La vita scorreva come sempre nel Lazio, fino a quando lo scorso 26 settembre il Gambero Rosso non ha diffuso l’elenco dei premi Tre Bicchieri assegnati a 10 vini laziali per la guida ai Vini d’Italia, edizione 2025. Nulla da eccepire, se non che, nell’articolo a corredo dell’elenco, il Gambero non le ha certo mandate a dire al comparto enologico laziale. I responsabili della guida hanno lamentato che, cito, “nel Lazio non si è riusciti a creare dei veri e propri ‘distretti vitivinicoli’ di qualità” e che “i vitigni autoctoni fanno una gran fatica a indicare il ‘senso di marcia’ al territorio, e questo molto più che nella maggior parte del Vigneto Italia“.
Apriti cielo: i miei conterranei facenti parte a vario titolo del settore vinicolo hanno accolto la dura reprimenda con la pacatezza di René Ferretti quando caccia dal set Gioacchino Pané (rif. Boris, stagione 1, episodio 04). E li capisco: ormai “il Lazio potrebbe fare vini di qualità ma non si applica” è diventata una frase fatta, al pari di “il nuoto è lo sport più completo” o “che bello il fuoco, starei delle ore a guardarlo”. Ci credo che i vignaioli e i comunicatori del vino laziali se ne siano avuti a male: ogni autunno c’è sempre qualcuno che gli dice quanto poco si impegnino.
D’altro canto, a somministrare questo giudizio è una testata anch’essa di settore, non certo Gianpancrazio Interlandi al bancone di un bar. Un giudizio che è derivato da degustazioni condotte da persone preparate, le quali hanno tratto un quadro complessivo che, secondo il loro parere, non è qualitativamente sufficiente data la potenzialità di territori e vitigni. E tutti noi sappiamo che si impara più dalle sconfitte che dalle premiazioni, per cui ben vengano i giudizi anche duri, se ben motivati.
Eppure, frequentando da qualche anno l’ambiente enologico della mia regione, ho osservato un più che discreto cambiamento a livello qualitativo, anno dopo anno. I territori del Cesanese, soprattutto sul versante di Olevano Romano, producono ogni anno bottiglie di incredibile interesse; alcuni produttori della Ciociaria hanno fatto gruppo per scambiare esperienze e promuovere un territorio sconosciuto e geologicamente variegato, con risultati già tangibili; perfino i Castelli Romani, il cui vino si porta ancora appresso la pluridecennale nomea di vino dozzinale e senza pretese, stanno vivendo un’innegabile rinascita. Allora mi sono chiesto “ma è mai possibile che riusciamo ad essere sempre scarsi pur progredendo?“.
Perlomeno lo siamo agli occhi del Gambero Rosso, il quale ogni singolo anno ripete le stesse parole: Tre Bicchieri 2024, “Insomma, anche quest’anno il Lazio si muove in ordine sparso, ottenendo ottimi risultati solo grazie agli sforzi individuali più che del comparto nel suo complesso.“; Tre Bicchieri 2023, “Il panorama complessivo rimane quello che segna la regione da diversi anni, una serie di “one man show” che propongono vini di grande qualità quasi a prescindere dalle condizioni produttive e territoriali. […] [Una considerazione negativa è] la difficoltà da parte dei produttori del Lazio di fare sistema a favore del territorio, che sia all’interno delle strutture consortili oppure no.“; Tre Bicchieri 2022: “La fotografia del Vigneto Lazio, tuttavia, non si discosta molto da quelle degli anni scorsi: l’elemento centrale è sempre la singola azienda ben più del territorio[…]“. Non vado oltre, ma si intuisce come da parecchio tempo il Gambero consideri il Lazio del vino un monolite, anche piuttosto piccolo.
Cosa pensano del Lazio le altre guide dei vini?
Il pensiero successivo è stato “ma anche le altre guide di settore maltrattano il Lazio al pari del Gambero?”. Allora, dal momento che esistono sia internet che Excel, ho tabulato per gli anni che vanno dal 2015 al 2025 le cantine che ogni anno hanno ricevuto la massima onorificenza da tre guide scelte arbitrariamente: il Gambero Rosso con i Tre Bicchieri, Slow Wine con il Vino Slow e Vitae, la guida dell’Associazione Italiana Sommelier, con le Quattro Viti. E i risultati sono stati alquanto interessanti.
Nel corso di 11 edizioni, Slow Wine ha premiato per 10 volte Damiano Ciolli, un bravissimo vignaiolo di Olevano Romano. Delle restanti 27 cantine che hanno ricevuto un Vino Slow, solo due sono state premiate più della metà delle volte (La Visciola e Marco Carpineti, entrambi 6 volte). Stante anche l’esiguità di premi Vino Slow assegnati alla regione ogni anno fino al 2024 (da 3 a 6 premi l’anno), si potrebbe dar ragione al Gambero Rosso: “vedete che nessuno esprime una costanza qualitativa e registriamo solo singoli exploit?”. Ma andiamo avanti.
L’AIS, stando ai numeri, ha invece riconosciuto una crescita qualitativa del vino laziale, passando dai 7 premi “quattro viti” assegnati nel 2015 ai 25 del 2024 (per il 2025 ancora non si hanno dati). Qui gli habitué sono di più: San Giovenale sempre a medaglia, Tenuta di Fiorano e Damiano Ciolli premiati 9 volte, Formiconi, Giovanni Terenzi e Sergio Mottura 8 volte. Dietro loro però ci sono altre 42 cantine che, chi spesso, chi meno, hanno prodotto vini di alta qualità.
Veniamo infine al Gambero Rosso, che al Lazio, nel periodo 2015-2025, ha assegnato annualmente dai 6 agli 11 Tre Bicchieri, più di Slow Wine. Però, esaminando le cantine, si nota un’incredibile regolarità: Famiglia Cotarella e Poggio Le Volpi sono stati premiati ogni singolo anno; Sergio Mottura e Tenuta di Fiorano 10 volte; Casale del Giglio 9 volte e San Giovenale 8 volte. Le rimanenti undici cantine sono state premiate da 4 a 1 volta in 11 edizioni, per un totale di 26 premi (le sei cantine sempre premiate ne hanno accumulati 69 di Tre Bicchieri. Quasi il triplo delle altre).
Ora, al netto del fatto che le guide del vino vengono redatte da persone fisiche, che hanno un gusto proprio e propri canoni qualitativi, se si pontifica sullo scarso rendimento delle aziende laziali e si premiano sempre le stesse sei, qualcosa su cui riflettere c’è. O la situazione è tragica, perché significa che nessun’altra azienda esprime costanza qualitativa, oppure il quadro è diverso. In effetti, si trovano profonde differenze con Slow Wine, che si distingue per filosofia e approccio al vino, ma soprattutto con la guida dell’AIS, molto più affine al Gambero come giudizi. E l’AIS si è ben accorta del lavoro fatto nel distretto del Cesanese, così come se ne è accorta Slow Food che ha sì storicamente assegnato pochi Vino Slow ai vini laziali, ma di contro venivano elargiti molti premi “Vino Quotidiano”, premio esistente fino alla scorsa edizione e che veniva regolarmente agguantato da tanti produttori con vigne sulle pendici dei monti Ernici.
Per cui, numeri alla mano e anche al netto delle considerazioni personali che ogni guida esprime, la paternale del Gambero sul Lazio vinicolo che non si impegna mai è ormai molto poco veritiera. Il confronto con le altre due guide mostra che esiste una crescita qualitativa, espressa proprio da quei distretti che il Gambero tanto bacchetta. Allora mi permetto di offrire loro un consiglio non richiesto per commentare i Tre Bicchieri che attribuiranno ai vini laziali il prossimo anno: “scusate, ma al di là delle sei cantine premiate gli altri vini regionali proprio non ci piacciono. Guardate, li abbiamo anche provati, perché ci hanno insegnato che si assaggia tutto, ma proprio non ci garbano. Non è colpa di nessuno, doveva andare così, ma possiamo restare comunque buoni amici”.