Erano molte le ipotesi sul piatto prima di optare per Chateau Musar, icona del vino (naturale e non solo) del Libano. L’intenzione in tutti i casi era quella di andare a visitare una cantina per noi simbolica, capace di produrre uno di quei vini che nel corso degli anni abbiamo bevuto e amato con più costanza, capace di superare momenti, periodi, mode.
Un weekend ogni volta diverso, un paio di volte all’anno con lo stesso gruppo di amici, tante idee e poche certezze: semplicemente, a un certo punto, capiamo che è ora di andare lì, proprio lì. L’ipotesi di partire alla volta di Beirut si è per esempio fatta strada piano piano, tante altre le possibili destinazioni in agenda. Semplicemente, a un certo punto, uno di noi ha scritto: andiamo, è ora, io intanto prenoto il volo. Ok.
Arrivare a Chateau Musar partendo dal centro di Beirut ha un che di straniante: 30 chilometri di case, di palazzi, di costruzioni che si susseguono in una periferia ininterrotta, caratterizzata da un traffico fittissimo e rumoroso come solo quello di certe grandi città sa essere. Solo a un certo punto, ad appena un paio di chilometri dalla cantina, si gira improvvisamente a destra e si inizia a salire lungo una serie di tornanti che portano dal livello del mare a circa 500 metri di altezza, appena oltre il centro abitato di Ghazir, al castello.
Mi piacerebbe dire che la cantina è bellissima e abbagliante, e che arrivato lì ho provato una certa emozione. Non è così, e non solo per il terribile hang over causato dalla serata precedente passata nei bar di Mar Mikhael. È che Chateau Musar quest’anno è in ristrutturazione, un grande cantiere da cui, quello sì, è possibile godere di una vista pazzesca sulla costa e sulla città. Facile capire perché Gaston Hochar, colui che nel 1930 lo fondò ispirato dalla tradizione libanese e dai suoi viaggi a Bordeaux, scelse proprio questo posto. La struttura originale, oggi sede di ricevimenti e più in generale eventi, ha ospitato la cantina fino al 1950, anno in cui tutta la fase produttiva venne spostata nell’attuale stabile, oggi in parziale rifacimento: un vecchio edificio che nel corso del tempo è stato sia un’azienda agricola che, più recentemente, un ufficio postale.
Della più grande criticità di Chateau Musar sapevo bene, certo sentirsela ripetere dal vivo ha fatto un certo effetto: le vigne, circa 180 ettari complessivi, sono tutte nella Bekaa Valley, la culla del vino libanese, a oltre 2 ore (!) di distanza dalla cantina. Durante la visita viene ben specificato che le uve vengono raccolte molto presto la mattina in modo da arrivare a Ghazir non più tardi delle 11:00, che assolutamente non vengono usati camion refrigerati e che non viene aggiunto nessun additivo per garantirne l’integrità. Uhm. Della cantina poi non colpisce tanto la grandezza della zona di vinificazione o affinamento (quella era scontata, in fondo nelle annate più abbondanti qui si arriva a sfiorare una produzione di 800.000 bottiglie) quanto quella di maturazione. Una cosa però ovvia: gli Chateau Musar Bianco e Rosso, i vini più importanti e celebrati, escono a 7 anni dalla vendemmia ma vengono imbottigliati dopo appena 2, nel primo caso, o 3, nel secondo. Uno scarto temporale che si traduce in un magazzino enorme, su due livelli al di sotto del manto stradale, capace di contenere con facilità ben oltre il milione di bottiglie. Non solo i vini che aspettano di essere etichettati e messi in vendita (in queste settimane si sta imbottigliando l’annata 2016, in magazzino sono presenti tutti i 2015, 2014, 2013, 2012) ma anche un numero impressionante di vecchie annate. Non moltissime le cantine che possono vantare uno storico tanto vasto, di centinaia di bottiglie per ogni annata prodotta nelle ultime decadi e via via fino alle prime annate.
Bekaa Valley, la presenza preponderante di varietà francesi o come si usa dire oggi “internazionali” non è casuale. I clienti dei primi vini di Chateau Musar non potevano che essere i soldati francesi, presenti in Libano durante l’omonimo Mandato creato dopo la Prima guerra mondiale in seguito alla spartizione dell’Impero ottomano. L’impressione è però che il mito sia nato e si sia rafforzato durante la guerra civile, come si trattasse di una cellula di resistenza capace di andare oltre le vicissitudini di quei lunghissimi anni portando nel mondo il nome di un Libano diverso, che ce la poteva fare.
Le varietà a bacca rossa -soprattutto cabernet sauvignon, carignan, cinsault, syrah e grenache- vengono da Aana e Kefraya, da terreni argillo/calcarei a un’altezza media di circa 1.000 metri sul livello del mare. Impressionante, specie se si considera che obaideh e merwah, quelle utilizzate per produrre lo Chateau Musar Bianco, provengono da 2 diverse zone entrambe a circa 1.400 metri, da terreni rispettivamente gessosi e calcarei. A proposito: la Bekaa Valley si sviluppa da sud a nord, parallela rispetto al Mar Mediterraneo e ben protetta da due catene montuose che ne caratterizzano il clima, continentale nonostante in termini di latitudine ci si trovi ben più a sud della Sicilia. I vini sono certificati come biologici ma a Musar il “non intervento” e il “naturale” vengono sottolineati più e più volte, dalle fermentazioni spontanee fino alla scelta di non filtrare, almeno gli Chateau Musar.
Dei vini più giovani, i Musar Jeune, non c’è molto da dire. Sono etichette tirate in centinaia di migliaia di esemplari, sempre vinificate e lasciate maturare pochi mesi in acciaio (il rosso anche in cemento), pensati per avere un prezzo piuttosto basso e destinati a un consumo veloce, quotidiano. Assaggiati: Musar Jeune Bianco 2018, Musar Jeune Rosato 2016, Musar Jeune Rosso 2016. Quest’ultimo il più interessante, fresco e succoso, tutto giocato su bei toni di frutta appena colta.
L’Hochar Père et Fils è l’unico vino della cantina a provenire da un singolo appezzamento, vigneto di circa 30 anni di cinsault, grenache e cabernet sauvignon su terreni ghiaiosi e calcarei, non lontano dal centro abitato di Aana. Macerazione sulle bucce per 15/30 giorni, fermentazione spontanea in tini di cemento e affinamento sulle fecce fini per 9 mesi in barrique di rovere francese. Il 2016 è rosso particolarmente raffinato, balsamico, setoso, caratterizzato da bei richiami mediterranei.
Il raro Chateau Musar Rosato ha la singolarità di venire prodotto a partire da uve a bacca bianca (obaideh e merwah, varietà indigene libanesi che vengono paragonate rispettivamente a chardonnay e semillon) cui viene aggiunto un saldo di 5% di cinsault. Il 2013 attualmente in vendita è fresco e profumato, piacevolissimo nella beva ma senza la profondità che caratterizza gli altri. Lo Chateau Musar Rosso ha infatti tutto un altro passo: il 2011 adesso nelle enoteche è vino ampio nel respiro e rigoroso nel corpo, elegante nonostante gli accenni di volatile, sensazione che esalta la frutta e che lo rende irresistibile per golosità. Potente, setoso, caratterizzato da una spinta sapida a tratti inaspettata. Fermentazione (anche malolattica) spontanea in contenitori di cemento da 60 a 300 ettolitri, maturazione sulle fecce fini per 1 anno in barrique di rovere francese e 1 anno in contenitori di cemento vetrificato. Il 1998, annata fresca, assaggiato durante la visita appena aperto era una meraviglia di frutta e di richiami balsamici e speziati, dopo un po’ tendeva però a una certa uniformità gustativa, la stessa trovata nel Bianco della stessa annata.
Chateau Musar Bianco, una piccola verticale
Il motivo del viaggio, appunto: lo Chateau Musar Bianco. Vino che quando posso riassaggio sempre, che ogni volta mi colpisce per severità espressiva e al tempo stesso per generosità gustativa. Un bianco piuttosto unico, sempre giocato sul filo dell’ossidazione, longevo oltre ogni logica. Fermentazione alcolica e malolattica spontanee in parte in barrique di rovere francese (nuove al 25%) e in parte in contenitori di acciaio, successiva maturazione per 6 mesi in barrique sulle fecce fini prima di 4 anni di bottiglia. Qualche assaggio:
Chateau Musar Bianco 2011
Curioso sostenere che un bianco di 8 anni sia in una fase ancora un po’ troppo giovanile per una valutazione oggettiva. Così però è, vino ancora compresso, fiori gialli e frutta bianca, spezie gentili e pepe. Teso, bello nella nota di calore che esprime al centro dell’assaggio e nel finale, disteso ed elegante. Saporito.
Chateau Musar Bianco 2009
In prospettiva una grande annata, a 10 anni di distanza in fase di trasformazione: iniziano adesso a uscire non solo toni balsamici ma anche quel tratto di spezie evolute che caratterizza i migliori Musar. L’assaggio richiama frutta anche fresca, splendidamente matura non senza quella traccia di ossidazione che è vero e proprio marchio di fabbrica della casa. Grande beva per una bottiglia che finisce anche troppo alla svelta.
Chateau Musar Bianco 2001
Quello più completo, più tridimensionale, senza dubbio il più buono assaggiato in questo weekend libanese. Un bianco capace di spaziare dalla frutta a polpa bianca alle spezie orientali, dalla gomma agli agrumi non senza una spruzzata di erbe officinali a impreziosirne il quadro aromatico. Potente, succoso, pieno senza stancare, caratterizzato da una spalla acida di impressionante purezza e da un’ossidazione sempre sottotraccia, mai protagonista. Soprattutto rimane assaggio maledettamente mediterraneo, caldo e trascinante, lunghissimo.
Chateau Musar Bianco 1998
Più algido, inizialmente ben calibrato su note di frutta e soprattutto di agrumi, lime e limone, bergamotto e chinotto. Mercato delle spezie prima di un assaggio di gran freschezza, al limite dell’affilato, caratteristica piuttosto singolare per un bianco che fa della generosità e del calore alcune delle sue peculiarità più riconoscibili. Meno trascinante quindi, più distante seppur stupefacente per integrità.
In cantina i prezzi al pubblico sono piuttosto alti, come alto è il costo della vita in centro città. Quello dell’annata corrente è di poco inferiore a quello di una qualsiasi enoteca, in Italia. Certo, spettacolare la possibilità di acquistare vini, budget permettendo, di annate degli anni 90, 80 e 70. Da considerare però che anche il Duty Free dell’aeroporto di Beirut è più che ben fornito in termini di profondità e che, attenzione, i prezzi sono decisamente più bassi che in cantina, a Ghazir.
Al prossimo giro? Non c’è dubbio, o quasi: López de Heredia, nella Rioja, in Spagna.
[immagini: Jacopo Cossater, Chateau Musar]