Hanno sentori foxy, non sono resistenti alla fillossera, sono perfino un po’ naturalmente velenosi. Ma hanno anche dei difetti. Fosse nato negli anni 2000, Dalmasso ne avrebbe potuto parlare così. Di cosa? E chi diamine era Dalmasso? E perché qui su Dissapore ci è venuta una strana mania e parliamo sempre di metanolo? Perché sì, forse dal metanolo siamo un po’ ossessionati, ma quello che è successo nel mondo del vino italiano dalla seconda metà dell’Ottocento è davvero notevole. E il metanolo, in un modo o nell’altro, è sempre presente, indissolubilmente legato alle origini del diabolico vino fragolino.
La favola bella della Vitis Vinifera
L’eroina sventurata della nostra storia, la vitis vinifera, nacque, non si sa bene quando, tra l’Asia Minore e la regione del Caucaso. Non si sa bene quando, ma si individua il periodo nel Cretaceo superiore (60/65 milioni di anni fa). Invece, sull’inizio della storia d’amore tra l’uomo e la fermentazione (quasi sicuramente spontanea) dell’uva, possiamo essere un po’ più precisi.
Il più grande spettacolo dopo il Big Bang è iniziato sul finire del Neolitico. Fu in quel considerevole lasso di tempo che va dal 8000 al 3500 a.C., che i nostri antenati prima semplici raccoglitori dei frutti spontanei dell’uva, iniziarono a tentare di coltivarla. E da lì non ci siamo mai fermati. I primi riferimenti letterari al vino e alla vite si ritrovano già ne L’Epopea di Gilgamesh che risale al terzo millennio a.C.
“Il vino e la coltivazione della vite accompagnano l’umanità da millenni, seguendone i gusti e l’evoluzione tecnica e, negli ultimi anni, tecnologica.” afferma Mauro De Angelis. De Angelis è agronomo, consulente di aziende vitivinicole ed ex Presidente del Consorzio Tutela Frascati Doc Docg: lo ascolteremo più volte nel corso del nostro tortuoso viaggio. “In quest’ottica, qualsiasi fenomeno, anche quello più sconvolgente, non è che una parentesi nella storia del vino. Anche eventi ad altissimo impatto, come la crisi della vite cosiddetta europea a causa della fillossera, o lo scandalo italiano del vino al metanolo, non possono che essere considerati incidenti in questa millenaria storia di cultura”
Dal terzo millennio a.C., la cultura della vite e la nascita del vino ne hanno fatti di progressi. Indubitabilmente, però, nella storia della vite, la parte del padrone l’ha fatta il vecchio continente.
Se la vite é coltivabile con successo in quelle che vengono definite le Wine belt, le cinture del vino, (ossia le aree geografiche comprese tra i 30/50° nord e tra i 30/40° sud di latitudine, aventi delle precise caratteristiche climatiche), sottolineeremo subito che è l‘Europa a creare circa il 65% della produzione mondiale del vino. Del resto, storicamente sono state la Grecia prima e Roma poi a renderlo un prodotto specifico (e dal gusto oggi non diremmo solo imbevibile ma forse nemmeno “annusabile”).
Nella seconda metà del 1800 però, questa lunga storia europea ha rischiato un’interruzione fatale. Il colpevole? Un grazioso insetto che non farebbe piacere incontrare in un vicolo buio di notte, anche a non essere un traliccio di vite.
Fillossera, oidio, peronospora e altre piacevolezze
La storia di quel’insettino è paradossale: furono i vitigni americani a salvarci dalla fillossera o furono proprio loro a portare la fillossera in Europa? In questa incredibile storia nulla è come sembra e quindi potremmo rispondere affermativamente ad entrambe le domande.
Il Viteus vitifoliae è un afide fitofago (che mangia le piante), non visibile a occhio nudo. I suoi effetti sulle vite, però, sono visibili eccome: provoca delle galle sulle foglie, delle escrescenze, una sorta di tumore. In breve la pianta arriva alla morte.
La fillossera attacca le radici della vite europea; nel caso di quella americana, invece, ad essere attaccato è l’apparato aereo. Dobbiamo a questo punto fare delle considerazioni:
a) la vite americana e quella europea sono spiccatamente diverse;
b) molte specie di vite americana sono resistenti alla fillossera e ad altre malattie della vite;
c) la vite americana ha di norma un apparato radicale con radici aeree.
La fillossera fu individuata negli Stati Uniti nel 1854; entro un decennio era già in Europa. Come ricordavamo poco fa, è molto probabile che sia stata proprio l’importazione in Europa di viti americane per motivi di studio, a far arrivare il perfido afide nel vecchio continente.
Erano alcuni decenni che in Europa si stava studiando attentamente la vite americana, perché molte delle sue varietà risultavano resistenti all’oidio e alla peronospora, altri accidenti che stavano intaccando la salute delle coltivazioni vitivinicole europee. Ma se, seppur a fatica e in maniera molto dispendiosa, contro queste patologie si poteva combattere, l’impatto della fillossera fu deflagrante. Non furono individuate cure efficaci. Emerse quasi subito che i vitigni impiantati su terreni sabbiosi fossero più resistenti contro questa piaga; chiaramente non era ipotizzabile il massiccio trasloco delle viticulture su tali tipi di terreni. Dopo vari altri tentativi di stermino delle uova della fillossera, con alterni successi, gli scienziati e i viticoltori capirono che proprio le viti americane potevano essere la chiave di volta per scongiurare la scomparsa della viticoltura nel nostro continente.
Furono studiate quindi soluzioni che potremmo definire di lotta biologica preventiva. Furono create – tramite innesti – specie resistenti alla fillossera, che in sostanza avevano la parte pedologica resistente alla fillossera, ma che manteneva intatte le caratteristiche del soprastante vitigno europeo, in termini di qualità e tipizzazione del prodotto.
Si tentò però anche la strada dei cosiddetti Ibridi Produttori Diretti, proprio per sostituire i vigneti distrutti dalla fillossera.
Furono quindi impiantati in Europa degli ibridi naturali di Vitis Lambrusca, quali l’Othello, il Concord, il Noah e, soprattutto quelli che ci interesseranno di più in quanto molto presenti nel nostro Nordest: l’Isabella e il Clinton.
Venne quasi subito fuori che proprio la Vitis Lambrusca non fosse resistente alla fillossera. Che fortuna, eh?!
Eppure, in un modo o nell’altro, Clinton e Isabella rimasero molto a lungo nelle nostre terre, diventato in un certo senso le reginette del ballo in Veneto.
Clinton, Isabella, Fragolino, Veneto e il metanolo spontaneo
Ibrido Produttore Diretto più antico tra quelli piantati in Europa, l’Isabella fu identificato per la prima volta nel 1816, nel Sud Carolina. Fu il vivaista Prince a notarla nel giardino della moglie di un generale dell’esercito, Isabella Gibbs: a lei dobbiamo il nome del vitigno. Unico a essere portato in Europa ancor prima dell’insorgere della fillossera, l’Isabella è il vitigno spesso conosciuto con il nome di Uva Fragola.
Ha la caratteristica di essere naturalmente resistente all’oidio, cosa che lo ha reso particolarmente caro ai viticoltori del nostro nordest che combattevano da decenni lotte impari contro questa patologia causata da un fungo.
Si può dire che l’oidio sia stato il Cordyceps delle viti, e l’Isabella l’Ellie dei vitigni, se non siete amanti di The last of us, temiamo di avervi ulteriormente confusi.
Il vino che si produce da questo vitigno ha forti sentori di fragola e lampone e di quello che gli enologi chiamano dispregiativamente foxy, sentore selvatico o volpino.
Poiché si tratta una caratteristica comune a tutti gli ibridi produttori diretti, approfondiremo con brevità la questione del foxé, come altrimenti viene detto. Il sentore volpino, indica quel profumo muschiato, dolciastro e quasi “piccante”, tipico dei IPD. Il foxy deriva sostanzialmente da due composti chimici: il metil antranilato e il furaneolo, non ci addentreremo però nella loro analisi.
Più divertente è vedere come si sia giunti al nome foxy. Molti studiosi ritengono che anche questo nome sia frutto di una serie di equivoci e di parole lost in translation. Deriverebbe in fatti da “fox grape” che indica semplicemente uve selvatiche, senza far alcun riferimento ai sentori dei vini che vi si producono. Da qui l’equivoco: per assonanza tra l’inglese fox, inteso come selvatico, appunto, è il francese faux goùt (falso sapore).
Sia quale sia l’origine del suo nome, il sentore foxy, foxé, volpino è molto screditato dagli enologi che lo vedono quasi alla stregua di un difetto, ma apprezzato dal popolo, soprattutto veneto e friulano che di Fragolino e del vino prodotto dal Clinton erano grandi consumatori.
Ecco, il Clinton, il secondo IPD di nostro interesse. Riconosciuto sin dal 1835 negli Usa come Wortington, dal 1870 fu chiamato Clinton dall’omonima città della Iowa che realizzava le casse per l’esportazione di quelle viti in Europa. Ibrido da vite labrusca e riparia, il Clinton è più resistente alla fillossera dell’Isabella, e di tutti i vitigni da vite labrusca semplice. Gode, inoltre, di una maggiore adattabilità ai terreni. In Veneto, in Friuli e nell’Agro Pontino, il Clinton, clito o clintòn come spesso viene chiamato dialettalmente, ebbe un enorme successo.
I contadini lo bevevano con gioia, fino a quando nel 1931 il regime fascista agì. Fu vietata la coltivazione degli ibridi diretti produttori, se non nei vigneti di studio e sperimentazione. Ma l’Italia non fu il solo paese a vietarla, anche la Francia provvide in tal senso, per proteggere il patrimonio culturale e organolettico della Vitis Vinifera e perché… gli IPD sviluppano naturalmente alti livelli di metanolo!
Chiediamo a De Angelis cosa ne pensa del divieto di coltivazione e vinificazione dei IPD: “Chiaramente io sono per l’assoluto rispetto delle leggi. Un prodotto che non sia aderente a tutte le regole di vinificazione, per me non è proprio vino. Prodotti come il Fragolino da uve Isabella o vini da Clinton io li definisco “non vini”, proprio perché prodotti al di fuori di ogni sistema codificato. Si deve però fare una riflessione più complessa, riconoscere cosa questi vini e quei vitigni abbiano significato per i nostri territori. Capire cosa il vino stesso fosse per quelle popolazioni, cosa rappresentasse. Ricordare cosa significasse che per molte famiglie quei vini fossero devi veri e propri alimenti. Infine, va considerato il peso che gli IPD e le viti americane in genere ebbero per la soluzione della crisi della fillossera: se non ci fossero stati, forse adesso non potremmo più parlare di vino europeo.”
Ci lasciamo con un passaggio del celebre Canale Mussolini, il libro di Antonio Pennacchi: “(…) Il Clinton (…) è un’arma di distruzione di massa: o muori o resti cieco e scemo. Però era anche buono e – se le interessa – gliene posso fare trovare ancora qualche bottiglia perché, nascosta come un clandestino e coccolata più di un calciatore, se ne trova ancora qualche vigneto in Veneto, Friuli e Agro Pontino, appunto. Ma non lo dica all’Unione Europea.“
Né a Giovanni Dalmasso. Non lo dite alla buon’anima di Dalmasso, uno dei primi e più attenti critici degli IPD: lo sappiamo, avevamo promesso di dirvi chi fosse. Mentivamo!
(Tutte le immagini contenute nell’articolo sono tratte da “Vini Proibiti” di Michele Borgo e Angelo Costacurta – Kellermann Novembre 2022)