Su Dissapore parliamo spesso di birra artigianale, di bevute, di stili ed eventi… Dando forse per scontata una domanda che non lo è per nulla, ossia questa: “come si fa la birra artigianale“? Ed in cosa differisce la sua produzione da quella industriale? Era l’ora di scrivere questo articolo, insomma, e lo abbiamo fatto insieme al Birrificio Della Granda e al suo birraio, Ivano Astesana.
Gli ingredienti della birra artigianale
Gli ingredienti di base della birra, che sia artigianale o industriale, sono fondamentalmente gli stessi: acqua, malto d’orzo, luppolo, lievito.
L’acqua è il principale ingrediente della birra.
Il malto d’orzo è l’ossatura della bevanda: il cereale viene fatto germinare e tostato. La germinazione sviluppa all’interno dei chicchi la produzione di un enzima, l’amilasi: questa permetterà di “rompere” le catene di amidi complessi presenti nel chicco di cereale, trasformandole in zuccheri semplici e pronti per la fermentazione; che potranno poi essere “digeriti” dal lievito. La tostatura ferma la germinazione e conferisce al malto colori e profumi specifici.
Il luppolo viene utilizzato come amaricante e per conferire aroma alla birra.
Il lievito, infine, per quanto presente in quantità infinitesimali rispetto agli altri ingredienti può essere considerato l’anima della bevanda; ciò che trasforma gli zuccheri contenuti nel malto in alcol e anidride carbonica, e rende quella che è a tutti gli effetti una “zuppa di cereali” in birra.
Se gli ingredienti sono “gli stessi”, perché quindi la resa sensoriale di una birra artigianale e quella di una birra industriale sono tanto diverse? Perché, come si dice, “il diavolo è nei dettagli”: l’acqua di una birra artigianale viene aggiustata in acidità e durezza (quantità dei sali disciolti) in base allo stile di birra che si intende creare, i malti usati sono di alta qualità e di tipologie diverse in base agli aromi e al colore che si desiderano, i luppoli appartengono a centinaia di varietà differenti, ciascuna con propri profumi (dall’erba falciata al cocco, dall’ananas al pompelmo, dalla resina di pino al mango) e vengono usati in dosi generalmente più massicce rispetto alle controparti industriali, il lievito infine può appartenere a diversi ceppi ed essere fatto lavorare a diverse temperature per ottenere risultati precisi (sentori fruttati o basi neutre su cui lasciare esprimere la luppolatura, gradazioni alcoliche più alte o leggerissime, particolari profumi conferiti da alcune varietà di lieviti e batteri selvatici).
Il processo produttivo della birra artigianale
Macinatura
La produzione della birra artigianale parte quindi da un’accurata selezione degli ingredienti.
Una volta scelti i malti che desideriamo, in base al livello di tostatura, questi vengono moliti: è il processo di macinatura, che spezza grossolanamente i chicchi maltati d’orzo (o talvolta altri cereali).
Ammostamento
Dopo la macinatura, è la volta dell’ammostamento: all’interno di un apposito tino, i malti macinati vengono miscelati con acqua calda. L’acqua calda attiva l’amilasi, che rompe le catene di zuccheri complessi trasformandole in zuccheri semplici; che si disperdono nel liquido: questa è la fase detta di saccarificazione.
Filtrazione
Finito l’ammostamento/saccarificazione, la miscela viene grossolanamente filtrata attraverso il “tino filtro”: si tratta di una vasca, analoga alla precedente, che presenta però un fondo forato. I fori lasciano passare il liquido e le farine di malto trattenendo invece le trebbie, ossia i chicchi di malto ormai esausti.
La parte liquida viene ricircolata con una pompa, nuovamente, sopra le trebbie; che nel frattempo si compattano, agendo da filtro naturale: si continua a ricircolare il mosto attraverso le trebbie finché questo non appare limpido.
Le trebbie vengono sciacquate con acqua calda per recuperare gli ultimi zuccheri e sostanze aromatiche che vi sono ancora “intrappolate” (“sparging“).
Bollitura
Una volta compiuto lo sparging, le trebbie hanno esaurito del tutto la loro funzione, e vengono tenute da parte come mangime zootecnico per gli allevatori della zona – il mosto, invece, è pronto e viene trasferito in un ulteriore tino: il tino di bollitura.
Qui il mosto viene appunto bollito per 60-90 minuti, in modo da fornire un substrato sterile, privo di microrganismi indesiderati, per la successiva attività del lievito. Durante la bollitura vengono aggiunti i luppoli, inserendo prima le varietà da amaro e verso la fine del processo quelle da aroma.
Finita la bollitura, il mosto viene raffreddato e trasferito in “silos” in acciaio inox: i fermentatori. Qui verrà aggiunto il lievito, che farà partire la fermentazione.
Fermentazione
Durante questa fase, come scrivevamo prima, il lievito “mangerà” gli zuccheri presenti nel mosto, trasformandoli in alcol e anidride carbonica.
Verso la fine della fermentazione, sarà possibile aggiungere alla birra altri luppoli (tecnica cosiddetta del “dry hopping”, o luppolatura a freddo) che daranno un apporto aromatico molto netto e intenso.
Maturazione
A fine fermentazione, la birra è pronta: andrà però ancora rifinita, con la fase della maturazione.
In questa fase, la birra è portata a temperature molto basse; che agevolano l’illimpidimento (facendo precipitare verso il fondo dei fermentatori le particelle di luppolo e lievito rimaste in sospensione) e favoriscono l’arrotondamento e il bilanciamento dei profumi del prodotto finito.
Le differenze tra il procedimento artigianale e quello industriale
I procedimenti di base per ottenere birra, sia che si tratti di birra artigianale che di birra industriale, sono pressoché gli stessi: macinatura, ammostamento, filtrazione, bollitura, fermentazione, maturazione.
Ancora una volta, dunque, la domanda che ci siamo posti già per gli ingredienti: perché i prodotti finali sono tanto diversi?
La differenza chiave la troviamo analizzando le esigenze principali dei due prodotti: per la birra industriale, la caratteristica più desiderabile è che questa duri a lungo, inalterata nel tempo, capace di sopravvivere sugli scaffali anche se non viene immediatamente venduta. Per quanto riguarda il prodotto artigianale, ciò che i birrai e i bevitori desiderano è che sia semplicemente buono..
Per questo motivo, i prodotti finiti industriali vengono pastorizzati (ossia soggetti ad altissime temperature) e microfiltrati (ossia depurati meccanicamente tramite filtri a maglie larghe pochi millesimi di millimetro): se ne ha che qualsiasi batterio o sostanza che possa potenzialmente influire sulla stabilità della birra venga espulso dal prodotto, ma che con questi vengano anche eliminati e denaturati i lieviti che contribuiscono all’evoluzione della birra, alcuni tannini responsabili dell’amaro, molecole aromatiche di grandi dimensioni… In altre parole, la birra industriale è un prodotto sì stabile, ma impoverito e “morto”.
La birra artigianale, al contrario, è un prodotto integro; ove l’assenza di pastorizzazione e microfiltrazione – proibita per legge, se ci si vuole avvalere della dicitura “birra artigianale” – abbassa notevolmente la shelf life; ma contribuisce a una ricchezza e a una varietà gustativa e aromatica inimmaginabili per qualsiasi prodotto dell’industria.
Poi c’è il fattore tempo. Non servendosi di enzimi, la produzione di una birra artigianale richiede almeno due settimane, per la più veloce che si possa produrre, fino a un mese o più, senza contare le settimane dedicate alla rifermentazione in bottiglia.