Nell’ultimo mese, fulcro temporale del Coronavirus, la birra ha segnato il +18,5%. Nei supermercati. Nel frattempo, la birra artigianale ha registrato una contrazione del fatturato tale da far temere per il comparto stesso. Inutile girarci intorno: la pandemia potrebbe uccidere la birra indipendente così come la conosciamo: variopinta, fatta di tanti piccoli produttori, banconi liberi dalle solite quattro insegne, scelte votate al gusto e non all’economia di scala.
Pressoché assente dalla grande distribuzione organizzata (l’unica che macina code in questa grande guerra alla sopravvivenza), distribuita perlopiù attraverso i pub chiusi anzi-tempo, agli albori di quella che poi è stata definita una pandemia. Tra le sfortune considerate anche una filiera estremamente interconnessa, oggi interamente a rischio: i birrifici possono produrre, ma per chi? Per gli e-ecommerce, per chi si è organizzato con piattaforme apposite di delivery, assai pochi per sopperire a un problema di approccio al consumo notevole: la birra artigianale non la si conosce, chi sa cosa sia non sa dove trovarla.
Alla faccia del “mangio e bevo italiano”, durante la crisi più grande che l’Italia abbia conosciuto dal Dopoguerra stiamo bevendo più birra del solito, di industrie straniere.
Per chiarire questi concetti e capire bene come stanno andando le cose, nonché quali siano le speranze per la birra artigianale dopo il Coronavirus, ho intervistato Vittorio Ferraris, Presidente di Unionbirrai, l’associazione di categoria.
– È già possibile tirare le prime somme, farci un’idea di quanto stiano perdendo i birrifici a causa della pandemia?
I nostri 390 birrifici associati hanno registrato una contrazione del fatturato del 90% a marzo del 2020, rispetto al 2019. È una media, chiaramente. Alcuni produttori si sono fatti trovare pronti con l’ e-commerce, altri ci hanno lavorato in corsa, moltissimi continuano a lavorare grazie al delivery. C’è però chi è oggettivamente penalizzato dalla zona geografica più periferica o provinciale. Parliamo di una filiera estremamente collegata: per quanto i birrifici possano continuare a produrre, i loro principali canali sono i locali specializzati (chiusi) e i distributori che lavorano quasi esclusivamente quel prodotto per i pub stessi. Se si spezza un anello della catena, tutto il settore è seriamente a rischio.
– Nei supermercati la birra artigianale è poca e spesso poco invitante, messa in ombra dalla competizione (sleale) della crafty. Oggi entrare nella GDO potrebbe essere una soluzione?
Sì. Dovremmo riuscire a sfruttare questo dramma per raggiungere i consumatori che non ci trovano. Spesso si sostiene che il range di prezzo tra la birra artigianale e quella industriale rappresenti il grande muro tra noi e i consumatori. Ma il problema non è il prezzo: è che la maggior parte delle persone che non consumano birra artigianale non sanno di cosa si tratti e quando la conoscono non sanno dove trovarla. Ci sono studi che lo dimostrano.
I numeri parlano chiaro: in tempi difficili come questo si beve di più e dagli incrementi (micidiali) di consumo di alcolici noi, pressoché esclusi dalla GDO, non abbiamo accesso. Anzi.
– Siete stati snob, voi della birra artigianale. La grande distribuzione è sempre stata vista come un nemico e oggi continuano a lavorare i pochi che nei supermercati c’erano già: riassumo un recente articolo di Cronache di Birra. Cosa ne pensi?
“Snobbismo” è un termine azzeccato per il nostro mondo. Dobbiamo smettere di continuare a rimanere chiusi nel nostro guscio e giungere a compromessi.
Alcuni di noi operano, in maniera isolata, nella grande distribuzione organizzata. Parliamo comunque di piccoli numeri e di produttori che si scontrano con tre problematiche principali: la qualità della conservazione del prodotto, il prezzo richiesto dai supermercati, la necessità della reperibilità costante di un prodotto artigianale, soggetto a fattori diversi rispetto all’industriale. Tre fattori sui quali lavorare con grandi difficoltà e che ci danno la maggiore preoccupazione.
Ma non ti nascondo che è in corso un approccio bilaterale tra noi e la GDO: i player in gioco sono diversi e anche solo poter distribuire attraverso i supermercati locali rappresenterebbe per noi un grosso passo avanti.
Non possiamo continuare a rivolgerci all’autoreferenziale mercato del 3% dei consumatori di birra, quelli che ci conoscono e ci comprano, sapendo dove trovarci. Sull’ingresso a scaffale siamo fiduciosi e lavoriamo ogni giorno, ma una mediazione richiede il tempo che uno stato di emergenza non concede.
– Nel frattempo, sugli scaffali del supermercato c’è parecchia birra percepita, erroneamente, come italiana. I messaggi provenienti dal mondo politico e non, che invitano ad acquistare prodotti italiani, nel mondo della birra servono a poco.
Parliamo di aziende che non pagano nemmeno le tasse in Italia, multinazionali che vengono identificate come italiane. Qui non è solo in gioco la birra artigianale, ma la birra italiana in sé. Su questo fronte auspico un supporto da parte di Assobirra (associazione di categoria legata a Confindustria, ndr.), che ha tutto l’interesse a salvare il comparto italiano e ad aiutarci a fare chiarezza su questo fronte.
– Non temete la concorrenza sleale nei confronti dei pub indipendenti? L’impatto sulla filiera distributiva potrebbe essere poderoso. Voglio dire: la GDO chiederà birre a prezzi molto bassi, rispetto a quelli a cui i piccoli birrifici vendono gli stessi prodotti ai pub che trattano birra artigianale.
Abbiamo istituito un tavolo a livello di associazione con vere e proprie consultazioni anche con publican, persone che hanno svolto un lavoro enorme per la cultura birraria, creando format di fatto incompatibili con le future regole di riapertura (stando a quanto ci è dato sapere ora. Insomma, siamo molto vicini ai pub. E siamo consapevoli che, entrando nella grande distribuzione organizzata, i birrifici artigianali dovrebbero essere disposti a vendere a prezzi inferiori. Non dimentichiamo, però, che i luoghi di vendita e di consumo presentano prezzi diversi per antonomasia, che si tratti di craft o industriale.
Mi risulta che in un qualunque pub una media costi 5 euro, anche se non è artigianale, per non parlare delle pizzerie e dei ristoranti. Insomma, i consumatori sono disposti a spendere molto per una birra qualsiasi servita in un locale, meno per l’acquisto da consumarsi in casa.
– Ho letto che Ab InBev, prima multinazionale al mondo nella birra, ha intrapreso un’iniziativa, proprio per salvare i pub. “Paghi oggi, bevi domani”, un grande classico di questi giorni. Dicci la tua.
Questo è un modello demenziale e arguto, da parte loro. L’industria ha colto l’ opportunità di accaparrarsi fette di mercato attraverso locali in difficoltà, con un piccolo finanziamento preventivo che si appoggia sul consumatore e che rappresenta, da parte della multinazionale, una ridicola elemosina a fonte di una fidelizzazione ben elucubrata.
Dopotutto anticipare denaro ai locali, finanziandoli in partenza per poi tenerli stretti a sé, è una strategia tipica delle multinazionali. In questo caso ritengo si tratti di una speculazione di basso profilo, ancor più che si utilizza il termine “salvare”, con cifre in gioco risibili.
Sia chiaro, non condivido nemmeno le iniziative dei birrifici artigianali che in questo periodo si sono serviti del concetto di beneficenza per vendere birra.
– E come li aiutereste, voi di Unionbirrai, i pub?
Vedi, a differenza di chi possiede un birrificio, chi gestisce un locale non ha niente, nemmeno il prodotto. I birrifici hanno la birra ed è a loro che spetta un piccolo sforzo: dare il prodotto ai pub, quando riapriranno, senza alcun impegno per acquisti futuri. Per rimettersi in piedi. I pub indipendenti sono decisamente quelli più in difficoltà.
– Cosa mi dici del vostro rapporto con le istituzioni in questo difficile momento? Avete delle specifiche richieste?
Abbiamo intrapreso azioni costanti e coordinate con il mondo delle istituzioni, ma ora come ora non possiamo aspettarci una soluzione specifica per il nostro settore, né tantomeno possiamo auspicare che arrivino aiuti a cascata dallo Stato.
Il discorso è più ampio e riguarda la ripresa agroalimentare, il valore di un’eccellenza italiana. Un aiuto concreto che ho richiesto al Ministero delle Politiche Agricole, per esempio, è quello destinato alla comunicazione: la birra artigianale deve essere sempre più visibile e per questo necessitiamo del supporto, magari di un finanziamento, da parte del Governo.
Pensiamo a tutte le fiere patrocinate dagli enti locali, nonché dalle Regioni o addirittura dall’UE, da quelle più folkoristiche alle manifestazioni gastronomiche di spicco, nazionali e internazionali. Scorrono fiumi di birra, soldi che vanno puntualmente a finire in accordi di multinazionali estere.
Perché quelle fiere, che in maniera trasversale di pongono l’obiettivo di valorizzare le tradizioni e le eccellenze di un territorio, vedono esclusive di prodotti industriali non italiani?
Sono convinto che, con una maggiore attenzione da parte delle Politiche Agricole sulle attività di finanziamento e promozione del prodotto, potremmo quintuplicare la nostra produzione e farci conoscere al grande pubblico, senza grosse spese da parte dello Stato.