I rumors, lo sapete, stimolano la creatività. Così la scorsa notte, tormentati dai fumi dell’alcol, dopo una cena durante la quale c’è giunto alle orecchie ciò che non avremmo voluto sentire, noi scribacchini appassionati di birra artigianale abbiamo avuto un incubo comune: mettiamo il caso che un birrificio craft iconico, facciamo Cr/Ak, ceda la propria distribuzione a una multinazionale, e la spariamo grossa per rendere l’idea facendo l’esempio di Partesa (Heineken). Cosa succederebbe?
Non fate quella faccia: vi stiamo raccontando le nostre turbe e non si ride delle angosce altrui. Il fatto è prima di addormentarci abbiamo visto la locandina di un evento organizzato dal birrificio di Campodarsego (Padova), “Guerrilla Crak the rules – L’evento per infrangere le regole” e, complici insistenti e tendenziose voci di corridoio, non siamo riusciti a togliercela dalla testa.
Le regole si infrangono facendo qualcosa di poco consueto, e poiché la vendita dei birrifici artigianali alle multinazionali della birra è diventata, purtroppo, canonica, la nostra mente ha azzardato un’ipotesi (assurda!), un’opzione capace di sfidare la norma. Letteralmente.
La norma è che se un birrificio craft viene acquisito da una multinazionale perde il diritto alla denominazione “artigianale”. Così è successo per Birra del Borgo nel 2016, che ha fatto da apripista alle acquisizioni facendosi capro espiatorio di quelli che sono arrivati dopo: Ducato, Hibu, Nabiretta (who the fuck is Rita Pavone?). Pochi birrifici in realtà, molto pochi rispetto alle tremende previsioni che si fecero quattro anni fa per il mercato italiano, e soprattutto, con tutto il rispetto per i “venduti”, nulla di così scioccante.
Insomma, mica stiamo parlando di Beavertown (UK), che nel frattempo ha venduto ad Heineken per 53 MILIONI DI DOLLARI.
Proprio Beavertown però, a pensarci, risulta tanto simile a Crak: grande, rinomato, accattivante abbastanza da riuscire interessante agli occhi dei colossi. Crak, come Beavertown, con un design dalla riconoscibilità disarmante e birre luppolate dalle mille sfumature di amaro, è riuscito a raggiungere un pubblico trasversale su scala globale, facendo breccia, persino, nei cuori della stampa generalista normalmente poco sensibile all’artigianale.
Infrangere le regole
Veniamo al punto. Un modo brillante per infrangere le regole potrebbe essere, anziché vendere, cedere ad altri il diritto di vendere. Nessun gioco di parole: se un birrificio artigianale cede la propria distribuzione, questo è quello che succede, con tutti i vantaggi del caso, se la società a cui si affidano oneri ed onori di vendita è un colosso dell’Horeca. Volete un esempio? Uno a caso, giusto per farvi capire: Partesa, che è di Heineken.
Ora, la situazione attuale della rete vendite italiana di Cr/ak è la seguente: il birrificio raggiunge pub e beer shop specializzati in birra artigianale d’alta qualità quasi esclusivamente tramite distributori e non gode se non di pochissimi rapporti commerciali diretti. Distributori specializzati, si intende, in birra artigianale.
Ciò significa che il portafoglio clienti finali non è in mano direttamente al produttore, ma dipende in larga parte dalle possibilità e dalle intenzioni dei distributori di piazzare un prodotto presso i locali che vi si riforniscono.
Stravolgere le regole
La cessione della distribuzione a una società controllata al 100% dalla Big Beer sarebbe quindi uno stravolgimento netto, per una realtà ultra-premium il cui attuale assetto commerciale si basa su un network vendite impostato in questo modo.
Concedere a Partesa la distribuzione nazionale significherebbe infatti, con ogni probabilità, allontanare i distributori artigianali che sono finora stati alfieri di Guerrilla&Co.; e di conseguenza fare tabula rasa dell’attuale esercito di pub specializzati che finirebbero per abbandonare il prodotto in vece di altri, analoghi, disponibili presso i grossisti di fiducia.
Ciò comporterebbe anche, per il birrificio, la possibilità/necessità di rifondare da zero l’impostazione del sistema di vendite potendo godere di una clientela finale, acquisita direttamente da Heineken, decisamente più ampia e generalista; fatta di ristoranti e negozi non specificamente consacrati al mondo della birra artigianale.
Questo significherebbe poter trovare le lattine dei celebri veneti dietro ogni angolo, nelle pizzerie medie, dentro ai bar delle stazioni di servizio, nei supermercati?
Sì con riserva, nel senso che le potenzialità della rete commerciale Heineken consentirebbero di certo questo genere di capillarizzazione distributiva, ma che allo stato attuale la tipologia di prodotto e l’esborso economico richiesto all’acquirente non incontrano esattamente le esigenze di esercizi commerciali non altamente specializzati.
In altre parole, una configurazione commerciale di questo genere significherebbe per Crak rinunciare alla “credibilità” della “piazza che conta” per realizzare, se mai riuscisse ad uscire a prezzi più bassi e con prodotti vicini all’interesse del grande pubblico, un incremento in volumi venduti.
Se ne ha che se per Partesa, da una parte, l’acquisizione del marchio si rivelerebbe un grimaldello potentissimo per penetrare (e scardinare) il mercato birrario non specializzato, saturando una fascia di locali premium con un prodotto che può avvalersi, finora, di tutti i crismi dell’artigianale più ricercato; per Crak apparentemente la scelta di appaltare le vendite a una controllata Heineken rappresenta quindi più un rischio, una scommessa, che un immediato vantaggio.
E rimanere comunque un birrificio artigianale
Stando alla norma vigente in materia, semmai si realizzasse la nostra azzardata ipotesi, Cr/Ak rimarrebbe, cedendo solo la distribuzione, un birrificio artigianale italiano, prendendo due succulenti piccioni con una fava. “Infrangere le regole” suona beffardo ora, alla luce di quello che potrebbe sembrare più il riempimento furbesco di un vuoto normativo.
Perché un birrificio artigianale dovrebbe cedere la propria distribuzione all’industria?
Perché quindi, ammettendo che il nostro incubo sia in realtà un sogno premonitore, il birrificio dovrebbe seguire questa strada? In cambio di quale controparte?
Ipotesi 1: il suicidio
Il noto birrificio del Padovano ha deciso (“così, de botto, senza motivo” cit.) di chiudere i battenti e uscire di scena con un fuoco d’artificio, ettolitri di birra invenduta in magazzino e un sonorissimo e quanto mai evocativo crak. Ricchi premi e cotillon, riposi in pace, amen.
Controparte: nessuna (se non il coup de théâtre)
Ipotesi 2: la burla
Cr/ak ha messo in giro le voci sulla propria cessione per aumentare il buzz intorno a sé, prima di annunciare, una volta esploso il caso, che era tutto uno scherzone architettato per lanciare con massima risonanza un nuovo locale, un colossale crowdfunding, un’ulteriore espansione indipendente. Applausi.
Controparte: hype a palla e street credibility alle stelle, premio della critica per la metaironia
Ipotesi 3: il cambio di registro
La cessione della distribuzione è effettivamente una mossa fine a se stessa, che servirà a spostare il bacino dei consumatori da quelli di specialty craft a una fascia più generale di grande distribuzione. Il birrificio produrrà quantità maggiori di birre meno caratterizzanti e uscirà a prezzi più bassi, generando volumi molto maggiori agli attuali riassorbiti dal nuovo, grande pubblico del portfolio clienti Partesa. L’ingerenza di Heineken non entra in nessun modo nella gestione della produzione ma si limita effettivamente alla distribuzione. Peccato che l’industria sia generalmente davvero brava a non limitarsi, e “ingerenza” sia necessariamente, per questioni di ottimizzazione dei profitti, il suo secondo e terribile nome.
Controparte: volumi maggiori, mantenimento relativo dell’indipendenza produttiva, arcobaleni, pace nel mondo, invasione di tenerissimi baby unicorni.
Ipotesi 4: la cessione
La concessione della distribuzione a Partesa è solo un’anticamera verso una cessione di quote aziendali, e quindi l’ingresso di Heineken in società secondo scaglioni progressivi. In questo caso il payback del birrificio consisterebbe in un sonoro anticipo in cash, e successivamente in un out monetario decisamente sostanzioso che sposterà sempre più, di aumento in aumento, la proprietà nelle mani della multinazionale; fino alla totalità.
Controparte: cash out nell’ordine di decine di milioni di euro, perdita dell’artigianalità (e della faccia). Ma a scaglioni. Va da sé che, qualora fosse questo lo scenario che si prefigura, Crak non manterrebbe lo status di birrificio artigianale; aggiungendosi all’elenco dei birrifici italiani acquisiti da società per azioni multinazionali. Però siamo sicuri che questo scenario non si verificherà: dopotutto, il nostro è solo un brutto sogno.