I vini dei VIP sono buoni o no? Dissapore ha deciso di venire incontro alla gente, che come è noto deve sapere, procacciando ed assaggiando i vini delle stars. E partiamo con uno dei personaggi più amati della tv, dai ventenni ai novantenni. L’unico Babbo Natale che esiste davvero, il sorriso più rassicurante del Biscione: Gerry Scotti.
Prima, una doverosa premessa. Che i personaggi famosi prima o poi finiscano col fare vino non è affatto un trend contemporaneo. Non so bene perché, ma a un certo punto della loro carriera queste persone (attori, cantanti, calciatori, ecc.) sentono fortissimo il richiamo della natura e si tuffano in un’avventura enologica. Per alcuni rappresenta un ritorno alle tradizioni d’infanzia, per altri è il coronamento di una passione, tutti comunque appaiono sorridenti e orgogliosi nel diffondere la notizia di una loro discesa in vigna.
Bello tutto, ma la domanda che ci facciamo noi è: c’è qualcuno che questi vini li beve? Gli enofili sono persone particolari e hanno già i loro nomi cult (Biondi Santi, Rinaldi, Quintarelli, etc.). Una celebrità che si metta a fare vino viene da costoro financo dileggiato, ritenendo l’avventura solo una trovata di marketing. D’altro canto sulla gente normale, che campa benissimo ignorando i nomi dei cinque Premiers Grands Crus di Bordeaux, il VIP che scende in cantina esercita indubbiamente del fascino; ma poi, la gente, lo compra davvero quel vino? Se il nome del VIP non compare in etichetta, la famigerata gente riesce a riconoscere il suo vino fra le altre bottiglie? Lo sceglie oppure, sotto sotto, non si fida di bere qualcosa fatto da chi per mestiere sta davanti a una telecamera?
Con queste domande irrisolte, inizieremo le nostre valutazioni da zio Gerry, evitando le noiose note di degustazione che gli autori Canale 5, siamo certi, ci boccerebbro. Che poi, neanche la buonanima di David Foster Wallace sarebbe riuscito a rendere appetibile il giudizio organolettico di un vino. O meglio, magari ci sarebbe anche riuscito splendidamente, lui, ma al prezzo di tante pagine.
Le note di degustazione sono pallose da leggere per chi adora il vino; figuratevi farle digerire a persone normali, che non si dannano l’anima se del Chianti Classico che stanno bevendo non conoscono la composizione del suolo della vigna o la valutazione dell’annata. Metteteci anche che io non sono DFW e l’operazione appare fallimentare. Eppure, vi esorto a proseguire con fiducia, che qui non perdiamo tempo a scrivere per annoiarvi.
Perché zio Gerry fa vino
Gerry Scotti, Virginio per l’anagrafe, lo conosciamo davvero tutti: nasce speaker radiofonico nel 1982 su Radio DeeJay. L’esperienza in radio lo fa approdare sul piccolo schermo con la conduzione di DeeJay Television. Le telecamere piacciono tanto al nostro, tanto da passare a Fininvest e cominciare la sua feconda carriera da presentatore. Possiamo considerare come degli spin off le sue registrazioni musicali, così come la carriera politica che lo ha visto eletto tra le file del PSI nella X Legislatura, dal 1987 al 1992. Attualmente lo zio Gerry è impegnato nella conduzione della Ruota della Fortuna e di Io Canto Senior, nonché, fenomeno non trascurabile, protagonista dei social media con meme a lui ispirati e diversi profili in cui, tramite l’intelligenza artificiale, lo si può vedere cantare nei panni di Rosé e Bruno Mars, di Sal Da Vinci, degli Earth Wind and Fire oppure partecipare a dei falò di confronto. Tutto molto bello.
Recuperando pertinenza, a 61 anni allo zio Gerry viene l’uzzolo di mettersi a produrre del vino, sulla scia dei ricordi d’infanzia legati alla vigna dei nonni a Miradolo Terme (PV). Perciò nel 2017 si accorda con Cantine Giorgi, azienda da 60 ettari vitati e 1 milione di bottiglie all’anno in quel di Canneto Pavese, zona dell’Oltrepò. Nasce così una linea aziendale a lui dedicata: 3 anni, un ettaro di vigna, 50000 bottiglie e tre etichette con il suo bel faccione sopra. La produzione ha successo e oggi la sua linea (senza più il volto di Gerry Scotti in etichetta) consta di sei vini prodotti con le uve caratteristiche dell’areale (sì, ormai anche il riesling ha preso casa nell’Oltrepò). Noi abbiamo pescato tra queste bottiglie scegliendone due: l’Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG Extra Brut “Gerry Scotti” e il Buttafuoco DOC “’56”. E li abbiamo anche assaggiati.
Oltrepò Pavese Metodo Classico DOCG Extra Brut “Gerry Scotti”: Prova d’assaggio
Se si parla di Oltrepò ci si aspetta effervescenza. In quel magnifico triangolo geografico compreso tra Pavia, Mantova e Bologna credo si spumantizzi anche il caffellatte. L’effervescenza è cosa sacra per chi ha il suino come colonna portante della propria gastronomia, e in Oltrepò Pavese sempre più spesso si trovano spumanti di eccezionale fattura e dai prezzi ancora abbordabili. Ecco, non inserirei il Gerry Scotti in questo insieme, se non quantomeno per il prezzo.
L’uvaggio dello spumante Gerry Scotti è composto da pinot nero e chardonnay, con un affinamento minimo di 30 mesi sui lieviti. L’esemplare da noi acquistato riporta in etichetta il periodo della sboccatura, agosto 2023, e si mostra di un giallo dorato, fin troppo carico per la tipologia. Accostato al naso non lesina sui profumi, con pera e zest di limone a prevalere sugli altri, su un ricordo di pan carré. Esatto: non pan bauletto, non panino all’olio: pan carré. Però c’è qualcosa di spiazzante, una nota di caramella mou che non dovrebbe esserci in un metodo classico giovane.
L’esame gustativo conferma le perplessità: l’aroma è principalmente fruttato ma di durata contenuta e con leggera scodata amarognola sul finale. Anche la bollicina corre un tantino aggressiva sul palato. Insomma, se la bevuta non è totalmente spiacevole, non si può neanche dire sia eccezionale. Unica giustificazione di cui potrebbe godere questa bottiglia sono le condizioni di conservazione nel magazzino dell’enoteca on line da cui l’abbiamo acquistata. È molto probabile che abbia sostato in enoteca più di 6 mesi magari in condizioni di temperatura non ottimali, favorendo così un principio di ossidazione del vino su cui potrebbe aver influito anche la bottiglia incolore. Ad ogni modo è la bottiglia a parlare.
Prezzo attorno ai 15 euro.
Buttafuoco DOC “’56” 2018: Prova d’assaggio
Il secondo vino assaggiato della linea di Gerry Scotti è il Buttafuoco DOC, ribattezzato 1956 come il suo anno di nascita e come il numero di bottiglie prodotte. Classico uvaggio da Buttafuoco, quando una volta nel tino finivano tutte le uve del vigneto: croatina, barbera, uva rara e ughetta. Dopo la vendemmia il vino passa 3 anni in botte grande e altri 6 mesi di affinamento in bottiglia prima di lasciare la cantina.
Di un bel rubino pieno e scuro, il Buttafuoco di Gerry Scotti ha profumo vivace, connotato soprattutto da frutti di bosco e spezie dolci (siamo umani e non ci mettiamo a fare l’elenco dei descrittori aromatici riscontrati, ma ce ne sono parecchi). Anche in bocca il vino si fa bere con piacere, con un tannino pressoché assente, un discreto allungo e un finale di bocca che richiama sentori tostati; va detto che il vino pecca un po’ in termini di ‘ampiezza’: non si ha la sensazione che l’aroma riempia tutta la bocca, come se in alcune parti non si percepisse. In generale però si tratta di un vino valido, che a tavola si fa bere volentieri, nonostante il sollevare la bottiglia costituisca attività fisica: ma perché fare una bottiglia che pesi 700 grammi, a fronte dei classici 350/400?
Prezzo tra i 20 e i 25 euro.