Come suscitare nuovo interesse per una bevanda che vede il proprio sviluppo spalmato su quattro millenni? Una strada percorribile, in questo tempo di esasperata mediaticità, è lanciare una novità, un’esclusiva, qualcosa di mai fatto prima. È ciò che ha scelto di fare Andrea Moser, il talentuoso enologo in uscita da Kaltern Kellerei (o Cantina di Caldaro), annunciando il suo nuovo progetto nel mondo del vino: AMProject.
Il concetto aziendale è produrre pochissime bottiglie di vino, cambiando di volta in volta la regione, i vitigni, la vinificazione. In due parole: temporary wines.
Sul sito aziendale si può leggere: “i vini saranno unici, quasi sempre irripetibili, in edizione limitata e sarà possibile acquistarli solo in pre-ordine” (anche se poche righe dopo si legge “alcuni dei vini saranno ogni anno un’evoluzione dell’annata precedente […] in modo da dare continuità alla ricerca e al lavoro svolto“, cozzando un po’ con l’idea di irripetibilità). Insomma, si parla di vini esclusivi, prodotti solo in poche centinaia di bottiglie, “destinati a un target di appassionati e – in parte – riservati a una serie di ristoranti che oltre a poterli ordinare per la loro carta dei vini, li avranno in abbinamento a menu e piatti signature“.
Unicità. Esclusività. Privilegio. Tutti valori marmorizzati negli usi e costumi contemporanei: è il bene più raro ad attrarre le maggiori attenzioni, ancor prima di essere qualitativamente valido. E questo senza voler dire nulla delle capacità di Andrea Moser, la qualità dei vini di Kaltern parla per lui, così come l’inserimento tra i 40 under 40 del vino italiano da parte di Fortune. Ma certamente, oltre al nome dell’enologo, è il vanto di poter possedere di qualcosa di unico ad attrarre i futuri acquirenti verso queste nuove bottiglie. Bottiglie che, suppongo, avranno un costo adeguato a questa percezione di eccezionalità.
La prima annata sarà in pre-ordine da ottobre e le 726 bottiglie prodotte “verranno spedite solo nei mesi freddi per preservarne al meglio le caratteristiche” (ma non esistono più i camion-frigo?). Si tratta di un blend di uve bianche vendemmiate ad Anghiari, Toscana, a settembre 2022. Si legge nel sito che “la vinificazione delle uve avverrà in Alto Adige, ma non solo“, e questa cosa farà depennare ai puristi la voce ‘territorialità’ dal taccuino, in quanto viene considerato parte dell’espressione del territorio anche l’ambiente di cantina, con tutta la pletora di microorganismi presente.
Per quanto nulla possa contare, ed esclusa l’irritante aura di privilegio connessa, a me in fondo non dispiace l’iniziativa dei Moser (Andrea e Luca, il fratello). Essa porta una necessaria dose di originalità in un panorama vinicolo ormai sedimentato sugli stessi temi: naturalità estremizzata, non interventismo, tipicità. I Moser dicono “andiamo in un posto, prendiamo le uve che ci piacciono e facciamo il vino che vogliamo”, senza badare a come facessero il vino i nonni dei nonni di chi oggi possiede quelle vigne. Un atto di libertà che oggi pare quasi una rivolta. Una libertà che, va detto, mi ha ricordato le sperimentazioni di Roberto Cipresso.
Magari oggi il nome non gode della luce dei riflettori ma resta un talento del vino, che 20-30 anni fa volle prendere ed assemblare uve da Toscana, Umbria e Marche (Sangiovese, Sagrantino e Montepulciano) per trarne un vino d’autore che rappresentasse il 43° parallelo boreale, il parallelo del vino e dei santuari.
Anche Andrea Moser farà dunque vini d’autore, vini che parleranno dell’enologo più che del territorio. E va bene così. E beato chi riuscirà a provarli tutti.