Se decidete di bervi una Red Bull in Thailandia, sappiate che il vostro potrebbe anche essere visto come un gesto sovversivo e antidemocratico. Quantomeno dai tanti giovani che nelle ultime settimane protestano a favore della democrazia, delle libertà e delle uguaglianze, e che tendenzialmente non amano il più celebre degli energy drink mondiali. Anzi, additano proprio quelle lattine come parte del problema. Ma com’è che una bevanda è diventata il simbolo delle diseguaglianze sociali ed economiche del Paese?
La risposta ha un nome e cognome (e pure un soprannome): Vorayuth “Boss” Yoovidhya. Lui è il giovane rampollo della famiglia thailandese che inventò la Red Bull, e il suo nome – da anni noto alla polizia – è tornato sulla bocca di tutti proprio in queste settimane, riportando alla ribalta un vecchio scandalo mai risolto.
L’invenzione della Red Bull
Vorayuth, 38 anni (non l’età non è del tutto certa, visto che è uno dei punti su cui avrebbe più volte mentito), è il nipote di Chaleo Yoovidhya, l’inventore della Red Bull. Chaleo Yoovidhya era figlio di una famiglia di poveri emigranti cinesi che allevava anatre per vivere. Ambizioso e brillante, Chaleo però vuole dare una svolta alla sua vita. Durante il lavoro in un’azienda farmaceutica, ha l’intuizione di creare una bevanda energetica per la classe operaia: fino ad allora, infatti, il mercato degli energy drink si rivolgeva a un pubblico d’élite. Eppure erano proprio i lavoratori ad aver bisogno di una marcia in più, si disse Chaleo, e inventò Krating Daeng, quella che poi divenne Red Bull. Un colosso da 7 miliardi di lattine l’anno, con 6,6 miliardi di dollari d’entrate. Un successo tale che, al momento della sua morte nel 2012, Chaleo Yoovidhya era il secondo uomo più ricco della Thailandia.
L’incidente e lo scandalo
Una bella storia di riscatto imprenditoriale, tutto sommato, rovinata proprio quell’anno da suo nipote, Vorayuth “Boss” Yoovidhya. Era il 3 settembre 2012, e una Ferrari nera che sfrecciava nel centro di Bangkok a 177 chilometri all’ora ha tragicamente investito una motocicletta della polizia, facendo cadere a terra l’agente che la guidava e trascinando il suo corpo lungo la strada buia prima di allontanarsi.
A bordo di quell’auto sportiva, neanche a dirlo, c’era proprio il nipote dell’inventore della Red Bull. Gli inquirenti, seguendo una scia di benzina lasciata dalla Ferrari dopo l’incidente, arrivano al cancello della lussuosissima casa di una delle famiglie più ricche della Thailandia. Immediatamente si capisce che il colpevole è Vorayuth (anche se un altro uomo sul momento sostiene di essere stato alla guida della Ferrari al momento dell’impatto), che viene portato in commissariato per essere interrogato, ma viene rilasciato su cauzione, nonostante abbia confessato.
Da lì in poi, per tutti gli anni successivi, l’erede della fortuna della Red Bull da 20 miliardi di dollari ha ripetutamente rinviato o disertato le convocazioni dei pubblici ministeri, adducendo malattie o viaggi d’affari all’estero come giustificazioni. Il caso giudiziario è bloccato, e la famiglia del poliziotto ucciso nell’incidente attende ancora giustizia.
Gli ultimi sviluppi e le proteste
Poi, nel 2017, quasi cinque anni dopo l’incidente, la polizia emette un mandato d’arresto, ma si scopre che il giovane ha ormai lasciato il Paese.
La vicenda ha fatto scandalo in Thailandia, fomentando le proteste della popolazione che da tempo ritiene che il sistema legale del paese favorisca ingiustamente i ricchi, e c’è chi ha chiesto a gran voce il boicottaggio della Red Bull, metafora di disparità sociale, simbolo del riccastro che può permettersi di uccidere un poliziotto e farla franca.
La polemica si è rinvigorita a luglio di quest’anno, quando la Royal Thai Police ha confermato che l’Ufficio del Procuratore generale aveva deciso di far cadere tutte le accuse contro Vorayuth.
Così, sulla scia delle proteste pubbliche che questa notizia ha causato, in questi giorni è stato emesso un nuovo mandato di arresto nei confronti di Vorayuth, e il caso è stato riaperto grazie anche all’emersione di nuove prove, che suggeriscono che il giovane stava accelerando al momento dell’incidente e che gli esami del sangue abbiano rilevato tracce di cocaina. Vorayuth è ancora latitante, e il suo avvocato sostiene di non sapere dove si trovi. Di certo non in carcere, e i Thailandesi non sembrano disposti a perdonarglielo.
[Fonte: CNN]