Il Caporalato italiano è un affare della stampa estera? Il caso Passalacqua

La brutta vicenda della Tenute Passalacqua srl, accusata di caporalato, e l'eventuale coinvolgimento della vignaiola Valentina Passalacqua, nel (pressoché) disinteresse della stampa italiana.

Il Caporalato italiano è un affare della stampa estera? Il caso Passalacqua

C’è un brutto fatto di cui è il caso di parlare che riguarda il caporalato in Puglia e, forse, potrebbe coinvolgere il settore del vino naturale italiano. Un ambito che fa del rispetto della terra, della natura e delle risorse umane un suo punto di forza, fino a prova contraria. La vicenda Passalacqua impone per la prima volta in Italia una riflessione, insomma. Anzi, probabilmente anche più di una – e alcune riguardano anche noi giornalisti.

La vicenda Passalacqua

L’imprenditrice Valentina Passalacqua è a capo di un’azienda biodinamica piuttosto nota agli appassionati, con sede in provincia di Foggia. I suoi vini erano apprezzati ed esportati anche all’estero, fino a quando, a inizio luglio, suo padre è rimasto coinvolto in una brutta storia di caporalato. Non un affare di poco conto: le Tenute Passalacqua srl, di proprietà di Settimio Passalacqua, padre di Valentina, sono un impero ortofrutticolo.

L’accusa con cui il settantottenne imprenditore pugliese è finito agli arresti domiciliari è quella, infamante, di caporalato. Secondo gli inquirenti, Settimio e il suo braccio destro, Antonio Piancone, avrebbero “utilizzato, assunto e/o impiegato manodopera composta da un numero molto significativo di lavoratori comunitari o extracomunitari di vari gruppi etnici – per lo più di etnia africana ed etnia albanese – approfittando del loro stato di bisogno, imputabile a condizioni economiche precarie, e in via separata, alla scarsità di opportunità lavorative alternative nella località di residenza, alla mancanza di beni e fonti alternative di reddito, al livello di scolarizzazione e alla condizione di immigrato per alcuni dei lavoratori occupati e in definitiva la circostanza che i suddetti fossero arrivati ​​in Italia in cerca di sicurezza e di un lavoro che potesse garantire la loro sopravvivenza e quella dei loro familiari” e li avrebbero sfruttati nei loro campi con un “pagamento ripetuto ai lavoratori, prevalentemente in contanti, della somma oraria variabile da un minimo di 3,33 euro a un massimo di 5,71 euro o di una paga giornaliera compresa tra 30 e 45 euro, in violazione delle norme nazionali o territoriali contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali ”.

Il ruolo di Valentina Passalacqua

Valentina passalacqua

Tutto da accertare, ovviamente, compreso un eventuale ruolo di Valentina Passalacqua in una brutta faccenda che, a un primo sguardo, coinvolgeva soltanto la sua famiglia e non lei in prima persona. Tuttavia la vicenda aveva inevitabilmente fatto calare un’ombra piuttosto pesante sul nome dell’azienda, coinvolgendo anche l’attività di Valentina. Qualche importatore, all’estero ha perfino boicottato i suoi vini, smettendo di acquistarli nell’attesa che si chiarisse la situazione.

L’imprenditrice vitivinicola, dal canto suo, si è subito dissociata dalle vicende che hanno coinvolto suo padre: “formalmente ci unisce lo stesso cognome, tuttavia le condotte ascritte a mio padre, peraltro tutte in fase embrionale e tutte da accertare, non sono riconducibili alla mia azienda ed al mio operato”, ha scritto sui social.

Nel frattempo però, a rendere più difficile la posizione di Valentina Passalacqua, ci si mette WineMag, che con una semplice visura camerale smentisce la difesa di Valentina, dimostrando che lei detiene una quota del 25% della Tenute Passalacqua srl ​​società agricola, e quindi probabilmente non può ritenersi del tutto estranea ai fatti e alle dinamiche dell’azienda di famiglia, che sapesse oppure no delle presunte attività illecite dell’azienda.

La stampa italiana ignora e tace. Ad accendere i riflettori sulla faccenda, riportando i dati di WineMag, deve pensare il The Morning Claret, con il giornalista Simon J Woolf ,subito ripreso da Intravino e ora da noi.

Simon J Woolf che a margine del suo pezzo scrive anche, a mo’ di disclaimer, di essere stato anni fa in visita presso le tenute di Valentina Passalacqua, presso le quali aveva ricevuto alloggio e cena gratuiti come d’abitudine per il suo lavoro per la rivista Decanter, fa un lavoro ineccepibile con il suo articolo. Un pezzo preciso, documentato, super partes. Peccato che debba arrivare dalla stampa straniera, a fare chiarezza su una vicenda tutta italiana che coinvolge aziende del nostro territorio e una pratica illegale particolarmente diffusa nei nostri campi.