Da una settimana la Coca Cola è nella bufera per aver invitato i propri dipendenti a “essere meno bianchi“. Le slide tratte da un corso di aggiornamento sono state pubblicate sui social ed è partita una campagna guidata da politici e commentatori di destra, che è arrivata fino alle minacce di boicottaggio. Sembra un pasticcio assurdo, e in un certo senso lo è, ma forse non per il primo motivo che ci viene in mente.
I fatti: la Coca Cola organizza un programma di training per dipendenti, uno dei tanti che fanno le company soprattutto in America, incentrati non solo sulle mansioni lavorative ma sul benessere in azienda, come su questioni culturali e sociali (in questo caso, il riconoscimento delle diversity). Il corso, che si chiama “Confronting Racism”, non è realizzato internamente dal colosso dei soft drink ma preso dalla piattaforma LinkedIn Education, uno dei modi alternativi in cui i social provano a tirare su un po’ di soldi. A sua volta, ovviamente, LinkedIn non è autore del corso, creato e venduto da terze parti.
Nel corso ci sono varie slide, e anche dei brevi video tratti da un’intervista a Robin DiAngelo, autrice del best seller Fragilità bianca. Perché è così difficile per i bianchi parlare di razzismo. La slide incriminata dice semplicemente: Be less white. Viene seguita da una pagina di spiegazione, che specifica in cosa dovrebbe consistere questo essere meno bianchi. E da ulteriori slide, come quella che vedete, dove si ricordano cose ovvie ma non meno terribili, come il fatto che entro i 3 anni ogni bambino americano ha perfettamente capito che nella società statunitense è meglio essere bianchi.
Le slide, come si diceva, sono uscite su Twitter, e cavalcate dai campioni del conservatorismo e dell’alt-right: “caso eclatante di razzismo” e “pensate a cosa succederebbe se una società invitasse i neri a essere meno neri”. Ed è partita la catena delle dissociazioni: Coca Cola ha precisato che il corso non era obbligatorio (anche se altri riportano che molti dipendenti hanno raccontato che completarlo era richiesto). Robin DiAngelo ha dichiarato che le slide non sono di suo pugno e che era totalmente all’oscuro del contesto in cui erano inseriti i suoi video, frutto di un taglia e cuci di un’intervista di 3 anni fa. E LinkedIn ha rimosso il contenuto dalla piattaforma, “su richiesta della parte terza da cui lo abbiamo ottenuto in licenza”.
Ma la tempesta non si è placata, e anzi il caso è diventato oggetto di meme più o meno spiritosi tipo questo, che mette in luce le contraddizioni e i dilemmi diabolici in cui si impelagherebbe il bianco che vuol essere dalla parte dei neri.
https://twitter.com/MAJTOURE/status/1363624328747704326
Ora. È chiaro che è stato preso uno sfondone: ma forse più nel metodo che nel merito. “Essere meno bianco” è un’espressione infelice, che alla lettera non vuol dire niente, cosa dobbiamo fare, metterci al sole per abbronzarci? Però. È altrettanto evidente che gli Usa – e non solo loro, ma qui di loro stiamo parlando – hanno un problema ENORME con il razzismo. Il senso era “fare meno i bianchi”, “agire meno da bianchi privilegiati”, e sfido chiunque a giudicare offensivo o sbagliato uno dei seguenti comportamenti: essere meno arrogante, essere meno oppressivo, essere più modesto, essere meno ignorante, ascoltare.
Poi. Il parallelo con la situazione inversa non ha senso perché, semplicemente, non sono uguali le condizioni di partenza. Il motivo per cui a nessun nero verrà mai detto “sii meno nero” è che, beh, gli viene già ricordato, esplicitamente o implicitamente, tutti i giorni della sua vita. Questo è il motivo per cui quella cosa chiamata reverse racism non esiste: il razzismo è un’ideologia e un sistema di potere, se hai il coltello dalla parte del manico, non puoi lamentarti se qualcuno te lo fa notare.
Eh vabbè, ma essere bianchi non equivale a essere razzisti. Ma certo: però equivale a essere privilegiati. E non riconoscerlo vuol dire approfittare del privilegio. Da lì al razzismo il passo è breve. Le obiezioni del genere tra l’altro assomigliano pericolosamente a quel “not all men” che viene usato per ridimensionare le battaglie femministe. E anche i simpatici meme, si appoggiano su un’alternativa fasulla e tendenziosa: provare a combattere il razzista che ci portiamo dentro non vuol dire far finta di essere neri, l’appropriazione culturale non c’entra una mazza, suvvia. Tra l’altro il meme sopra citato, che ha fatto il botto su Twitter quando è stato condiviso da Donald Trump jr., viene da un signore afroamericano di destra (oh yeah, esistono) noto per la sua campagna Black Guns Matter: e davvero, non vuoi saperne di più.
Ha scritto Zack Linly su The Root che fosse per lui “Be less white” sarebbe il nuovo motto dell’America, andrebbe cantato al posto dell’inno nazionale e dovrebbe sostituire “In God we trust” sulle banconote. Gli lascerei la parola in chiusura:
“Sii meno bianco” è semplicemente un invito per bianchi a capire che in America e nel mondo occidentale, il bianco rappresenta il valore predefinito per la normalità sociale e culturale. L’amore dell’America per la sua immagine tradizionale (bianca) è la ragione per cui i neri sono sproporzionatamente svantaggiati rispetto al profiling razziale, alla brutalità della polizia, alla discriminazione abitativa, alla discriminazione nelle assunzioni, al rifiuto di servizi sociali, all’incarcerazione di massa, alla mancanza di risorse educative e, naturalmente, al razzismo sul posto di lavoro – una cosa relativamente alla quale i dipendenti bianchi tendono ad essere ignari, indifferenti, o complici.