La mia intenzione era di scrivere un pezzo semplice, magari frivolo, a tematica enoica per l’8 marzo (che non si chiama ‘festa della donna’: non è una festa). Volevo partire leggero e terminare anche leggero, come si suppone dobbiamo comportarci noi maschietti in questo giorno: leggerezza, cordialità e tante mimose alle nostre damigelle. Ma è fin troppo evidente come di leggero non ci sia granché.
La considerazione di cui gode il genere femminile, nel mondo del vino come in altri ambiti, è formata da tanta facciata e da parecchi kilotoni di ipocrisia e aggressività, più o meno passiva. Se vi sembro esagerato, illogico, parziale, consiglio di proseguire comunque nella lettura del pezzo e di provare a minare il marmoreo pensiero “le donne esagerano” con qualche piccolo dubbio, qualche minuscolo “e se invece”.
Il lessico
Il leit motiv del pezzo pensato in occasione della Giornata internazionale dei diritti della donna (questo è il nome corretto. Le parole sono importanti) era l’anacronistico uso delle connotazioni maschile e femminile per descrivere i vini. ‘Vino femmineo‘, ma anche ‘vino maschio‘, sono tuttora molto usati per descrivere i ‘temperamenti’ di alcuni vini, richiamando il più classico degli stereotipi: il vino maschio è duro, tannico, intenso e quasi aspro (ovviamente è solo ed esclusivamente vino rosso; si sa, maschi che bevono bianchi o, non sia mai, rosati non ce ne sono; oppure non son veri maschi); femmineo invece è un vino morbido, abboccato o dolce, poco incline alle durezze, profumato da stordire un setter.
Un lessico da preistoria della degustazione eppure ancora usato da molti professionisti, spesso per scarso impegno. Un cliché tanto vecchio quanto sciocco, offensivo ed irritante, che ancora tramanda la visione della donna come piccola nuvoletta zuccherosa al contrario dell’uomo, una ruspa cingolata grugnente e senza emozioni. Semmai sentiste un sommelier sotto i 50 anni uscirsene con queste descrizioni, avete il dovere di guardarlo come un pediatra serio guarderebbe una mamma informata.
L’uomo ne sa più di vino (?!)
Ecco, il pezzo avrebbe dovuto concludersi così. Ma poi è arrivata una domanda: “a chi viene chiesta l’ordinazione del vino?“. Per esperienza personale, pur mettendo spesso la carta dei vini in mezzo al tavolo per non creare imbarazzi, i camerieri hanno sempre chiesto a me che vino io avessi scelto. Magari ipotizzando che mia moglie non avesse le competenze per saperne di vino. Capite, è una donna.
C’è un piccolo bug presente in tutti noi, maschi e femmine, che fa germogliare nei nostri bei cervelletti l’idea, chiaramente senza basi logiche, che l’uomo sia più esperto, più efficace e più preparato di una donna; per questo vengono fatte sempre a un uomo le domande decisive. Il bug è gentilmente offerto dalla nostra società patriarcale (sì, vi beccate anche il concetto di patriarcato; da un ometto per di più) ed è applicabile a tutti i contesti: dai motori al calcio, alle sfilate di moda e anche al vino.
Peccato che i dati dicano tutt’altro: sempre più donne frequentano corsi di studio del vino, ne acquistano e ne consumano quanto gli uomini. Sono poi consumatrici meno fidelizzate a una denominazione d’origine o a un’etichetta specifica e tendono a sperimentare molto, ampliando le loro conoscenze. Conoscendo ciò, chi porta una carta dei vini al tavolo dovrebbe avere bene in mente l’interlocutrice più competente in materia. E invece no, si continua a chiamare in causa l’energumeno di turno.
Chiudiamo col botto? Le donne si laureano prima, con voti più alti e in meno tempo degli uomini.
Questo che c’entra? Per diventare enologo o enologa c’è un corso di laurea specifico. E se quanto detto sopra è valido, dovremmo conoscere enologhe di successo. Domanda a bruciapelo: me ne sapreste citare qualcuna? Ci penso io: Arianna Occhipinti, Letizia Rocchi, Graziana Grassini o Barbara Tamburini. Quest’ultima è stata premiata nel 2019 con l’Oscar del vino come enologa dell’anno, premio conferitole dalla Fondazione Italiana Sommelier. Be’, un bel traguardo, non c’è che dire. Un traguardo che, tuttavia, nelle VENTI edizioni precedenti è stato conquistato solo da uomini, in gara pressoché sempre con altri uomini.
Tutto ciò può portare al pensiero che le donne non possano essere enologhe, non a livelli d’eccellenza, vero? Ecco il bug di cui sopra in tutto il suo splendore: non conosco enologhe famose, dunque le donne non possono essere enologhe. Non vado mica a pensare che il maschilismo in campo vinicolo suggerisca di scegliere con più facilità un enologo anziché un’enologa; no, penso direttamente che non ne siano capaci. Meglio indirizzarle verso impieghi di marketing all’interno delle aziende vinicole, o a fare la ragazza immagine ai padiglioni del Vinitaly, a mostrare le forme e a subire molestie.
Sì, molestie. Allora, ripetiamolo tutti insieme perché è questione di educazione e umana decenza: se fischi dietro ad una ragazza, è una molestia (si chiama catcalling); se le dai una pacca sul culo non espressamente richiesta, è una molestia; se fai battute a doppio senso non gradite, è una molestia; se la fissi insistentemente con gli occhi di Alvaro Vitali o attacchi bottone e non la finisci finché non ti si minaccia di chiamare la sicurezza, la polizia, la SWAT e i Power Rangers armati di lanciafiamme, è una molestia. “Eh, ma allora non si può più dire niente”? Se le parole o i gesti offendono qualcuno, no. E l’entità dell’offesa è valutabile solo da chi la subisce.
La sobrietà richiesta alle donne
Ah, a proposito, anche sulle feminee vesti c’è poi da ridire. Perché fintanto che si funge da decorazione di uno stand o si posta su Instagram le scollature sono ammesse, anzi auspicate (dai maschi, chiaramente). Ma se una donna occupa una posizione rilevante, allora no: vanno praticate sobrietà e castità, altrimenti non si è ‘persone serie’.
Faccio mea culpa: per retaggio culturale ho criticato in passato wineinfluencer in abiti succinti, in un puro esempio di sessismo benevolo (vedete quanti termini nuovi impariamo oggi?). Perché pensavo “il valore di una donna si misura a prescindere dai vestiti che indossa; perché mai devono ‘sminuirsi’ così?”. Per me una ragazza in bikini con accanto una bottiglia di vino si ‘sminuiva’. Grandissima presunzione maschilista, ahimé. Ora so che posso continuare a non gradire certe immagini associate al vino, ma lo tengo per me, ben consapevole che la mia opinione ha meno valore di un colpo di tosse in un tornado.
Purtroppo non tutti maturano queste riflessioni: 2019, la presidente del consorzio Mamertino DOC Flora Mondello diffuse un comunicato stampa per il Vinitaly, corredandolo di una sua foto in maglietta scollata. Un magazine online titolò “Scollate DOC: se l’onda delle influencer contagia i Consorzi del vino“, parlando testualmente di “posa e veste da calendario sexy” e di “tette al vento e sguardo ammiccante”. Un articolo vergognoso e tuttora online, esemplare della mentalità maschilista che affligge anche il mondo del vino, dove la condanna era dell’immagine della donna, non di qualcosa da lei detto o fatto.
Ovviamente non ho mai letto articoli di condanna nei confronti di uomini che parevano appena reduci dallo scarico delle fecce di fermentazione prima di mettersi dietro un bancone a servirmi del vino. Ma pare non essere un problema questo, si dice che sono “sono tipi rustici”: la meraviglia del doppio standard.
Altrettanto ovviamente al vergognoso articolo non sono seguite delle scuse, perché colpire pubblicamente la dignità di una donna alla fine mica è una cosa seria.
Sempre a tema vestiario, ricordiamo un episodio dello scorso anno che ha riguardato una donna e l’associazione di sommelier citata qualche riga più su. La ragazza, Nicole Hesslink, chiese via mail alla segreteria della FIS come mai non si potesse effettuare il servizio sommelier in pantaloni al posto della gonna prevista per le donne dal regolamento, giudicando quest’obbligo come sessista. Dopo un breve scambio di mail, la FIS rispose che se non le piacevano le regole poteva tranquillamente andare via. Secca così.
Nicole ha quindi pubblicato lo scambio di mail con la FIS sul suo profilo Instagram, passando nel frattempo ad un’altra associazione di sommelier. L’eco mediatica è stata forte e Nicole ha rilasciato varie interviste, ponendo sotto i riflettori il problema del sessismo all’interno dell’enomondo.
Per inciso: sul regolamento della FIS è tuttora prevista la gonna per le sommelier ma anche per le docenti. Eppure raramente ho visto docenti in gonna, sia nella sede FIS dove mi sono diplomato che presso la sede centrale di Roma.
Insomma, la storia poteva finire qui e già sarebbe stato abbastanza, se non che in estate la FIS decide di calare il carico a bastoni e denuncia Nicole Hesslink per diffamazione. Proprio così. Una potente associazione non ha esitato a denunciare una donna perché ha detto pubblicamente “questa cosa non mi va bene”. Invece di ammettere “be’, in fin dei conti non abbiamo nulla in contrario se le donne indossano pantaloni, purché eleganti. Cambiamo il regolamento, dai” la FIS ha deciso di procedere con una denuncia, riuscendo in un’operazione simpatia che non si vedeva dai tempi di Re Joffrey Baratheon.
Lo vedete anche voi che bel clima c’è attorno alle donne? Riuscite voi maschietti ad immedesimarvi in questo contesto, dove non basta l’impegno perché si può essere scavalcati da un qualsiasi uomo; dove una foto può essere oggetto di centinaia di giudizi diversi (quasi mai utili a qualcosa); dove fino a una certa età bisogna essere avvenenti, ma non volgari, e dopo bisogna coprirsi ed essere dimesse; dove bisogna stare attenti a quello che si dice perché “non si addice a una donna”. Tutte questioni che, ovviamente, mai hanno riguardato un uomo (a meno che questi non si comporti ‘da uomo’; in quel caso ci si va giù pure più pesantemente). E non tocco neanche argomenti come il gender pay gap, o la maternità che è ancora un bell’argine alle possibilità di carriera, etc., ma potete sempre chiedere ad una qualsiasi donna come le vada la vita.
Mi dispiace avervi rovinato la ‘festa’, ma trovo giusto farvi venire il dubbio che magari la persona che avete al vostro fianco non è così serena come può sembrare, per una serie di motivi talmente dati per scontato che sembrano non esistere.
Volete fare un gesto per l’8 marzo? Ascoltate sempre quello che vi dicono le donne, senza sminuire le loro parole. Può essere un buon inizio. E fate sempre scegliere il vino a loro, che c’è il rischio che impariate a bere bene.