Nelle cocktail list di tutto il Paese, in linea col palato sempre più bitter e sempre meno sweet di consumatori e addetti ai lavori, domina il salato. Ma possiamo spiegarvi: dietro agli ormai celebri “cocktail salati“, nonché alla tendenza visibilmente in ascesa di produrre distillati salati, non c’è solo una strategia commerciale mirata a renderli più invitanti e beverini, spingendoci a ordinarne un altro (e un altro ancora…) e quindi a spendere più soldi alla fine della nostra serata.
A livello tecnico, l’inconfondibile nota salata che percepiamo in fondo alla lingua serve infatti anche a esaltare la dolcezza o l’acidità degli altri ingredienti, così come a equilibrare sapori e profumi sulla carta discordanti fra loro. Una sorta di filo conduttore, insomma, che dopo essersi affacciato sulla scena della mixology nel 2019 è diventato il dissetantissimo trend di questo 2022.
È uno specifico studio scientifico a spiegarci come fa il nostro ipotalamo a sapere, esattamente, se una determinata bevanda riesce a idratarci e qual è l’effetto del sale sul nostro organismo. Un gruppo di scienziati dell’Università della California a San Francisco ha monitorato attraverso fibre ottiche l’attività dell’ipotalamo di topi che bevevano acqua salata. Ebbene, i neuroni della sete si sono spenti ai primi sorsi, ma sono tornati in attività poco dopo, come se qualcosa li avesse avvertiti che quella bevanda era troppo salata e non idratante. I ricercatori hanno allora infuso liquidi direttamente nello stomaco dei roditori, monitorando l’ipotalamo e scoprendo come le infusioni di acqua potabile fossero in grado di calmare i neuroni della sete a differenza di quelle di acqua salata. Quando i ricercatori hanno somministrato ai topi acqua salata e subito dopo li hanno lasciati liberi di bere, i neuroni della sete si sono spenti ai primi sorsi e poi riattivati subito dopo, come se dal tratto digerente fosse arrivato un “allarme-sale”. Un “allarme-sale” che ci spinge inconsciamente a bere di più, credendo appunto di avere ancora sete.
Ma come si fa ad aggiungere sapidità a un cocktail? Già vi immagino lì davanti al vostro Gin Tonic casalingo, con in mano il sale grosso che di solito usate per salare l’acqua per la pasta e tanti punti di domanda in testa. Le cose non vanno proprio così, anche se a dirla tutta non ci state andando molto lontano. Le opzioni sono numerose e molto diverse fra loro, spaziando dall’acqua di mare al sale marino fino alle alghe, sempre o quasi col mare come punto di riferimento. A seconda del talento o della fantasia del bartender, la salinità di un drink può derivare da un singolo prodotto che vanta già tali caratteristiche al suo interno o da un’intuizione homemade. Facciamo qualche esempio concreto.
Distillati salati
Partiamo proprio dalla parte vegetale, sicuramente la più curiosa. Come i più attenti lettori di Dissapore sapranno, a Venezia è recentemente nato “Gin dei Sospiri”, gin che ha nella salicornia la sua botanica principale. Per chi non la conoscesse, la salicornia (o asparago di mare) è una specie protetta di pianta spontanea tipica della laguna, la cui raccolta è regolamentata da un apposito disciplinare. Il timbro salato viene dato dal fatto che questa pianta cresce vicino agli specchi d’acqua salata e il suo sapore, unito alle altre botaniche (castraura, timo limonato, basilico e cardo mariano), ricorda quello della salsedine marina.
A Livorno, invece, è nato sempre in questi mesi “Amarea”, liquore premium firmato dal liquorificio “Il Re dei Re” che viene composto direttamente con acqua di mare, insieme a neroli, cedro, bergamotto, limone, arancia, mandarino e legno di cedro.
Chi scrive ha “dovuto” provare in prima persona tutti i prodotti menzionati e vi assicuriamo che quest’ultimo vanta un sapore di mare come pochi distillati presenti oggi sul mercato. Fra questi pochi c’è indubbiamente anche “Caprisius Gin”, gin dell’isola di Capri che a selezionate botaniche locali come ginepro, timo, maggiorana e limone è andato ad affiancare del sale marino. Questo, oltre a garantirgli una forte e sorprendente sapidità iniziale, serve anche per smorzare la sua importante alcolicità e cambiare sensibilmente la sua texture al palato.
Potremmo andare avanti per ore e ore, citandovi tanti altri spirits salati appena venuti alla luce… È notevole per esempio anche la composizione di “Gin Primo” e “Gin Ionico”, due gin territoriali che usano rispettivamente sale di Romagna (insieme a lavanda, erba luigia e santolina cenere) e acqua dell’Etna microfiltrata (insieme a salvia, rosmarino, mirto, cardamomo, arancia dolce, arancia amara, pompelmo e fiori di zagara), riconfermando per l’ennesima volta sia il trend che vi stiamo raccontando sia la sua illimitata diffusione da Nord a Sud Italia.
Tutti e cinque i prodotti sopracitati danno il meglio di loro in un semplice G&T, o al massimo in un Martini, ovvero in cocktail semplici e senza fronzoli che consentano di assaporarne le botaniche e percepirne al massimo la sapidità in bocca.
Cocktail salati
E se fosse invece il barman a voler creare ex novo una nota salata? È qui che parte la vera sfida, con sé stessi e con gli altri colleghi, in un settore che ha progressivamente acquisito presentazioni, strumenti e tecniche tipiche dell’alta cucina. Fanno ormai parte della storia del bar la crusta di sale del “Margarita” o del “Paloma”, il condimento con sale e pepe del “Bloody Mary” o la salamoia in parti uguali col vermouth del “Dirty Martini”, ma c’è chi è voluto andare ancora oltre e creare qualcosa di più personalizzato.
Martini Tinto
Un buon esempio in questo caso arriva da Firenze, dove il nuovo Bar Manager del Gruppo Valenza, Luca Manni, ha introdotto ben due cocktail salati nella nuova drink list di Caffè Concerto Paszkowski in Piazza della Repubblica. In primis, il suo “Martini Tinto” a base di gin, vermouth dry, cordiale salato alla rosa e aroma al limone, drink che gioca proprio col contrasto dolce-salato e con l’armonia dei colori togliendo al contempo spinta alcolica al classico Martini.
Daiquiri Cromatico
L’emblema della nuova drink list di Manni, e anche della sua filosofia dietro al bancone, è però il “Daiquiri Cromatico”, signature che accontenta gli occhi col tipico “effetto wow” dato dal butterfly pea flower infuso in una provetta con gin e rum. A contatto con la parte acida, in questo caso il sorbetto al limone già dentro la coppetta, il blu diventa viola (il colore per eccellenza di Firenze) e lo sciroppo di sale – l’ingrediente tecnicamente più difficile da usare, ma anche l’anima di questo drink – fa il resto apportando un’intensa nota sapida insieme al bitter homemade al cardamomo. Vi assicuriamo che dopo aver finito di bere il primo sarà difficile non richiederne un altro. Ricordate la storia dei topolini?
Bad Bunny
Bad Bunny è un drink dalle note sapide, realizzato con Altos tequila, carote lattofermentate, Tío Pepe sherry, vermouth rosso, agave e lime. Un altro esempio di sapidità all’interno di un drink arriva così da Vignola, in provincia di Modena, e più precisamente dal Noblesse Cocktail Bar. Questo locale, che punta non a caso su un concetto di mixology contemporanea e dallo stile pop, sfrutta al massimo la lattofermentazione per ricreare la percezione salata in un cocktail strutturato, complesso e sicuramente non per tutti.
Manteca Tequila
Azotea, restaurant-cocktail bar di Torino sulla cresta dell’onda, si caratterizza per una proposta di cucina e miscelazione nikkei tra Perù e Giappone, con un menu degustazione che vede ogni piatto accostato a un sip, ossia un sorso a bassa concentrazione alcolica (o addirittura analcolico). Cocktail dall’alta ricercatezza gastronomica, in molti casi, come il Manteca Tequila, che prevede il tequila infuso con burro fermentato sei mesi, che va a limare gli spigoli del distillato e ad aggiungere sentori particolari al drink, oltre a succo di lime, sciroppo di lulo homemade e foglie di ravanello.
Liquid Kitchen
Alternativa al Bloody Mary che sa essere confortevole quanto una bruschetta al pomodoro, la ricetta messa a punto da Fornarno riprende gli ingredienti di un cocktail tradizionale quanto divisivo, sovvertendolo ma mantenendone i tratti somatici. La vodka viene sostituita con un tequila Cimarron Blanco infuso in crosta di pane, mentre al posto del succo di pomodoro c’è un estratto di ciliegino, varietà scelta perché con la sua dolcezza va a bilanciare la sapidità dell’acqua di mozzarella di bufala e del sale Maldon affumicato e il sapore piccante-agrodolce del pepe nero e del centrifugato dei pickles. “L’idea, dice il bar manager, era quella di ricreare un sapore familiare, con un tocco sudamericano e italiano, rispettivamente rappresentato da tequila e mozzarella di bufala”. Rispetto al Bloody Mary, il Liquid Kitchen si presenta fluido e non cremoso; il suo gusto riporta alla mente una bruschetta, per il condimento che abitualmente ci viene aggiunto sopra. Cucina in un bicchiere.
A differenza del “Manteca Tequila”, il “Liquid Kitchen” è riproducibile a casa. Nerd della mixology, fatevi sotto:
Ingredienti per 1 persona
15 ml acqua di pickles (cetriolini inglesi in agrodolce)
30 ml tequila Cimarron Blanco
1 ciabattina di pane/L di tequila (con crosta croccante, ma senza troppa mollica)
15 ml acqua di bufala
50 ml estratto di ciliegino (più dolce, visto che ci sono parti acetiche e salate)
10 ml succo di limone
Sale Maldon affumicato e pepe nero q.b.
Frullate i pickles con un po’ della loro acqua di conservazione. Filtrate con una superbag da 100-200 µm di filtraggio. Strizzate e ricavate l’acqua di cetriolino, agrodolce e aromatizzata. Infondete la tequila per 1-2 giorni con il pane, precedentemente asciugato (e non essiccato) in forno se troppo umido. Filtrate con la superbag. Poi frullate una mozzarella di bufala di qualità con la sua acqua di conservazione. Filtrate con una superbag per ottenere l’acqua di mozzarella di bufala e infine miscelate tutti gli ingredienti.
Conservate il drink in frigorifero in una bottiglia. Prima del servizio, agitate la bottiglia. Da Azotea lo si serve in un bicchiere di ceramica a forma di uovo, ma un tumbler con del ghiaccio adrà benissimo.
Se il drink avanzasse, conservarlo in frigorifero per un tempo massimo di 3 giorni. Nota bene: l’utilizzo di superbag (si possono riutilizzare più volte, previo lavaggio con sapone) in alternativa al colino è fondamentale per ottenere un risultato limpido nel bicchiere, oltre che per aumentare il tempo di conservazione del cocktail.