Ha senso boicottare la vodka? E soprattutto, quanta della vodka che beviamo è veramente russa? Dopo l’invasione dell’Ucraina l’occidente cerca di contrastare la Russia con tutti i mezzi che non siano la guerra aperta. Sanzioni – che potrebbero trasformarsi in armi a doppio taglio dati i rapporti commerciali intrecciati con il paese – ma anche atti più simbolici, come lo spostamento di eventi (per esempio la finale del 50 Best Restaurants da Mosca a Londra). E tra questi, una cosa molto gettonata, che si affaccia a ogni conflitto o crisi internazionale, è il boicottaggio.
Lasciando da parte la provocazione del senatore repubblicano USA Tom Cotton, che ha invitato a svuotare le bottiglie di vodka a mandarle in Ucraina per farle usare come bombe Molotov, a macchia di leopardo molte iniziative ufficiali sono già partite. Nel New Hampshire, dove liquori e vino sono venduti attraverso negozi statali, il governatore Chris Sununu, repubblicano, ha annunciato sabato la rimozione degli “alcolici di fabbricazione russa e di marca russa dai nostri negozi di liquori e vini fino a nuovo avviso”. In Ohio, dove lo stato stipula contratti con aziende private per la vendita di liquori, il governatore Mike DeWine, anche lui repubblicano, ha annunciato l’interruzione degli acquisti e delle vendite statali di Russian Standard Vodka. L. Louise Lucas, un senatore democratico dello Stato della Virginia, chiede “la rimozione di tutta la vodka russa e di qualsiasi altro prodotto russo”.
Ma la domanda che è giusto porsi è: il boicottaggio dà soddisfazione ai boicottanti più che danneggiare i boicottati? Le vette di ridicolo toccate dagli americani nel 2003, quando la Francia si opponeva alla guerra in Iraq e loro per vendetta cambiarono nome alle patatine fritte, da French fries a Freedom fries, sono difficilmente scalabili. Però gli effetti rischiano di essere simili, cioè nulli.
Ad esempio, alcuni proprietari di bar stanno protestando contro l’invasione togliendo di mezzo la Stoli Vodka. Il problema è che è russa solo di nome. La vodka è in realtà prodotta in Lettonia e il quartier generale dell’azienda è in Lussemburgo, un membro della NATO che si è espresso contro l’invasione russa. In una dichiarazione alla CNN Business, Stoli Group ha affermato che “condanna inequivocabilmente l’azione militare in Ucraina ed è pronto a sostenere il popolo ucraino”.
Smirnoff è un altro marchio che viene erroneamente considerato russo. Sebbene faccia risalire le sue origini alla Russia del 19° secolo, l’azienda è stata a lungo di proprietà del gigante britannico degli alcolici Diageo ed è prodotta in Illinois.
Ma mentre negli Stati Uniti nel 2020 sono state vendute 76,9 milioni di casse da nove litri di vodka, generando quasi 7 miliardi di dollari di entrate per i distillatori, secondo il Distilled Spirits Council la quota di mercato della Russia rappresenta poco più dell’1% della quantità in dollari di vodka importata negli Stati Uniti nel 2017, come ha riferito Thrillist. La Francia – le cui vodka includono Grey Goose, Cîroc, Gallant e MontBlanc – rappresenta circa il 39% del valore totale delle importazioni di vodka, la maggior parte di qualsiasi altro paese. La Svezia, con marchi di vodka come Absolut e DQ, rappresenta circa il 18%. Gli altri principali esportatori sono i Paesi Bassi (17%), la Lettonia (10%), la Gran Bretagna (5%) e la Polonia (5%). In Pennsylvania, il Philadelphia Inquirer ha riportato sabato che “i veri marchi russi sono difficili da trovare”.