Non ho dati certi, ma penso che il 2024 sia stato più di tutti l’anno del “come facciamo a far bere il vino ai giovani?”. C’è stata una ricerca costante e spasmodica dell’attenzione dei giovani da parte di tutto il mondo del vino. Dalle cantine ai comunicatori, ognuno si è chiesto attraverso articoli o conferenze come far apprezzare il vino ai giovani, senza peraltro andare oltre un metaforico cartello con su scritto “#cagatemi”.
Negli anni 2000 andava di moda fare gli squilletti sul cellulare della persona a cui stavi pensando. Convertito in metafora, oggi la Generazione Z ha gli smartphone pieni zeppi di chiamate senza risposta; loro, che lo smartphone non lo usano affatto per telefonare.
Non si capisce come mai il comparto vino, con i suoi ritmi pacati, quando non pachidermici, abbia voglia di sforzarsi per attrarre a sé i giovani, che se non erro sono ancora quelli più immediati e dinamici. Perché mai un ventenne dovrebbe voler aprire una bottiglia di vino almeno due ore prima, e poi usare i giusti calici, se la serata prevede una pizza organizzata all’ultimo minuto? Ancora prima: dove troverebbero i soldi dei ventenni, magari studenti, per una costosa bottiglia di vino da aprire due ore prima (che poi ‘sta cosa delle due ore è un’altra roba che… ma ne riparleremo). E comunque, pur avendo i soldi a disposizione, ma perché mai dovrebbero spenderli tutti in quella diamine di bottiglia con le mille alternative a disposizione, molto meno impegnative (e senza che nessuno ti sbeffeggi per la scelta del vino: “hai aperto un Tibiasanta di Passo Corese? Sì, buono per carità, ma era senz’altro più adatto un Gentrificato di Austerlitz Riserva“).
La verità è una sola: il motivo principale per cui giovani non sono interessati al vino è perché dentro ci sono i vecchi. Dietro ai calici, dietro le tastiere e ai posti di comando: vecchi ovunque. Se l’enomondo vuole davvero risolvere la (presunta) crisi del settore, non deve fare altro che attrarre a sé altri vecchi, perché il mondo del vino è un mondo di vecchi (calzerebbe meglio la definizione fornita dal Giancane in una delle sue più riuscite liriche; lasciamo al lettore l’onere della ricerca).
Chi sono i vecchi?
Molti di questi vecchi sono individui che con il calice in mano non conoscono fretta, che vogliono dedicare tutta la loro concentrazione al liquido nel calice, alla sua evoluzione nei profumi e nei sapori; che del vino appena comprato vogliono sapere la storia della cantina e i nomi di chi in inverno effettua la potatura; che vanno alle degustazioni e chiedono dettagli sul materiale e la volumetria dei vasi vinari al poveraccio dietro il bancone, il quale sovente inventa dati e dettagli sul momento, purché si liberi di questi vecchi.
Sono dunque persone che leggono, si informano, partecipano e, quando va male, finiscono per scrivere (beninteso: io sono appieno fra quei vecchi). Parli a loro, il mondo del vino. Li convinca che, dopotutto, li possono spendere 100€ per quel Brunello, la bolletta dell’acqua può aspettare. Coinvolga questi poveri esseri ancora di più e, soprattutto, meglio di come fa.
Già, un gran problema del mondo del vino è che parla principalmente ad un’altra tipologia di vecchi, e con linguaggi ancora più vecchi. Comunicatori e cantine, quando si parla di vino, suonano sempre le stesse due armonie: storia e privilegio. E se la prima potrebbe al massimo risultare ripetitiva (Columella e Plinio pare abbiano allungato barbatelle a tre quarti di Europa), la seconda narrazione è quella che a respingere la maggior parte dei possibili consumatori.
Nei panni dei giovani bevitori
Perché secondo voi i ventenni, qualora bevano del vino, si dirigono sempre verso la sponda naturale? Perché, al di là della problematica ambientale cui sono più sensibili rispetto noi vecchi, il vino naturale ha quasi sempre un’etichetta divertente e non chiede altro che di essere bevuto: non rimanda a casate nobiliari, non invoglia all’ostentazione vezzosa via social, non obbliga alla degustazione cerebrale e non deve piacerti per forza. Se il vino non è buono, perché può capitare, il giovane non sente crescere in sé rabbia e delusione: semplicemente alla successiva occasione sceglierà un altro vino (certo, i rincari spropositati che anche i vini naturali hanno riportato negli ultimi anni allontanano ulteriormente i ventenni anche da questa branca più young-friendly).
Invece la tipologia di vecchi che è obiettivo degli uffici stampa dell’enomondo vino gode nel mostrare di star bevendo qualcosa di esclusivo, di nobile, di elitario. Il verbo non è casuale: queste persone più o meno educate al vino godono nel ‘mostrare’, non nel ‘bere’. Molti di questi vecchi, anche coetanei, li ho visti ai corsi sommelier o alle degustazioni: il momento del Sassicaia dilata le pupille di tutti; nessuno ricorda il sapore del Sassicaia, ma tutti esibiscono fieri le foto di quell’assaggio; tutti dicono di essersi emozionati, nessuno ha mai provato a descrivere quell’emozione.
Questi vecchi dunque si beano dell’atmosfera elitaria che gran parte del vino emana attraverso la sua comunicazione. Etichette che riportano titoli nobiliari, antiche casate e quintupli cognomi; degustazioni tenute in hotel lussuosi, location esclusive e splendide cornici. Tutto ciò non potrà mai catturare le attenzioni del più concreto universo giovane.
Magari questo scenario potrebbe invece incuriosire altri anziani: quelli che bevono solo vini da pochi euro, che tanto tutti i vini sono uguali, che le cantine fanno gli impicci con i camion-cisterna come dice Report. Allora che si martellino questi altri vecchi, che del vino sanno riconoscere a malapena il colore. Li si educhi senza parlare da pulpiti, si spieghino loro le differenze tra un Barbaresco e un Sagrantino, tra un Sangiovese di Romagna e uno toscano, tra Prosecco e Franciacorta. Loro, quelli che oggi per il vino spendono meno di 5 € a bottiglia, sono il futuro del mercato, la soluzione della crisi. E che si smetta di assillare i giovani per fargli bere qualcosa che non può rappresentarli.
I giovani faranno come abbiamo fatto tutti noi, che amiamo il succo d’uva fermentato: lo apprezzeranno tra qualche anno. Quando saranno entrati nella vecchiaia.
Una precisazione: non conto nella comunicazione del vino i tanti wine influencer che si lanciano vino addosso, brandiscono calici in abiti succinti accanto a bottiglie rigorosamente chiuse, oppure si mostrano ad eventi top dicendo di aver bevuto vini pazzeschi ma senza uno straccio di descrizione di tali vini. Costoro non pubblicizzano il vino: pubblicizzano sé stessi. Non innalzano il fatturato di alcuna cantina: sono loro stessi il brand sul mercato, il vino è solo il mezzo. Sbaglia chi li inserisce in quel filone comunicativo (anche chi gli fornisce il vino, ma quella è opinione personale).