Bere e degustare non sono verbi sinonimi. Se la prima azione è volta a soddisfare un bisogno, che sia la sete o la voglia di far festa, la seconda chiama a lavorare un organo che di solito quando siamo a tavola resta a cuccia: il cervello. Si degusta vino ponendo attenzione a cosa si sta bevendo, alle sue caratteristiche visive, olfattive e gustative, lo si paragona agli altri ‘campioni’ degustati in precedenza, aggiornando man mano il database cerebrale. Ok, messa così pare si debba far fatica anche davanti a un calice di vino. Vi rassicuro, poiché per una degustazione più che soddisfacente i passaggi da seguire sono pochissimi. Il problema casomai sarà non farsi prendere la mano dopo, arrivando a degustare anche le fette biscottate o a roteare il bicchiere in cui avete sganciato due pastiglie di Vivin C.
Cos’è la degustazione del vino?
La degustazione del vino nasce storicamente con l’unico obiettivo di determinare se la bevanda fosse bevibile o difettata. Col passare del tempo, da mero indice di potabilità la degustazione assunse anche lo scopo di stimare la sua qualità, la sua piacevolezza. Uno dei primi sommelier italiani fu Sante Lancerio, bottigliere di papa Paolo III Farnese, che cinque secoli fa assaggiò i vini tipici di ogni zona visitata, annotando pregi e difetti dei vini in degli appunti che risulterebbero pienamente efficaci ancora oggi, tutto a gloria del palato di Sua Santità.
Oggi, che la maggior parte dei vini in commercio è esente da difetti, lo scopo della degustazione è diventato valutarne la qualità organolettica e, per quanto possibile, cercare una corrispondenza tra le caratteristiche del vino e il territorio da cui proviene. Perché sì, c’è una sensibile differenza tra un Barolo Cannubi e un Barolo Rocche dell’Annunziata, due dei cru* del Barolo: la stessa uva, il nebbiolo, coltivata su terreni che distano tra di loro sì e no 1 km darà vita a due vini simili (sono pur sempre due Barolo) ma con delle differenze peculiari. Saper degustare permette anche di apprezzare queste minime differenze; e più si degusta, più queste differenze risalteranno ai nostri sensi. Ma bando ad ulteriori ciance e vediamo di capire da dove si comincia a degustare un vino.
*Cos’è un cru: pillola per degustare a ragion veduta
Già che ci siamo vale la pena di rendere esplicito il concetto di cru (“cresciuto”, traducendo dal francese): un cru è una piccola porzione di territorio, financo una singola vigna, posta all’interno di una denominazione più grande. Il vino ricavato dalle uve coltivate in questo piccolo territorio si distingue dagli altri vini della sua stessa denominazione per delle precise caratteristiche organolettiche, che possono derivare dalla composizione del terreno, dall’esposizione dei filari, dal microclima della zona, ecc. Più correttamente, per il Barolo non si parla tanto di cru quanto di MGA (Menzioni Geografiche Aggiuntive).
Strumenti essenziali per degustare il vino
Innanzitutto, per effettuare una degustazione come domineddio comanda, servono gli strumenti giusti. Non si può degustare in un pur glorioso bicchiere Duralex da osteria. Quello ce lo teniamo per le serate “vino e malinconie, in cui ciascuno chiude la sua pena”; per degustare invece ci serviremo del calice, ossia un bicchiere dotato di bevante (la parte dove si versa il vino), stelo e piede. Ce ne sono di ogni forma e dimensione, ma per cominciare un calice a forma di tulipano, di media ampiezza, fa il suo dignitosissimo lavoro con tutti i vini. È essenziale la presenza dello stelo, da usare per brandire il calice stesso e tenere lontano gli odori sulla vostra mano dall’imboccatura. A tal proposito: mai, mai, MAI prendere il calice dal bevante, a meno che non vogliate che un liquido da bere freddo, o al massimo a 20 °C, stia allegramente in contatto con il palmo della vostra mano, che di gradi centigradi ne dispensa circa 37. Se non volete trovarvi a degustare un ramen, prendetelo solo dallo stelo o dal piede. E poi è orrendo da vedere, per cortesia. Ma nemmeno il brandy si beve più in quel modo, dai.
“E il decanter”? Ce lo avete in casa? Ve ne hanno regalato uno? Bene, metteteci i fiori. Al di là dello scherzo il decanter è uno strumento molto utile, ma per una ridottissima gamma di vini, solitamente quelli con presenza di sedimento (decantare significa proprio separare un liquido dai suoi sedimenti). Nei vini giovani e pronti non apporta chissà quale beneficio, anzi il rischio è pure di danneggiarli andando a disperdere le molecole odorose più rare e delicate. No, già la pancia del calice fa il suo onesto mestiere nell’ossigenare il vino; lasciate il decanter a prender polvere almeno agli inizi. Lo stesso consiglio vale per altri fantasiosi supporti per l’ossigenazione del vino, tipo i tappi areatori: non sono affatto necessari, potete farne a meno. Se proprio siete curiosi, potreste provare l’hyperdecanting per vedere l’effetto che fa. Noi l’abbiamo fatto, e non ci è piaciuto.
La temperatura come strumento
Restando in tema, per una degustazione come si deve il vino deve essere portato alla giusta temperatura, in dipendenza dalla sua tipologia. Vi suggerisco un ripasso delle giuste temperature di servizio del vino (e, soprattutto, i dannosi effetti di una temperatura errata). E vi dico che potete usare tranquillamente il frigo. Non ‘sfibra il vino’ come qualcuno ancora si ostina a dire. Qualche ora di frigo non ha mai ucciso nessun vino. Se la temperatura del vino dovesse essere troppo bassa, qui sì che entra in gioco la mano sul bevante, giusto il tempo necessario a fargli raggiungere la temperatura corretta.
Gli step della degustazione
La degustazione inizia nel momento in cui versiamo il vino e finisce con il ricordo che esso ci lascia al palato: analizziamola passo passo in modo da poter assaggiare a ragion veduta un calice senza passare dai tre livelli AIS.
Versare il vino
Bene, abbiamo scelto il vino e preso il calice, è ora di cominciare. Il vino andrà versato nel calice con delicatezza e, soprattutto, con parsimonia. Una regola empirica può essere quella di far arrivare il livello del vino al massimo alla pancia del calice, dove il bevante raggiunge il suo diametro massimo, per enfatizzare l’interazione tra aria e vino. In questo modo il vino renderà al massimo in termini di profumi e di gusto.
Esame visivo
Come insegnano ai corsi per sommelier, la degustazione di un vino parte sempre con l’esame visivo, dove si valutano: limpidezza, colore, e consistenza (o eventuale effervescenza nel caso di vini spumanti).
Evitando l’accademia, a noi cosa interessa vedere? Innanzitutto se il vino è limpido, se è torbido o se ci nuotano dentro le trote. Essendo tutti concordi su “limpido = bene” e “acquario = male”, la torbidità può essere positiva, se magari abbiamo versato un rifermentato non privato dei lieviti o un vino non filtrato, o negativa (esempio: casse proteica, che intorbidisce un vino nato trasparente). Oggi è difficilissimo trovare un vino visibilmente compromesso, ma non si può mai dire, e comunque olfatto e gusto confermeranno la presenza dell’eventuale difetto.
Sempre con l’esame visivo si giudica il colore del vino. Per farlo correttamente conviene inclinare il calice di 45 gradi, per apprezzare le sfumature di colore tra bordo e cuore e, nei rossi, la trasparenza del vino. E se le principali associazioni (AIS, FIS, FISAR, ONAV) si basano su un limitato glossario composto da 4/5 aggettivi per ogni colore (giallo paglierino o dorato, rosso rubino o granato, ecc.), gli estrosi spaziano arrivando a vette tipo “dilucolo alpestre” o “bagliori di fuoco vivo”. Consiglio di partire con moderazione, per poi porsi nel mezzo una volta diventati più bravi, senza arrivare alla poetica del Carducci.
Riguardo le celebri ‘lacrime’ che si formano nel calice dopo che il vino ne abbia lambito le pareti, il fenomeno si chiama “effetto Marangoni”: la differente tensione superficiale data dall’evaporazione dell’alcol dal vino che si deposita sulla parete del calice ne provoca la discesa a guisa di lacrime. Più il vino è alcolico, più gli archetti tra una lacrima e l’altra saranno fitti.
Esame olfattivo
Dopo l’esame visivo è la volta di quello olfattivo, il Nanga Parbat di tutti i corsisti AIS/FIS/FISAR/ONAV. La vulgata vuole che un degustatore professionista sia una sorta di West Highland terrier, dotato di un archivio olfattivo sterminato. In realtà l’olfatto di chiunque deve essere allenato sempre, il database va costantemente aggiornato, pena la perdita dei dati. Ciò significa anche che chiunque può farlo. Non serve un corso sommelier per capire quale odore abbia l’elicriso: basta avere l’elicriso sul balcone o annusarlo in un vivaio (e comunque l’elicriso ha un odore che ricorda la liquirizia). Resta come fondamentale vantaggio di un corso simile il poter assaggiare e confrontare tanti vini diversi in un ridotto lasso di tempo, con l’ausilio di qualcuno che, si suppone, ne sappia più di voi.
Didatticamente, in un esame olfattivo si valutano l’intensità del profumo del vino, se esso sia esente da difetti e la varietà di profumi percepiti. Prima di tutto si annusa il vino a calice immobile: questo darà modo di apprezzare con quale ‘volume’ il profumo arriva al naso, oltre agli eventuali difetti*. Poi ci si può cimentare nella rotazione del calice, il movimento simbolo del sommelier. Mi raccomando, ho detto rotazione, non centrifuga: moderate gli impulsi. Bisogna far compiere qualche rotazione al vino, in modo da liberare le molecole odorose grazie all’interazione con l’aria. Le olfazioni vanno fatte col nasino che si avvicina progressivamente al calice, così da cogliere tutte le sfumature odorose. Ci si avvicina, poi ci si allontana, poi di nuovo dentro e poi una pausa, per evitare che il naso vada in assuefazione e gli odori pian piano vi scompaiano letteralmente da sotto il naso.
È questo il momento in cui di solito parte il mambo: c’è chi in un vino sente la rosa, chi l’erba appena tagliata, chi il goudron, chi una scatola di sigari di minimo 25 anni maneggiata da un carrozziere, chi il cuoio dei soldati che fecero la battaglia di Campaldino. A discolpa dei sommelier, posso dire che nel vino esistono davvero molecole odorose caratteristiche dei fiori, della frutta, delle spezie; molti sono aromi presenti già nei chicchi delle singole varietà d’uva, che vengono poi liberati in fase di fermentazione, mentre altri aromi provengono dalla maturazione del vino, dai vasi vinari utilizzati, ecc. Per coglierli tutti serve un’attenzione viva, pazienza e allenamento costante. Null’altro. Annusate tutto e dappertutto, poi stappate bottiglie di vino e scannerizzatele olfattivamente. Datevi tempo, non deprimetevi se all’inizio sentirete solo mela golden o frutti di bosco. Esaminate e, soprattutto, divertitevi.
*Cos’è l’odore di tappo
Riguardo il famoso odore di tappo, esso si sviluppa quando il sughero del tappo è contaminato dal fungo armillaria mellea. Esso produce la molecola puzzolente tricloroanisolo (o TCA) e, per i fortunati che non lo abbiano mai sperimentato, l’odore ricorda un cartone vecchio, bagnato e ammuffito. Ripeto: solo il vino chiuso con tappo di sughero può essere affetto dall’odore di tappo. Se accusate l’odore di tappo in un vino chiuso con tappo a vite verrete spernacchiati.
Esame gustativo
Infine l’esame più importante di tutti: l’esame gustativo. Perché se il vino non è buono, signora mia, ma cosa lo abbiam comprato a fare?
Il sorso deve essere misurato, dato che si parla di degustazione: non riempitevi la bocca con tutto il vino nel calice (nemmeno si fa una bella figura, anche in altri contesti). Per chi ama la precisione, io degusto sempre 15 ml alla volta, con un errore di ±5 ml. Il vino in bocca deve essere ‘masticato’ qualche secondo, deve raggiungere tutte le superfici interne della bocca, gengive e lingua, e poi giù nello stomaco (c’è anche chi sputa il vino degustato. Non guardate me). Una volta salutato il vino, bisogna far caso alle sensazioni che esso lascia: c’è salivazione? È più “fresca”, “agrumata” o è più “salata”?
Il sapore resta molto in bocca o svanisce nell’arco di un respiro? È di buon corpo o è quasi impalpabile? Se il vino è rosso, la sensazione sulle gengive è di velluto o di carta vetrata? Anche qui teniamo presente che ogni vino avrà caratteristiche tipiche, per cui un Riesling risulterà molto fresco, grazie alla sua spiccata acidità, mentre un qualsiasi rosso surmaturo affinato in botte nuova sfiorerà la pesantezza. La piacevolezza è sempre questione di equilibrio ed armonia. Da qui la domanda fondamentale: la sensazione che il vino lascia in bocca è spiacevole, piacevole o, senza mezzi termini, stupenda. Questa è la sintesi della degustazione, la valutazione finale che determina se ricompreremmo il vino o no. È al palato che il vino gioca i suoi assi e, se è un grande vino, il suo gusto, profumo e tutte le sensazioni provate si fisseranno nella mente di chi lo ha bevuto.
Errori comuni nella degustazione e come evitarli
Andremo ora ad elencare alcune imprecisioni che possono rovinare la degustazione e farci giudicare erroneamente un vino. Il primo problema riguarda la scelta del calice. Come abbiamo già detto, il passepartout è il calice a tulipano di media ampiezza. Le innumerevoli forme del calice hanno differenti scopi: ad esempio, imboccatura più stretta per convogliare gli aromi al naso, più larga per disperderli se essi sono numerosi; pancia snella nel caso di vini giovani, pronunciata se il vino ha degli anni sulle spalle e ha bisogno di ‘respirare’ per rendere al massimo. Effettuando la degustazione di un Vermentino di Gallura in un enorme calice adatto per un Brunello di Montalcino di 20 anni ha il risultato di affievolire i tanti e delicati profumi del Vermentino, oltre a consumarli rapidamente (e scaldare prima il vino, data l’ampia superficie di scambio con l’ambiente esterno). L’opposto invece, un Brunello d’annata in un calice minuscolo, non permette al vino di ossigenarsi adeguatamente, il profumo sarà contratto e il vino comincerà ad esprimersi dopo circa una settimana. Ponendosi nel mezzo, con il medio tulipano consigliato, la stima della qualità del vino sarà sempre affidabile.
La temperatura del vino è il mio cruccio, vi dirò che provo anche un po’ di piacere nel litigare su questo argomento. Avendo voi già visto l’articolo specifico che vi ho linkato prima (vero?), sapete bene quali sono le giuste temperature di servizio. Molto sinteticamente vi posso dire qui che servire un vino, di qualsiasi tipologia, al di sopra della temperatura di servizio consigliata rende i profumi meno fini ed accentua l’effetto dell’alcol sia al naso che in bocca. Una temperatura di servizio troppo bassa invece attenua la percezione dei profumi al naso e accentua l’acidità e l’effetto astringente dei tannini in bocca (provate un Barolo freddo, come consigliava Oscar Farinetti, se volete avere i cretti di Burri al posto delle gengive).
Consigli per diventare dei degustatori provetti
Come ripetuto fino alla consunzione, la degustazione è arte che si perfeziona solo con la pratica. Tuttavia leggere qualche libro sull’argomento non ha mai fatto male a nessuno. Ovviamente ce ne sono tanti, ma per chi cominciasse da zero mi sento di consigliarvene tre: “Il piacere del vino”, Slow Food Editore, un manuale scorrevole, sintetico e completo; “L’invenzione della gioia” di Sandro Sangiorgi, Porthos Edizioni, dove si parla di degustazione in maniera tecnica e sentimentale (e varrebbe la spesa anche solo per lo splendido italiano con cui è stato scritto); “Il respiro del vino” di Luigi Moio, Mondadori, che illustra magnificamente il meraviglioso mondo dei profumi del vino.
Sempre riguardo l’esame olfattivo, trovo molto utile la ruota degli aromi della professoressa Ann Noble, University of California-Davis. Grafico variopinto di forma circolare, è un elenco dei descrittori olfattivi più comuni associati alle rispettive macrofamiglie (es: fruttato → frutta tropicale → papaya). E agli esordi conforta molto sapere che il sentore di glicine o di tabacco che percepiamo hanno una più che lecita ragion d’essere.
Prima della ruota di Ann Noble dovrete fare quanto vi ho già suggerito: annusate tutto. Al supermercato ficcate il naso tra gli ortaggi e la frutta, il pane e le spezie, per strada annusate le siepi, le ruote delle macchine, la legna accatastata, guadagnatevi un ordine restrittivo richiesto dal fioraio dopo che gli avrete annusato ogni tipo di fiore, pianta o arbusto in esposizione. Usate il naso e ricordatevi i profumi, li ritroverete nei vini che assaggerete.
Infine, per fare pratica nulla è meglio di un corso completo offerto delle maggiori associazioni della sommelierie. Ma se non volete o non potete permettervi di seguirne uno, ci sono una pletora di enoteche che offrono corsi di introduzione al vino, che sintetizzano in pochi incontri le principali tematiche riguardanti la degustazione del vino (e alla fine della lezione si beve). Molte enoteche organizzano anche singole degustazioni a tema, riguardanti un produttore, una cantina, una denominazione specifica, etc., e anche queste sono assai utili.
Sconsiglio invece, almeno agli esordi, i grandi eventi dedicati al vino, con decine di cantine ognuna a proporre i propri vini: l’eccesso di proposte vi farebbe rimbalzare da un produttore all’altro con il risultato finale di aver bevuto tanti vini in ordine sparso e di tornare a casa senza idee chiare e con un gran mal di testa. Insomma, il minimo comun denominatore è: seguite le parole di un docente, di qualcuno che ne sa di più. Alcuni vi diranno “si diventa bravi degustatori solo assaggiando, non serve nessuno che ti insegni”. Balle. Un insegnante è sempre utile: qualcuno che abbia una risposta anche solo per gli unici due dubbi che vi possano essere venuti in mente è prezioso come un Grand Cru di Borgogna.