio si ripresenta piuttosto imbarazzato dicendo “Giorgio, mi spiace ma questo whisky è andato a male”. Considerato che ora gli italiani sono sfegatati consumatori di torba, che è una nicchia nella nicchia, il seme ha germogliato piuttosto bene.