Fateci caso, dove ci sono barbe fluenti e baffi a manubrio, frenesia meneghina e moda gourmet, c’è sempre più spesso il gin.
Gin italiano e artigianale, precisiamo, con etichette specializzate piccole e ancora difficili da trovare, ma che si moltiplicano sciorinando prodotti eccezionali come vent’anni fa accadeva ai pionieri della birra artigianale.
Il movimento, nuovo orgoglio del Made in Italy, conta ormai una ventina di etichette, ciascuna con la sua storia, le sue curiosità e caratteristiche.
Anche con le sue botaniche (gli ingredienti, spezie, erbe, bacche e fiori utilizzati per aromatizzare i gin), espressione da mandare a memoria perché ormai sinonimo di mondanità eno-gastronomica.
BREVE STORIA DEL GIN
La prima apparizione di un distillato da cereali non maltati risale al 1600, è il “Jenever” olandese, accolto con entusiasmo soprattutto in Inghilterra e adottato come liquore autoctono per contrastare il successo del cognac, prodotto dagli acerrimi rivali francesi.
La prima realizzazione inglese si chiama Old Tom gin, simile per dolcezza al Jenever olandese.
Si arriva poi, nel 1762, a un prodotto più secco ottenuto da Alexander Gordon distillando per due volte alcol agricolo con l’aggiunta di ginepro e altri gruppi botanici.
È nato il London Dry Gin.
Sono tre le macro categorie d’appartenza di questo distillato, London Dry Gin, appunto, (Compound) Gin, in cui all’alcol agricolo si aggiungono gli olii essenziali delle varie botaniche ottenuti per pressatura o distillazione o altri ingredienti, e Distilled Gin, la categoria che permette tipi diversi di lavorazione.
I Compound gin compound e distilled gin hanno avuto grande fortuna all’inizio degli anni 2000, quando sono arrivati sul mercato prodotti come il tedesco Monkey 47 o lo scozzese Hendrick’s, inedito mix di due distillati con aggiunta a freddo di essenze di cetriolo e petali di rosa.
GIN ARTIGIANALI ITALIANI
Fred Jerbis, uno dei più interessanti gin artigianali italiani, è inizialmente il side-project di Federico Cremasco, barman di Polcenigo (PN) e docente di mixology.
Il nome del prodotto, che unisce la citazione di chi l’ha inventato (Fred) alla parola erbe in friulano (Jerbis), indica un distillato di 43 botaniche diverse (tra cui ginepro, angelica, limone, arancia, mandarino, timo, lavanda, menta, anice, finocchio, pino mugo, melissa, iris, imperatoria, santoreggia, salvia sclarea, assenzio romano, achillea, liquirizia, zafferano, fiori d’arancio, issopo, maggiorana, calamo aromatico, alcune bio), stesso numero dei suoi gradi alcolici.
Troppe?
La quantità è inconsueta, ma se Fred Jerbis, sul mercato da soli 6 mesi, è riuscito a diventare la piccola stella del fenomeno gin artigianale italiano, significa che la strada percorsa finora è giusta.
I punti di forza sono uno studio delle piante approfondito, un laboratorio botanico completo e un metodo estrattivo dalle erbe botaniche accurato e ormai consolidato.
Mai come in questo caso il punto di forza sta nella filiera corta realizzata nella zona collinare delle prealpi friulane: conoscere l’esatta provenienza di ogni singolo ingrediente aiuta a creare prodotti capaci di distinguersi.
Spiega Federico Cremasco:
“Fred Jerbis è il frutto di un lavoro durato 5 anni, sono partito nel 2010 dalla coltivazione delle piante necessarie alle botaniche, che hanno un rendimento diverso a seconda delle ore di esposizione al sole e di dove vengono piantate, sperimentandone alcune poi non utilizzate.
La mia esperienza, che comprende molte ore di esercizio con un piccolo alambicco, si rifà alla tradizione liquoristica italiana e, per ogni pianta, parte sempre da prodotti semilavorati come per esempio la tintura di coriandolo“.
Fred Jerbis è il prodotto di un lavoro di squadra: la distillazione in corrente di vapore fatta da Carlo, il tecnologo alimentare che coltiva gran parte delle erbe utilizzate. L’estrazione della parte essiccata col metodo caldo-freddo che dona al liquore il caratteristico colore dorato, è in carico all’aromatiere Marco. La distillazione in alcool del solo ginepro che avviene nell’Opificio a Spilimbergo, dove le varie componenti vengono finalmente unite.
Per quanto riguarda percentuali e dosaggi si segue la ricetta antica di un aromatiere italiano riadattata ai giorni nostri.
A quale categoria appartiene Fred Jerbis?
Potrebbe essere etichettato come un gin cold compound, un gin fatto per infusione a freddo, senza seconda distillazione.
In pratica, al distillato base di cereali e ginepro si uniscono successivamente le altre botaniche a macerare per una decina di giorni. Ma in realtà la sua lavorazione è appunto più complessa.
Si può bere liscio come digestivo sfruttando le caratteristiche delle erbe, come parte di gloriosi Gin Tonic o di numerosi cocktail, dai classici rivisitati come Martinez o Singapore, al sorprendente Gin Grass.
Visto il successo, sempre a marchio Fred Jerbis, sono in rampa di lancio vermouth (altro protagonista di questo entusiasmante rilancio dei liquori italiani), bitter da aperitivo, prodotti aromatici (tipo Angostura), amaro e per il prossimo autunno un paio di nuovi gin.
Abbiamo chiesto a Federico una ricetta per allietare le vostre serate con gli amici
Floradora
20 ml succo di lime fresco
10 ml zucchero liquido
5/6 lamponi
40 ml gin Fred Jerbis
Pestare i lamponi insieme allo zucchero liquido, quindi aggiungere il lime, il gin e ghiaccio e poi shakerare. Finire con la ginger ale (o meglio la ginger beer, se l’avete a disposizione) e servire.
[Crediti | Link: Dissapore, Sapere Bere. Immagini: fred jerbis]